dzogchen, istruzioni essenziali sulla Grande Perfezione

vediamo che ne pensate...

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  1. Kunsang Tzomo
     
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    DZOGCHEN

    istruzioni essenziali sulla Grande Perfezione
    di Dilgo Khyentse Rinpoche

    La pratica quotidiana consiste semplicemente nel generare una completa accettazione, una piena apertura verso tutte le situazioni, le emozioni e le persone - così da sperimentare ogni cosa in maniera totale, senza riserve mentali né blocchi, in modo tale che non ci si ritragga mai in se stessi, che non ci si concentri mai su se stessi.
    Questa apertura produce un'energia immensa, che solitamente è bloccata dai vari processi dell'evasione mentale, del pensare, del fuggire dall'esperienza diretta della vita. Negli stadi iniziali, la chiarezza della consapevolezza potrebbe essere spiacevole, o spaventare; se questo accade bisogna aprirsi completamente al dolore o alla paura, dar loro il benvenuto. In questo modo si infrangono le barriere create dalle reazioni emotive abituali e dai preconcetti.
    Quando si pratica la meditazione, bisogna sviluppare la sensazione di starsi aprendo completamente all'universo intero, con la mente in uno stato di assoluta semplicità e "nudità", sbarazzandosi di tutte le barriere di protezione. Quando si medita non bisogna dividersi mentalmente in due, con una parte della mente che ne osserva un'altra, come fosse un gatto che osserva un topo.
    Bisogna comprendere che non si medita per entrare profondamente in se stessi, per diminuire il contatto col mondo; nella pratica buddhista, perfino quando si medita sui chakra non vi è concentrazione basata sull'auto-osservazione: il punto essenziale è la completa apertura della mente.

    Anche se l'autentica saggezza [prajna] non crede nell'esistenza di concetti come "diversi aspetti", i mezzi relativi [upaya] distinguono "tre diversi aspetti", in quanto strumenti utili alla spiegazione: completa apertura, perfezione naturale, spontaneità assoluta.

    Tutti gli aspetti di ogni fenomeno sono caratterizzati dalla chiarezza, dalla luminosità. Tutto l'universo è aperto e non ostruito, ogni cosa pervade tutte le altre e ne è pervasa. Quando si vedono tutte le cose nella loro nudità, con chiarezza e libertà dalle oscurazioni, non c'e' nulla da raggiungere o realizzare. La natura dei fenomeni si manifesta da se stessa, è spontaneamente presente nella consapevolezza che trascende il tempo. Questo si intende per completa apertura.

    Ogni cosa è perfetta esattamente com'è, completamente pura e priva di difetti. Tutti i fenomeni appaiono in modo naturale nei loro specifici modi e condizioni - unici e ineccepibili - creando forme e modelli sempre nuovi, pieni di valore e significato, come se prendessero parte a una grande danza. Ogni cosa è in realtà un simbolo, anche se non c'è nessuna differenza fra il simbolo e la verità che esso rappresenta. Senza alcun tipo di sforzo nella pratica, la liberazione, l'illuminazione e lo stato di Buddha sono già pienamente sbocciate e realizzate. Questo si intende per perfezione naturale.

    La pratica quotidiana è la pura e semplice vita ordinaria, di ogni momento. Poiché lo stato "non sviluppato" in realtà non esiste, non c'è alcun bisogno di comportarsi in qualche modo speciale, o di sforzarsi di "realizzare" o "praticare" qualcosa. Non occorre che ci si applichi per raggiungere una meta suprema o uno stato elevato: questi sforzi producono soltanto condizioni temporanee e artificiose, destinate a diventare ostacoli al libero fluire della mente. Non bisognerebbe mai pensare a se stessi come "indegni" o macchiati da qualche peccato, ma come naturalmente puri e perfetti, mancanti di nulla.
    Nello svolgere la propria pratica di meditazione, bisognerebbe sentirla come una funzione naturale del vivere quotidiano, come mangiare o respirare, e non come un avvenimento speciale o cerimonioso da intraprendere con grande serietà e solennità. Bisogna capire che meditare significa fare un balzo al di là dello sforzo, al di là della pratica, al di là degli scopi e delle mete: al di là della percezione dualistica di confusione e liberazione, di samsara e nirvana.
    La meditazione è sempre e comunque perfetta, quindi non c'è bisogno di correggere alcunché. Poiché tutto quello che si manifesta è semplicemente il gioco della mente, non esistono sessioni di meditazione "cattive" o malriuscite, e non c'è bisogno di giudicare i pensieri dividendoli in positivi e negativi. Perciò non bisognerebbe sedersi a meditare con paure e aspettative riguardo al risultato: lo si dovrebbe fare nel modo più semplice, senza sentimenti auto-consapevoli del tipo "Io sto meditando", e senza tentativi di controllare o governare la mente - senza cercare di "rilassarsi" o raggiungere uno stato di quiete. Se ci si accorge di stare deviando in una di queste direzioni, occorre interrompere la meditazione e restare semplicemente a riposo per un po', prima di riprendere.
    Se, durante o dopo la meditazione, si hanno esperienze che vengono interpretate come risultati, non bisogna enfatizzarle o trasformarle in qualcosa di speciale: osservandole come puri e semplici fenomeni, bisogna limitarsi a osservarle. Soprattutto, non bisogna sforzarsi di ricrearle o riviverle, poiché questo si oppone alla spontaneità naturale della mente.
    Tutti i fenomeni sono completamente nuovi e freschi, assolutamente unici, totalmente liberi da qualsiasi concetto di passato, presente e futuro - come se venissero sperimentati in un'altra dimensione del tempo. Questo si intende per spontaneità assoluta.

    Bisogna imparare a considerare la vita di ogni giorno come un mandala [1], in cui si occupa la posizione centrale, ed essere liberi dai preconcetti creati dai condizionamenti del passato, dai desideri del presente e dalle paure/speranze sul futuro. Le componenti del mandala sono cose, persone e situazioni della propria esperienza quotidiana, che si muovono nella grande danza dell'universo intero: il simbolismo attraverso cui gli esseri illuminati ci rivelano il profondo significato assoluto. Perciò sii spontaneo e naturale, lasciati guidare e impara da ogni cosa. Impara a vedere il lato comico delle situazioni irritanti.
    Nella meditazione, guarda attraverso l'illusione di passato, presente e futuro. Il passato è soltanto un ricordo che si manifesta nel presente; il futuro è soltanto una proiezione che si manifesta nel presente; quanto al presente, esso svanisce prima che si riesca ad afferrarlo.
    Bisogna abbandonare i preconcetti sulla meditazione e liberarsi dai ricordi delle passate esperienze. Ogni istante di meditazione è totalmente unico, pieno di potenziali nuove scoperte, dunque è impossibile giudicare la meditazione attraverso le esperienze passate o la teoria. Tutto ciò che occorre è tuffarsi nella meditazione nel qui-e-ora, con la totalità della propria mente, col cuore libero da esitazione, noia o euforia.
    Quando si medita è usanza tradizionale (ed è meglio, ogniqualvolta sia possibile) sedersi con le gambe incrociate, con la schiena diritta ma non rigida. Tuttavia l'aspetto più importante è essere in una posizione comoda, quindi è meglio sedere su una sedia se la posizione a gambe incrociate è dolorosa.
    La propria attitudine mentale dovrebbe essere ispirata dai tre atteggiamenti supremi [2], sia in caso di meditazione con forme che in caso di meditazione senza forma [3]; solitamente è preferibile, se non fondamentale, che la meditazione senza forma sia preceduta da quella con forme.
    Durante secoli di pratica buddhista, si sono sviluppati molti tipi di meditazioni preliminari, o preparatorie, le principali delle quali sono la meditazione sul respiro, la recitazione di mantra e le tecniche di visualizzazione.
    Per intraprendere il secondo e il terzo di questi tre tipi di meditazione, è indispensabile ricevere istruzioni personali dal proprio insegnante; invece è possibile dire qualcosa sul primo tipo - la meditazione sul respiro - poiché questo metodo varia ben poco da persona a persona.

    Per iniziare, lascia che la mente segua il movimento del respiro, dentro e fuori, finché diventa calma e tranquilla. Dopodiché lascia che essa rimanga sempre più sul respiro, finché tutto il tuo essere sembra identificato con questo. Infine diventa consapevole del respiro che, quando lascia il corpo, si diffonde nello spazio circostante: gradualmente, trasferisci la tua attenzione dal respiro a quella sensazione di spaziosità ed espansione.
    Quando questa sensazione finale si risolve in uno stato di completa apertura, ci si sposta nella sfera della meditazione senza forma.
    Probabilmente, questa breve descrizione dei tre aspetti fondamentali [della meditazione sul respiro] sembrerà un po' vaga e inadeguata. Questo è inevitabile, dal momento che si tratta di descrivere qualcosa che è non solo oltre le parole, ma anche oltre il pensiero. La descrizione è in realtà un invito a praticare quello che, essenzialmente, è uno stato dell'essere. Le parole sono semplicemente una forma di "upaya", un mezzo relativo, un'indicazione che - se viene seguita - può far sbocciare spontaneamente la saggezza innata e l'attività naturalmente perfetta.
    A volte, in meditazione, si può sperimentare un balzo al di là della propria consapevolezza ordinaria, un'improvvisa e completa apertura. Questa esperienza può sorgere soltanto quando si è smesso di pensare in termini di "meditante", "meditazione" e "oggetto di meditazione". È un assaggio della realtà, un improvviso lampo di intuizione, che all'inizio accade di rado e poi, man mano che la pratica progredisce, sempre più spesso. Non è detto che debba essere un'esperienza esplosiva, o particolarmente sconvolgente, può anzi essere un momento di estrema semplicità.

    Scelto, adattato e tradotto da Italo Cillo. Basato su una nuova traduzione in inglese di un discorso di Dilgo Khyentse Rinpoche - inedito ma già circolante su Internet in vecchie traduzioni, sia inglesi che italiane.

    [1] : La dimensione illuminata che appare a un essere illuminato. Gli esseri ordinari sperimentano il contesto in cui vivono come samsara, gli esseri illuminati lo sperimentano come un mandala, una dimensione pura. (N.d.T.)

    [2] : I tre atteggiamenti supremi: a) prima di cominciare, la motivazione altruistica; b) durante la pratica, l'assenza di distrazioni; c) alla fine, dedicare tutta l'energia positiva creata alla felicità di tutti gli esseri viventi. (N.d.T.)

    [3] : Meditazione con forme = quella in cui ci si concentra su un oggetto, un punto di riferimento (esterno o interno) di qualsiasi tipo; meditazione senza forma = quella in cui non ci si concentra su alcun punto di riferimento particolare, né esterno né interno. Quest'ultima è considerata il tipo di meditazione più avanzato. (N.d.T.)


    : ;)
     
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  2. Kagyu Dorje
     
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    Mi piace questa cosa... molto... ma proprio molto!!!
     
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    Grazie Kunsang ;) ,

    Inizialmente ho letto pensando che
    fossero parole ed esperienze tue e.. :o:

    E' molto chiaro,
    effettivamente, non è distante dalla Mahamudra :D

    :bow*:

    :namastè*:

     
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    effettivamente, non è distante dalla Mahamudra

    Già.. per come ho capito la cosa, la differenza principale tra Dzogchen e Mahamudra è che il primo ha più mezzi abili (che in altre tradizioni non esistono) per poter mantenere stabile e realizzare lo stato naturale della mente... invece per "stabilizzare" la pratica della Mahamudra c'è lo stadio di generazione e completamento della Divinità. Però nella loro essenza Dzogchen e Mahamudra coincidono..
     
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  5. Kunsang Tzomo
     
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    CITAZIONE (pietrochag @ 11/6/2008, 23:52)
    Grazie Kunsang ;) ,

    Inizialmente ho letto pensando che
    fossero parole ed esperienze tue e.. :o:

    E' molto chiaro,
    effettivamente, non è distante dalla Mahamudra :D

    :bow*:

    :namastè*:

    PAROLE MIE ..... O MATTO HAHAHAHAH
    MA CI ARRIVO ....
    SI CHE CI ARRIVO.......
    :insane*:
     
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  6. Kagyu Dorje
     
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    Eh... la Mahamudra...

    Anche Lama Zong Kapa nel suo "Mantra Segreto" lo indica come il livello più alto dell'insegnamento.
     
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    PAROLE MIE ..... O MATTO HAHAHAHAH
    MA CI ARRIVO ....
    SI CHE CI ARRIVO.......

    Ehehehe..

    ci arriveremo, Kunsang,
    ci arriveremo :D

    Ormai siamo vicini :D

    :namastè*:
     
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    Eh... la Mahamudra...

    Anche Lama Zong Kapa nel suo "Mantra Segreto" lo indica come il livello più alto dell'insegnamento.

    Sì, ovviamente anche Lama Tzong Khapa parlava di Mahamudra; tutte le scuole Sarma (Sakya, Kagyu, Gelug) vedono la Mahamudra come il livello più alto.. Però esistono degli approcci diversi alla Mahamudra. Per quello che ho capito, e spero che dorjepizza mi corregga se sbaglio, per i Sakya la Mahamudra è inseparabile dalla pratica dello Yoga Tantra Supremo; per i Gelug (e quindi Tzong Khapa) invece essa è inseparabile dall'analisi intellettuale della vacuità.
     
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    invece per "stabilizzare" la pratica della Mahamudra c'è lo stadio di generazione e completamento della Divinità. Però nella loro essenza Dzogchen e Mahamudra coincidono..

    Si, ed è probabile che in entrambe,
    i tempi di maturazione siano uguali.
    Anche perchè il 'lavoro' che si fa nello Dzogchen
    con il rappresentarsi al centro di un Mandala,
    ha bisogno di tempo per maturare.
    Lo stesso che si ha bisogno nella Mahamudra
    per realizzare la divintà :D

    In effetti c'è una leggera differenza di approccio.
    Ma non sento diversità.
    Ogni mente ha le sue inclinazioni.


    :namastè*:
     
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  10. JeSuis
     
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    CITAZIONE (AuspiciousMerit @ 12/6/2008, 00:07)
    CITAZIONE
    effettivamente, non è distante dalla Mahamudra

    Già.. per come ho capito la cosa, la differenza principale tra Dzogchen e Mahamudra è che il primo ha più mezzi abili (che in altre tradizioni non esistono) per poter mantenere stabile e realizzare lo stato naturale della mente... invece per "stabilizzare" la pratica della Mahamudra c'è lo stadio di generazione e completamento della Divinità. Però nella loro essenza Dzogchen e Mahamudra coincidono..

    :woot: <_< :P

    Non ci sono mezzi abili nello Dzoghchen piu' antico, quelli che ci sono derivano dal Tantra e sono recenti...in sostanza sono proprio generazione e compimento.
    Stessa cosa vale per la Mahamudra (sia quella di Tilopa che di Saraha..).
    Sono sentieri a se..per chi ne ha la capacita' e la comprensione, non c'e' bisogno di fare proprio nulla....se non mantenere quella presenza ed apertura...se poi si vuole cavillare sulle dottrine si faccia pure. Chi e' che cavilla? :devil: :byesich*:
     
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  11. Kagyu Dorje
     
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    Il fantinillo?
     
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    Non per 'cavillare' :D
    non ne avrei le capacità.
    Ma da tempo mi chiedevo quale fossero le differenze
    tra DzogChen e Mahamudra, questo perchè
    avevo letto delle cose sullo Dzogchen mentre della Mahamudra
    ho un pò più di conoscenza.
    Nelle forme descrittive ci sono delle differenze, ma
    ad una analisi più profonda, non riuscivo più
    a capirle.
    Le differenze di approccio ci sono, certo,
    ma si tratta comunque di due Sentieri
    molto vicini nella loro 'esperienza'.
    Non c'è da parte mia, comunque,
    l'interesse a cambiare qualcosa sul mio
    percorso.
    E' solo per conoscenza.
    So che il Sentiero dove mi trovo
    è valido, e continuo così. :D

    :namastè*:

    CITAZIONE
    Il fantinillo?

    :jumpy: :jumpy: :jumpy: :jumpy: :jumpy: :jumpy:


    :D
     
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    Stessa cosa vale per la Mahamudra (sia quella di Tilopa che di Saraha..).

    Sì... però c'è da dire che anche Saraha e Maitripa, per non parlare ovviamente di Tilopa e Naropa, hanno praticato gli Yoga dello Stadio del Completamento. Per esempio Maitripa senza dubbio praticava la Karmamudra (motivo per cui è stato espulso dal monastero)... e Saraha era discepolo di un detentore dei Guhyasamaja Tantra, e praticò il Tummo... e non escludo il fatto che abbia praticato la Karmamudra dopo essersi sposato.
    Questo per dire che anche in questi maestri che in certi scritti possono sembrare così anticonvenzionali, non-dottrinari e poco tantrici..... in realtà anche loro hanno seguito un certo percorso graduale.
     
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  14. dorjepizza
     
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    [Per iniziare, lascia che la mente segua il movimento del respiro, dentro e fuori, finché diventa calma e tranquilla. Dopodiché lascia che essa rimanga sempre più sul respiro, finché tutto il tuo essere sembra identificato con questo. Infine diventa consapevole del respiro che, quando lascia il corpo, si diffonde nello spazio circostante: gradualmente, trasferisci la tua attenzione dal respiro a quella sensazione di spaziosità ed espansione.
    Quando questa sensazione finale si risolve in uno stato di completa apertura, ci si sposta nella sfera della meditazione senza forma.
    Probabilmente, questa breve descrizione dei tre aspetti fondamentali [della meditazione sul respiro] sembrerà un po' vaga e inadeguata. Questo è inevitabile, dal momento che si tratta di descrivere qualcosa che è non solo oltre le parole, ma anche oltre il pensiero. La descrizione è in realtà un invito a praticare quello che, essenzialmente, è uno stato dell'essere. Le parole sono semplicemente una forma di "upaya", un mezzo relativo, un'indicazione che - se viene seguita - può far sbocciare spontaneamente la saggezza innata e l'attività naturalmente perfetta.
    A volte, in meditazione, si può sperimentare un balzo al di là della propria consapevolezza ordinaria, un'improvvisa e completa apertura. Questa esperienza può sorgere soltanto quando si è smesso di pensare in termini di "meditante", "meditazione" e "oggetto di meditazione". È un assaggio della realtà, un improvviso lampo di intuizione, che all'inizio accade di rado e poi, man mano che la pratica progredisce, sempre più spesso. Non è detto che debba essere un'esperienza esplosiva, o particolarmente sconvolgente, può anzi essere un momento di estrema semplicità.

    Scelto, adattato e tradotto da Italo Cillo. Basato su una nuova traduzione in inglese di un discorso di Dilgo Khyentse Rinpoche - inedito ma già circolante su Internet in vecchie traduzioni, sia inglesi che italiane.

    Ma questa istruzione finale mi sembra non cogliere il senso delle parole di Khyentse e poco Dzogcchen .Dando questi consigli si rischia di confondere molto cose e di non comprendere il piano su cui si è posto Khyentse

    inserisco la traduzione originale del testo senza aggiunte

    CITAZIONE
    LA PRATICA DZOGCHEN NELLA VITA DI TUTTI I GIORNI
    di Sua Santità DILGO KHYENTSE RIMPOCHE




    La pratica quotidiana dello Dzogchen intende semplicemente sviluppare
    un'accettazione di-sinteressata e un'apertura senza limite in tutte
    le circostanze.

    Dobbiamo intendere quest'apertura come se fosse un campo da gioco per
    le nostre emozioni, interagendo con il nostro prossimo senza
    artificialità, senza manipolazione e senza strategia.

    Tutte le cose vanno sperimentate nella loro totalità, senza ritrarci
    in noi stessi come fanno le marmotte che si rifugiano nei loro buchi.
    Questa pratica libera quell'energia enorme che soli-tamente è
    trattenuta dal processo di mantenimento dei punti fissi di
    riferimento. La referen-zialità è il processo tramite il quale ci
    ritiriamo dall'esperienza diretta di tutti i giorni.

    All'inizio, l'essere presenti nel momento, potrebbe causare paura. Ma
    dando il benvenuto a questa sensazione di paura con completa
    apertura, infrangiamo le barriere create dagli abi-tuali modelli
    emozionali.

    Quando c'impegniamo nella pratica della scoperta dello spazio,
    dobbiamo sviluppare un sen-timento di completa apertura verso
    l'intero universo, aprendoci a lui con assoluta semplicità e nudità
    di mente. Questa è la potente nonché ordinaria pratica del lasciar
    cadere la nostra maschera d'autoprotezione.

    Quando meditiamo non dobbiamo creare un divisorio fra percezione e
    campo di percezione, non dobbiamo diventare come il gatto che osserva
    il topo. Dobbiamo capire che lo scopo della meditazione non è di
    andare "profondamente dentro di noi" né di ritirarci dal mondo. La
    pra-tica dev'essere libera e non concettuale, svincolata
    dall'introspezione e dalla concentrazione.

    Lo spazio della vasta saggezza, non originata e di luminosità
    propria, è il fondamento dell'essere, l'inizio e la fine della
    confusione. La presenza della consapevolezza nello stato primordiale
    non ha pregiudizi riguardo all'illuminazione o alla non
    illuminazione. Questo fondamento dell'essere, conosciuto come mente
    pura e originale, è la sorgente da cui sorgono tutti i fenomeni. È
    conosciuto come "grande madre", utero di tutte le potenzialità, in
    cui tutto il creato nasce e si dissolve, in modo naturalmente
    autoperfezionato e assolutamente sponta-neo.

    Tutti gli aspetti dei fenomeni sono completamente chiari e lucidi.
    L'intero universo è aperto, senz'ostruzione e tutte le cose
    s'interpenetrano vicendevolmente.

    Vedendo tutto in modo nudo, chiaro e libero da oscuramenti, nulla va
    più raggiunto o realiz-zato. La natura dei fenomeni appare
    naturalmente ed è naturalmente presente nella consa-pevolezza che
    trascende il tempo. Tutto è naturalmente perfetto così com'è. I
    fenomeni ap-paiono nella loro unicità, come parte di modelli
    continuamente cangianti. Tali modelli sono vibranti di motivo e di
    significato in ogni momento; tuttavia non c'è ragione di attaccarsi a
    lo-ro se non nell'attimo in cui si presentano.

    È la danza dei cinque elementi in cui la materia simboleggia
    l'energia e l'energia simboleggia il vuoto. Noi simboleggiamo la
    nostra stessa illuminazione. Senza sforzo né pratica la libera-zione
    o illuminazione è già qui.

    La pratica quotidiana dello Dzogchen è proprio la vita stessa di
    tutti i giorni. Poiché lo stato non ancora sviluppato non esiste, non
    c'è la necessità di comportarsi in un modo speciale né la necessità
    di raggiungere un qualcosa al di là di quello che già siamo. Non ci
    dev'essere al-cun desiderio di raggiungimento di qualche "fine
    straordinario" o di qualche "stato avanzato".

    Sforzarsi di raggiungere tali fini è una neurosi che non fa altro che
    condizionarci ed ostruire il libero flusso della Mente. È anche bene
    evitare di considerarci persone prive di valore giacché siamo
    naturalmente liberi e senza condizionamenti. Siamo intrinsecamente
    illuminati e non ci manca assolutamente niente.

    Quando facciamo pratica di meditazione dobbiamo sentirla come quando
    mangiamo, respi-riamo e defechiamo. Non deve diventare un evento
    speciale e formale, gonfiato di serietà e so-lennità. Dobbiamo
    comprendere che la meditazione trascende lo sforzo, la pratica, le
    mire, gli scopi e il dualismo fra liberazione e non liberazione. La
    meditazione è sempre ideale; non c'è bisogno di correggere alcunché.
    Essendo tutto ciò che sorge semplicemente il gioco della mente in
    quanto tale, non esiste una meditazione insoddisfacente né esiste il
    bisogno di giu-dicare buoni o cattivi i nostri pensieri.

    Allora dobbiamo solo sederci; stare semplicemente al nostro posto,
    nella nostra condizione così com'è. Dimenticando i nostri sentimenti
    autocoscienti non dobbiamo pensare "adesso sto meditando". La nostra
    pratica dev'essere senza sforzo, senza stress, senza controllo, senza
    forzature e senza il cercare d'essere "pacifici".

    Se ci accorgiamo di questi disturbi allora interrompiamo la nostra
    meditazione e semplice-mente ci riposiamo e ci rilassiamo per un po'.
    Poi riprendiamo la pratica. Se facciamo "espe-rienze interessanti",
    durante o dopo la meditazione, dobbiamo evitare di dar loro
    un'importanza speciale. Passare il proprio tempo ripensando alle
    nostre esperienze è sempli-cemente una distrazione ed un tentativo di
    diventare innaturali. Tali esperienze non sono al-tro che segni della
    pratica, e vanno considerati come eventi transitori. Non dobbiamo
    cercare di riavere quelle stesse esperienze perché tale approccio
    servirebbe solo a distorcere la spon-taneità naturale della mente.

    Tutti i fenomeni sono completamente nuovi e freschi, assolutamente
    unici e totalmente liberi da qualsiasi concetto di passato, presente
    e futuro. Essi sono sperimentati nell'atemporalità.

    Il flusso continuo di nuove scoperte, di rivelazioni e d'ispirazione,
    che sorge in ogni momento, è la manifestazione della nostra
    chiarezza. Dobbiamo imparare a vedere la vita d'ogni giorno come un
    mandala, frange luminose d'esperienza che s'irradiano spontaneamente
    dalla natu-ra vuota del nostro essere. Gli oggetti che giorno dopo
    giorno si manifestano nella nostra e-sperienza quotidiana, muovendosi
    nella danza e nel gioco dell'universo, sono aspetti del no-stro
    mandala. Tramite questo simbolismo il maestro interiore rivela il
    significato profondo e finale dell'essere. Dobbiamo quindi essere
    naturali e spontanei, accettando ed imparando da tutto. Ciò ci
    permette di cogliere il lato ironico e divertente di quegli eventi
    che solitamente ci irritano.

    Durante la meditazione possiamo vedere attraverso l'illusione del
    passato, presente e futuro. La nostra esperienza diventa la
    continuità dell'adesso perché il passato è solo una memoria
    inaffidabile conservata nel presente e il futuro è solo una
    proiezione delle nostre concezioni presenti. Il presente stesso
    svanisce non appena cerchiamo d'afferrarlo. E allora perché cer-care
    di dare una solida consistenza all'illusione?

    Dobbiamo liberarci dalle memorie e dai preconcetti passati
    concernenti la meditazione. Ogni attimo di meditazione è
    completamente unico e pregno di potenzialità. In tali momenti sare-mo
    incapaci di giudicare la nostra meditazione in termini d'esperienze
    passate, teorie sterili o vuota retorica.

    La semplice, diretta immersione nella meditazione dell'attimo
    presente, con tutto il nostro es-sere, liberi da esitazioni, noia o
    eccitazione, è l'illuminazione.



    Edited by dorjepizza - 12/6/2008, 20:07
     
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    Dorjepizza, significa che questa ultima istruzione è un'aggiunta di Italo e non sono parole di Dilgo Khyentse?
     
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35 replies since 10/6/2008, 21:06   1452 views
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