Corrente Theravada e Mahayana - differenze nella pratica di com-passione e nell´aspirazione

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  1. Paolo76
     
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    Se ho ben compreso, la corrente dello Hinayana o piccolo veicolo e' la piu' antica.
    Oramai vi e' rimasta solo la scuola Theravada, la dottrina degli anziani,e da quel poco che ho letto la dottrina di questa corrente asserrisce che solo i monaci possono raggiungere il nirvana precludendo quindi la salvazza ai laici. Lo scopo dei praticanti di questa corrente e' diventare arhat, cioe' colui che illuminato raggiunge quindi il nirvana senza cercare in alcun modo di mettersi a disposizione del prossimo...ma scusate non e' questa una forma enorme di egoismo? Questa corrente ha solleticato la mia curiosita', pero' non capisco come,chi pratica e aderisce allo Hinayana possa conciliare la compassione per la gente comune che ignora la realta' ultima delle cose con l'estremo egoismo e totale chiusura dei futuri arhat verso i tanti bisognosi di saggezza.
    In questo, personalmente, vedo nel Bodhisattva del Mahayana una figura enormente piu' commovente ed altruista anche se questa corrente da piu' enfasi al lato mistico e gnostico delle cose a differenza della prima corrente che ritiene i riti , le superstizioni e gli ossequi da evitare o quantomeno non le da' importanza particolare se non come una delle tante vie per raggiungere la riva opposta.
    Dato il mio carattere che e' piuttosto altruistico, vorrei sapere se in effetti il Theravada non si possa conciliare con questa mia peculiarita' e piuttosto intraprende il grande veicolo.
    Scusate, ma agli inizi, il disorientamento tra le miriadi di correnti e scuole e' vasto.
     
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    Sono due metodi differenti con enfasi differenti adatti a persone diverse. Evitiamo il termine Hinayana.

    Theravada
    CITAZIONE
    Canto di metta

    Possa io essere libero dal pericolo e dal male
    essere libero dalla sofferenza mentale
    essere libero dalla sofferenza fisica
    avere cura di me stesso e vivere serenamente

    possano mia madre e mio padre,
    i miei insegnanti,
    parenti ed amici
    e i compagni spirituali
    essere liberi dal pericolo e dal male
    essere liberi dalla sofferenza mentale
    essere liberi dalla sofferenza fisica
    aver cura di se stessi e vivere serenamente

    in questo monastero/boschetto
    possano tutti gli yogis/meditatori
    essere liberi dal pericolo e dal male
    essere liberi dalla sofferenza mentale
    essere liberi dalla sofferenza fisica
    aver cura di se stessi e vivere serenamente

    in questo monastero/boschetto
    possano tutti i monaci
    e novizi
    i laici
    e le laiche
    essere liberi dal pericolo e dal male
    essere liberi dalla sofferenza mentale
    essere liberi dalla sofferenza fisica
    aver cura di se stessi e vivere serenamente

    possano i miei benefattori
    essere liberi dal pericolo e dal male
    essere liberi dalla sofferenza mentale
    essere liberi dalla sofferenza fisica
    aver cura di se stessi e vivere serenamente

    possano le nostre divinità protettrici
    in questo tempio
    in questa residenza
    in questo posto
    possano le divinità protettrici
    essere libere dal pericolo e dal male
    essere libere dalla sofferenza mentale
    essere libere dalla sofferenza fisica
    aver cura di se stesse e vivere serenamente
    possano tutti gli esseri
    tutte le cose viventi
    tutte le creature
    tutti gli individui
    tutte le personalità
    possa tutto il genere femminile
    tutto il genere maschile
    tutti gli illuminati/saggi
    tutti coloro che non sono illuminati/saggi
    possano tutte le divinità
    tutti gli esseri umani
    tutti coloro che sono in uno stato/reame infelice
    essere liberi dal pericolo e dal male
    essere liberi dalla sofferenza mentale
    essere liberi dalòla sofferenza fisica
    aver cura di se stessi e vivere serenamente
    possano godere di ciò che possiedono
    senza perdita alcuna
    avendo il kamma come loro vera proprietà

    in direzione dell’est
    in direzione dell’ovest
    in direzione del nord
    in direzione del sud
    in direzione sud-est
    in direzione nord-ovest
    in direzione nord-est
    in direzione sud-ovest
    in direzione del basso
    in direzione dell’alto

    possano tutti gli esseri
    tutte le cose viventi
    tutte le creature
    tutti gli individui
    tutte le personalità
    possa tutto il genere femminile
    tutto il genere maschile
    tutti gli illuminati/saggi
    tutti coloro che non son illuminati/saggi
    possano tutte le divinità
    tutti gli esseri umani
    tutti coloro che sono in uno stato/reame infelice
    essere liberi dal pericolo e dal male
    essere liberi dalla sofferenza mentale
    essere liberi dalla sofferenza fisica
    aver cura di se stessi e vivere serenamente
    possano godere di ciò che possiedono
    senza perdita alcuna
    avendo il kamma come loro vera proprietà

    versol’alto fino alla più elevata esistenza
    e scendendo fino a quella più bassa
    nell’intero universo
    qualsiasi essere che si muove sulla terra
    possa essere libero dalla sofferenza e dal male
    e dalla sofferenza fisica e dal pericolo

    verso l’alto fino alla più eleveta esistenza
    e scendendo fino a quella più bassa
    nell’intero universo
    qualsiasi essere che si muove nell’acqua
    possa essere libero dalla sofferenza e dal male
    e dalla sofferenza fisica e dal pericolo

    verso l’alto fino alla più elevata esistenza
    e scendendo giù fino a quella più bassa
    nell’intero universo
    qualsiasi essre che si muove nell’aria
    possa essere libero dalla sofferenza e dal male
    e dalla sofferenza fisica e dal pericolo

    Preghiera di dedica ai Precetti

    di Shantideva,

    CITAZIONE
    Possano tutti gli esseri in ogni luogo,
    Piagati dalla sofferenza di corpo e mente,
    Ottenere un oceano di felicità e gioia
    Per la virtù dei miei meriti.
    Possa nessuna creatura vivente soffrire,
    Commettere cattive azioni o anche ammalarsi.
    Possa nessuno aver paura o sentirsi sminuito,
    Con una mente oppressa dalla depressione.

    Possano i ciechi vedere le forme,
    Ed i sordi udire i suoni.
    Possano coloro i cui corpi sono esausti per la fatica
    Essere ristorati trovando riposo.

    Possano i nudi trovare da vestirsi
    Gli affamati trovare cibo .
    Possano gli assetati trovare acqua
    E bevande deliziose .

    Possano i poveri trovare ricchezza ,
    Quelli indeboliti dal dolore trovare gioia .
    Possano gli abbandonati trovare speranza,
    Costante felicità e prosperità.

    Possano esserci piogge al tempo giusto
    E felici raccolti.
    Possano tutte le medicine essere efficaci
    E salutari preghiere portare frutto.

    Possano tutti quelli che sono indisposti e ammalati
    Velocemente essere liberati dai loro disturbi..
    Qualsiasi malattia esistente nel mondo,
    Possa non accadere più.

    Possano gli spaventati cessare di aver paura
    E coloro imprigionati essere liberati.
    Possano coloro senza forza trovare vigore
    E possano le persone pensare di essere di beneficio gli uni agli altri.

    La com-passione e´ una qualita´ umana prima che buddhista.

    mahayana
    www.centromunigyana.it/Download/Bodhicitta.pdf

    Theravada e Mahayana
    http://en.wikipedia.org/wiki/Luminous_mind

    Secondo alcuni theravada la menta luminosa e´ il Bhavanga: il piu´ fondamentale aspetto della mente, quello che motiva alla ricerca del Nibbana (arahat)
    http://en.wikipedia.org/wiki/Bhavanga



    A seguito viene citato il Bhavanga:
    CITAZIONE
    Peter Della Santina

    L'ALBERO DELL'ILLUMINAZIONE

    CAPITOLO XXI
    ANALISI DEI PROCESSI DEL PENSIERO
    Tradotto in italiano da Silvana Ziviani
    La diffusione dei testi tradotti è consentita in qualsiasi modo tranne che a fini di lucro

    In questo capitolo esamineremo in modo più specifico e diretto come l’analisi della coscienza e l’analisi degli stati mentali possano contribuire al risveglio dell’intuizione e anche come tale analisi possa essere interpretata nella vita quotidiana al fine di cambiare la comprensione della situazione in cui ci troviamo.

    Perché dunque analizzare i processi del pensiero o i processi della percezione? Per rispondere a questa domanda dobbiamo rammentarci che lo scopo principale dell’Abhidharma, è quello di facilitare la comprensione della natura ultima delle cose, che hanno tutte le tre caratteristiche universali di impermanenza, sofferenza e non sé. Nell’analisi dei processi di pensiero possiamo vedere chiaramente l’impermanenza e il non sé, come mostrano due analogie riportate dal Buddha. Il Buddha paragonò la durata di vita di un essere vivente a un punto preciso sulla ruota di un carro. Egli disse che, a rigore, un essere vivente dura solo il tempo che prende un pensiero a sorgere e a svanire, così come la ruota del carro, sia che giri o stia ferma, tocca il terreno in un solo punto. In questo contesto il momento passato è esistito, ma non esiste ora, né esisterà mai più in futuro; il momento presente esiste ora, ma non è esistito in passato né mai esisterà in futuro e il momento futuro, sebbene esisterà in futuro, non esiste ora né è esistito nel passato.

    Il Buddha fa anche l’analogia con un re che non aveva mai sentito il suono di un liuto. Quando ne udì uno, chiese ai suoi ministri cos’era quella cosa così incantevole e affascinante. I ministri dissero che era il suono di un liuto. Il re chiese di averne uno e quando i ministri glielo portarono, il re chiese dov’era il suono. Quando i ministri gli spiegarono che il suono era prodotto dalla combinazione di vari fattori, il re disse che il liuto non valeva niente, lo ruppe con le sue mani e ne fece bruciare i pezzi e gettar via la cenere. Il re disse che ciò che i ministri chiamavano il suono del liuto non era rintracciabile da nessuna parte. Allo stesso modo in nessuno dei fattori fisici e mentali dell’esperienza (i fattori di forma, sensazione, percezione, volizione e coscienza) è rintracciabile un sé. Come il suono del liuto così i processi di pensiero sono privi di un sé.

    L’analisi dei processi di pensiero la si applica specificamente all’area dello sviluppo mentale, della padronanza e del controllo degli oggetti dei sensi.

    Abbiamo parlato in precedenza della sensibilità della mente verso gli oggetti dei sensi e abbiamo detto che la mente è continuamente soggetta a distrazioni che sorgono dal contatto con cose visibili, tangibili, con suoni, odori, gusti e oggetti tattili. Il Buddha stesso disse che uno o è conquistato dagli oggetti dei sensi o li conquista: in altre parole o uno è soggetto e controllato dagli stimoli sensoriali o cerca di dominarli. Nagarjuna una volta disse che anche un animale può vincere una battaglia, ma il vero eroe è colui che riesce a conquistare i momentanei e sempre mutevoli oggetti dei sensi.

    Quando uno soggioga, domina e controlla gli oggetti dei sensi, diciamo che è vigile. La vigilanza è simile alla consapevolezza, che il Buddha indicò come una delle vie verso la liberazione. La mancanza di vigilanza è la sorgente della morte e della schiavitù nel samsara, mentre la vigilanza è la sorgente della non morte o Nirvana. Chi era prima incurante e poi diventa vigile, come Nanda e Angulimala, riesce a raggiungere il traguardo della liberazione.

    Analizzare e comprendere come la coscienza percepisca e assimili l’oggetto dei sensi prepara la strada verso la Retta Comprensione dell’impermanenza e del non sé, e verso il controllo sui mutevoli oggetti dei sensi. Infine perfezioniamo la vigilanza, che è la chiave per mezzo della quale possiamo trasformare la nostra vita, facendola cambiare da una dominata dalle afflizioni a una purificata e nobile.

    Possiamo cominciare l’analisi dei processi di pensiero esaminando il posto che essi hanno nella nostra esperienza. Paragoniamo la vita a un fiume che ha una sorgente e uno sbocco. Tra la vita e la morte, tra la sorgente del fiume e il suo sbocco vi è un continuum ma non un’identità. In termini abhidharmici la nascita o rinascita (patisandhi) è il fattore che “unisce” o “connette”, mentre il continuum vitale è il fattore “subconscio” (bhavanga) e la morte è il fattore della “disintegrazione” (chuti). Questi tre fattori hanno in comune il loro oggetto che è l’ultimo fattore conscio della vita precedente. E’ questo oggetto che li rende fattori di coscienza risultanti salutari o non salutari.

    In questo contesto è importante tenere presente che bhavanga fluisce insieme al karma riproduttivo, che dà le caratteristiche generali a una particolare vita e la sostiene finché viene interrotta o si esaurisce.

    Perciò il passato, presente e futuro di una vita sono uniti, non solo consciamente per mezzo di patisandhi, bhavanga e chuti, ma anche a livello subconscio dal solo bhavanga. Questo fattore subconscio di continuum vitale mantiene la continuità e sostiene la vita anche in assenza di processi di pensiero coscienti, come nel sonno senza sogni o in momenti di incoscienza come il coma. Tra l’uno e l’altro dei vari processi di pensiero coscienti, riappare nuovamente bhavanga , preservando così la continuità della vita.

    Riassumendo, la nostra vita comincia con il fattore cosciente di unione o connessione (patisandhi), che ricollega la vita precedente a questa vita. E’ sostenuto durante tutto il corso di questa vita dal fattore subconscio del continuum vitale (bhavanga) e finisce con la disintegrazione (chuti) che di nuovo precede la connessione (sotto forma di patisandhi) con la vita seguente.

    La coscienza, come contrapposizione a subcoscienza (bhavanga), sorge come un fenomeno di resistenza e vibrazione. In altre parole bhavanga rimane subconscia finché non viene interrotta o ostruita da un oggetto, come quando costruiamo una diga in un fiume, interrompendone così il corso o sottoponendo una corrente elettrica a resistenza in modo che appaia il fenomeno “luce”. Il contatto tra bhavanga e un oggetto procura una resistenza, che a sua volta risulta in vibrazione che sfocia infine in un processo di pensiero cosciente. I processi di pensiero che risultano da questa interruzione sono sia processi di pensiero fisici che operano attraverso le cinque porte dei sensi (occhi, orecchie, naso, lingua e corpo) sia processi di pensiero mentali che operano tramite la mente, il sesto organo dei sensi. I processi di pensiero fisici sono determinati dall’intensità, o impatto, dell’oggetto che causa l’interruzione del flusso del continuum vitale. Perciò più l’ostruzione è forte più lungo sarà il processo di pensiero e viceversa.

    Ci sono quattro tipi di processi fisici di pensiero, che vanno da quello che si svolge in 17 momenti-pensiero a quello che non raggiunge neanche il punto di determinazione o identificazione dell’oggetto (meno di otto momenti-pensiero). Ci sono due tipi di processi mentali di pensiero, uno detto “chiaro” che arriva fino alla assimilazione, cioè allo stadio finale, del processo stesso, e l’altro detto “scuro” che finisce prima dello stadio finale di assimilazione. La maggiore o minore intensità e lunghezza del processo di pensiero dipendono dall’intensità dell’ostruzione nel flusso subconscio del continuum vitale.

    Diamo un’occhiata ai 17 momenti-pensiero che formano il più lungo processo di pensiero sia fisico che mentale. Ricordiamo che ognuno di questi momenti-pensiero dura meno di un miliardesimo di un batter d’occhio. Per cui quando il Buddha disse che un essere dura quanto un momento-pensiero, si riferiva a un tempo estremamente breve. Il primo di questi momenti-pensiero è detto “entrata” e si riferisce a un oggetto che irrompe nella corrente del continuum vitale oppure al sorgere di un’ostruzione nel fiume della vita.

    Il secondo momento è detto “vibrazione” perché la ripercussione di un oggetto sulla corrente del continuum vitale produce una vibrazione.

    Il terzo è un momento di “arresto” perché a questo punto l’ostruzione interrompe o arresta la corrente del continuum vitale.

    A questo punto ci si può chiedere come mai la corrente del continuum vitale (bhavanga), avente il proprio oggetto che forma la base del fattore di unione (patisandhi) e del fattore di disintegrazione (chuti), possa avere un oggetto secondario sotto forma di un oggetto materiale dei sensi. Ciò si spiega con un’analogia. Buddhagosha disse che se uno battesse su uno dei granelli di zucchero sparsi sulla superficie di un tamburo, causerebbe una vibrazione che raggiungerebbe una mosca posata su un altro granello sul tamburo; allo stesso modo gli oggetti materiali dei cinque sensi fisici hanno una ripercussione che fa vibrare bhavanga.

    Una volta che questi tre momenti (entrata, vibrazione e arresto o interruzione) hanno avuto luogo, l’oggetto entra nella sfera cosciente attraverso il quarto momento-pensiero, chiamato della “coscienza risonante”. Nel caso di un processo fisico di pensiero, la coscienza risonante può essere di cinque tipi: occhio, orecchio, naso, lingua e corpo.

    A questo succede il quinto momento, la coscienza “percipiente” che può essere di cinque tipi: coscienza dell’occhio, coscienza dell’orecchio, ecc.

    Segue poi il sesto momento, la “coscienza ricevente”; il settimo, la “coscienza investigativa” e l’ottavo momento, la “coscienza determinante”. E’ la coscienza determinante che identifica e riconosce l’oggetto percepito.

    Questa coscienza determinante è seguita da sette momenti di “coscienza-impulso” (javana), che ha la funzione di ‘attraversare’ l’oggetto assimilandolo così completamente nella coscienza. I momenti-pensiero dal nono al quindicesimo sono seguiti da due momenti di coscienza risultante o assimilativa, il che porta il tutto a 17 momenti-pensiero. I sette momenti di coscienza-impulso sono karmicamente attivi e possono essere salutari o non salutari. Anche i momenti di coscienza risultante o assimilativa possono essere sia salutari che non salutari.

    In funzione della pratica, è importante sapere a che punto di questi 17 momenti-pensiero si è liberi di agire sia nel bene che nel male. I tre primi momenti di bhavanga sono risultanti. La coscienza risonante e la coscienza determinante (4 e 8) sono funzionali. La coscienza percipiente (5) è risultante. Quindi solo i sette momenti di coscienza-impulso (javana) (da 9 a 15) sono i primi momenti-pensiero karmicamente attivi. Il primo di questi sette momenti determina gli altri sei, per cui se è salutare anche gli altri saranno salutari e se non è salutare anche il resto non sarà salutare.

    E’ al punto in cui la coscienza determinante (8) è seguita dai sette momenti-impulso che gli stati risultanti o funzionali diventano stati attivi. Questo è il punto più importante del processo di pensiero perché, anche se non si può alterare il carattere degli stati risultanti o funzionali, lo si può invece fare negli stati attivi, che hanno un potenziale salutare o non salutare. Perciò è estremamente importante la presenza della retta attenzione all’inizio del sorgere dei momenti javana. Se è presente la retta attenzione è più probabile che gli impulsi siano salutari, ma se è assente è più facile che prevalgano gli impulsi non salutari.

    L’oggetto di questi 17 momenti-pensiero non è di per sé rilevante perché, sia esso desiderabile o spiacevole, comunque non determina la qualità salutare o non salutare dei sette momenti-impulso. A questo proposito è interessante ricordare il caso del Venerabile Tissa: avvenne che la nuora di una certa famiglia, avendo litigato col marito, indossasse i suoi vestiti migliori e tutti i gioielli che aveva e si mise in cammino per ritornare dalla sua famiglia. Quando incontrò il venerabile Tissa, avendo un carattere sfrontato, gli rise in faccia. Vedendo i suoi denti, il venerabile Tissa reagì con la percezione della repulsione del corpo e a causa della forza di questa percezione divenne immediatamente un arahat. Quando il marito della donna arrivò sul luogo, chiese a Tissa se avesse visto passare una donna, l’arahat replicò che non sapeva se era un uomo o una donna, ma sapeva di aver visto un mucchio di ossa che camminava lungo la strada. Questa storia sta a significare che qualunque sia la coscienza determinante, i sette momenti seguenti di coscienza impulso possono portare direttamente sia allo stato di arahat che a un ulteriore cumulo di momenti di coscienza che hanno un valore karmico non salutare. A un altro uomo che non fosse stato Tissa, la vista di una donna che ride avrebbe potuto suscitare impulsi radicati nella lussuria piuttosto che quelli che portano alla realizzazione dello stato di arahat.

    Dato che la retta attenzione o la mancanza di essa determina il valore karmico dei momenti-impulso che seguono, dobbiamo sempre mantenere la retta attenzione per aumentare le probabilità che sorgano momenti-pensiero di coscienza salutare.

    Vorrei concludere con una nota similitudine che Buddhagosha usa ne “La via della purificazione” (Visuddhi Magga) per illustrare i 17 momenti di coscienza del processo-pensiero. Mettiamo che un uomo si sia addormentato ai piedi di un mango pieno di frutti maturi. Un mango maturo si stacca dall’albero e cade a terra. Il suono del mango che cade a terra stimola l’orecchio dell’uomo addormentato, che si sveglia, apre gli occhi e vede il frutto per terra non lontano da lui. Allunga il braccio e prende in mano il frutto. Lo stringe, lo annusa e poi lo mangia. L’intero processo illustra i 17 momenti di percezione di un oggetto fisico. Il suono del mango che cade si ripercuote nelle orecchie dell’uomo analogamente ai tre momenti di bhavanga: entrata, vibrazione e interruzione. Quando l’uomo usa gli occhi e scopre il mango è analogo ai momenti di coscienza risonante e percipiente; quando allunga la mano per prendere il frutto, al momento della ricezione; quando stringe in mano il mango corrisponde al momento investigativo; quando lo odora al momento determinante; quando lo mangia e lo gusta ai sette momenti di coscienza-impulso; e anche se Buddhagosha non ne parla, aggiungiamo che quando digerisce il frutto corrisponde ai due momenti risultanti di assimilazione.

    Se esaminiamo attentamente i processi-pensiero e se siamo in grado di controllarli con la retta attenzione, avremo una profonda comprensione della natura ultima delle cose, che si riveleranno impermanenti e non sé. Questa analisi può portare anche a dominare gli oggetti dei sensi, e questo avrà come risultato distacco, gioia e libertà.

    Dobbiamo perciò applicare alla nostra esperienza quotidiana la conoscenza che acquistiamo sulla natura mutevole, condizionata e impermanente dei processi di pensiero e percezione, al fine di promuovere quella comprensione e quella retta attenzione che ci danno la possibilità di moltiplicare i momenti di potenziale karmico salutare e minimizzare quelli di potenziale karmico non salutare. Se siamo capaci di farlo, significa che siamo riusciti ad estendere lo studio dell’Abhidharma dalla pura sfera intellettuale a quella pratica ed esperienziale.



    Edited by YogaChakra - 15/4/2010, 15:47
     
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    AN 1.49-52
    PTS: A i 10 (I,v,9-10; I,vi,1-2)
    Pabhassara Sutta: Luminous
    translated from the Pali by
    Thanissaro Bhikkhu

    "Luminous, monks, is the mind.1 And it is defiled by incoming defilements." {I,v,9}

    "Luminous, monks, is the mind. And it is freed from incoming defilements." {I,v,10}

    "Luminous, monks, is the mind. And it is defiled by incoming defilements. The uninstructed run-of-the-mill person doesn't discern that as it actually is present, which is why I tell you that — for the uninstructed run-of-the-mill person — there is no development of the mind." {I,vi,1}

    "Luminous, monks, is the mind. And it is freed from incoming defilements. The well-instructed disciple of the noble ones discerns that as it actually is present, which is why I tell you that — for the well-instructed disciple of the noble ones — there is development of the mind." {I,vi,2}
    Note

    1.

    This statement has engendered a great deal of controversy over the centuries. The commentary maintains that "mind" here refers to the bhavanga-citta, the momentary mental state between periods when the mental stream adverts to objects, but this statement raises more questions than it answers. There is no reference to the bhavanga-citta or the mental stream in any of the suttas (they appear first in an Abhidhamma treatise, the Patthana); and because the commentaries compare the bhavanga-citta to deep sleep, why is it called luminous? And why would the perception of its luminosity be a prerequisite for developing the mind? And further, if "mind" in this discourse means bhavanga-citta, what would it mean to develop the bhavanga-citta?

    Another interpretation equates the luminosity of the mind with the "consciousness without feature," desribed as "luminous" in MN 49 and DN 11, but this interpretation also has problems. According to MN 49, that consciousness partakes of nothing in the describable world, not even the "Allness of the All," so how could it possibly be defiled? And, because it is not realized until the goal of the practice is reached, why would the perception of its luminosity be a prerequisite for developing the mind? And again, if "mind" here means consciousness without feature, how could the sutta talk of its development?

    A more reasonable approach to understanding the statement can be derived from taking it in context: the luminous mind is the mind that the meditator is trying to develop. To perceive its luminosity means understanding that defilements such as greed, aversion, or delusion are not intrinsic to its nature, are not a necessary part of awareness. Without this understanding, it would be impossible to practice. With this understanding, however, one can make an effort to cut away existing defilements, leaving the mind in the stage that MN 24 calls "purity in terms of mind." This would correspond to the luminous level of concentration described in the standard simile for the fourth jhana: "And furthermore, with the abandoning of pleasure & pain — as with the earlier disappearance of elation & distress — he enters & remains in the fourth jhana: purity of equanimity & mindfulness, neither-pleasure-nor-pain. He sits, permeating the body with a pure, bright awareness. Just as if a man were sitting covered from head to foot with a white cloth so that there would be no part of his body to which the white cloth did not extend; even so, the monk sits, permeating the body with a pure, bright awareness. There is nothing of his entire body unpervaded by pure, bright awareness." From this state it is possible to develop the discernment that not only cuts away existing defilements but also uproots any potential for them to ever arise again. Only in the stages of Awakening that follow on those acts of discernment would "consciousness without feature" be realized.

     
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    sempre il bhavanga:
    www.forum.websangha.org/viewtopic.php?f=12&t=659&p=10278
    Arahat:
    CITAZIONE
    It is a gaze that is neither conscious nor non-conscious[4], neither attentive nor non-attentive[5], neither fixed nor not fixed[6] -- a gaze that knows no horizon[7]."

     
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  5. ebbubba
     
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    CITAZIONE (Paolo76 @ 15/4/2010, 14:55)
    Se ho ben compreso, la corrente dello Hinayana o piccolo veicolo e' la piu' antica.
    Oramai vi e' rimasta solo la scuola Theravada, la dottrina degli anziani,e da quel poco che ho letto la dottrina di questa corrente asserrisce che solo i monaci possono raggiungere il nirvana precludendo quindi la salvazza ai laici. Lo scopo dei praticanti di questa corrente e' diventare arhat, cioe' colui che illuminato raggiunge quindi il nirvana senza cercare in alcun modo di mettersi a disposizione del prossimo...ma scusate non e' questa una forma enorme di egoismo? Questa corrente ha solleticato la mia curiosita', pero' non capisco come,chi pratica e aderisce allo Hinayana possa conciliare la compassione per la gente comune che ignora la realta' ultima delle cose con l'estremo egoismo e totale chiusura dei futuri arhat verso i tanti bisognosi di saggezza.
    In questo, personalmente, vedo nel Bodhisattva del Mahayana una figura enormente piu' commovente ed altruista anche se questa corrente da piu' enfasi al lato mistico e gnostico delle cose a differenza della prima corrente che ritiene i riti , le superstizioni e gli ossequi da evitare o quantomeno non le da' importanza particolare se non come una delle tante vie per raggiungere la riva opposta.
    Dato il mio carattere che e' piuttosto altruistico, vorrei sapere se in effetti il Theravada non si possa conciliare con questa mia peculiarita' e piuttosto intraprende il grande veicolo.
    Scusate, ma agli inizi, il disorientamento tra le miriadi di correnti e scuole e' vasto.

    non è vero, il buddha stesso in dei sutta ( credo addirittura in quello del parinibbana)dice che ci sono monaci, monache, laici e laiche Liberati quindi anche un laico può raggiungere il Risveglio.
    Nessun monaco Theravada , almeno non quelli che conosco io , ti vietera di praticare la dottrina Theravada con lo scopo aiutare gli altri esseri senzienti a raggiungere il risveglio, anche nel Theravada ad esempio c'è la dedica dei meriti.
    Egoismo? vai un giorno al Santacittarama e vedi quanto sono egoisti i monaci Tharavada.
    Il fatto che secondo il Theravada una volta raggiunto lo stato di Arhant e lasci il corpo fisico non puoi tornare indietro dal parinibbana al momento della morte, non significa che se uno diviene Arhant si chiude in una grotta e fa il gesto dell'ombrello a tutti quanti.
    Fai una bella cosa:
    nella mia firma c'è il link al santacittarama, li ci sono i contatti, chiedi a loro invece che sul forum, e così hai risposte direttamente da chi ne sa di più sul Theravada

     
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  6. Paolo76
     
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    CITAZIONE
    evitiamo il termine Hinayana

    Perche'? E' dispregiativo? Sono un assoluto neofita, vi chiedo pazienza

    CITAZIONE
    non è vero, il buddha stesso in dei sutta ( credo addirittura in quello del parinibbana)dice che ci sono monaci, monache, laici e laiche Liberati quindi anche un laico può raggiungere il Risveglio.
    Nessun monaco Theravada , almeno non quelli che conosco io , ti vietera di praticare la dottrina Theravada con lo scopo aiutare gli altri esseri senzienti a raggiungere il risveglio, anche nel Theravada ad esempio c'è la dedica dei meriti.
    Egoismo? vai un giorno al Santacittarama e vedi quanto sono egoisti i monaci Tharavada.
    Il fatto che secondo il Theravada una volta raggiunto lo stato di Arhant e lasci il corpo fisico non puoi tornare indietro dal parinibbana al momento della morte, non significa che se uno diviene Arhant si chiude in una grotta e fa il gesto dell'ombrello a tutti quanti.
    Fai una bella cosa:
    nella mia firma c'è il link al santacittarama, li ci sono i contatti, chiedi a loro invece che sul forum, e così hai risposte direttamente da chi ne sa di più sul Theravada

    Ok,gia' mi e' piu' chiara la questione.
    Per quanto riguarda la visita a Santacittarama,chissa' un giorno che capito a Roma...magari si.

     
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  7. Mauro1971
     
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    CITAZIONE (ebbubba @ 15/4/2010, 16:32)
    CITAZIONE (Paolo76 @ 15/4/2010, 14:55)
    Se ho ben compreso, la corrente dello Hinayana o piccolo veicolo e' la piu' antica.
    Oramai vi e' rimasta solo la scuola Theravada, la dottrina degli anziani,e da quel poco che ho letto la dottrina di questa corrente asserrisce che solo i monaci possono raggiungere il nirvana precludendo quindi la salvazza ai laici. Lo scopo dei praticanti di questa corrente e' diventare arhat, cioe' colui che illuminato raggiunge quindi il nirvana senza cercare in alcun modo di mettersi a disposizione del prossimo...ma scusate non e' questa una forma enorme di egoismo? Questa corrente ha solleticato la mia curiosita', pero' non capisco come,chi pratica e aderisce allo Hinayana possa conciliare la compassione per la gente comune che ignora la realta' ultima delle cose con l'estremo egoismo e totale chiusura dei futuri arhat verso i tanti bisognosi di saggezza.
    In questo, personalmente, vedo nel Bodhisattva del Mahayana una figura enormente piu' commovente ed altruista anche se questa corrente da piu' enfasi al lato mistico e gnostico delle cose a differenza della prima corrente che ritiene i riti , le superstizioni e gli ossequi da evitare o quantomeno non le da' importanza particolare se non come una delle tante vie per raggiungere la riva opposta.
    Dato il mio carattere che e' piuttosto altruistico, vorrei sapere se in effetti il Theravada non si possa conciliare con questa mia peculiarita' e piuttosto intraprende il grande veicolo.
    Scusate, ma agli inizi, il disorientamento tra le miriadi di correnti e scuole e' vasto.

    non è vero, il buddha stesso in dei sutta ( credo addirittura in quello del parinibbana)dice che ci sono monaci, monache, laici e laiche Liberati quindi anche un laico può raggiungere il Risveglio.
    Nessun monaco Theravada , almeno non quelli che conosco io , ti vietera di praticare la dottrina Theravada con lo scopo aiutare gli altri esseri senzienti a raggiungere il risveglio, anche nel Theravada ad esempio c'è la dedica dei meriti.
    Egoismo? vai un giorno al Santacittarama e vedi quanto sono egoisti i monaci Tharavada.
    Il fatto che secondo il Theravada una volta raggiunto lo stato di Arhant e lasci il corpo fisico non puoi tornare indietro dal parinibbana al momento della morte, non significa che se uno diviene Arhant si chiude in una grotta e fa il gesto dell'ombrello a tutti quanti.
    Fai una bella cosa:
    nella mia firma c'è il link al santacittarama, li ci sono i contatti, chiedi a loro invece che sul forum, e così hai risposte direttamente da chi ne sa di più sul Theravada

    Molto vero!

    Pensare che un Arath (o Arant) possa avere anche solo il minimo "goccio" di egoismo é un errore. Se così fosse, non potrebbe essere un Arath.

    Le differenze ci sono tra Theravada e Mahayana, ma non sono così grossolane, sono più sottili, ed a mio parere diventano di nessuna importanza nel momento in cui uno trova la propria Scuola. Ogni insegnamento del Buddha non può che essere "definitivo" per il praticante al quale é rivolto.
    Questo é pure chiaramente asserito nei Sutra Mahayana.

    Il discorso che si sente sulle differenze tra "Hinayana (uso questo termine perché é quello usato negli insegnamenti e non é riferito al Theravada invero) e Mahayana" sono invero più che altro metodi per far comprendere al curioso, al neofito e ricordare al praticante quanto sia importante praticare per gli altri.
    La dedica dei meriti come ha fatto notare Ebubba é presente in tutti i Metodi.
    Lo sviluppo di Bodhicitta invece no. Per un praticante Mahayana la "Bodhicitta Assoluta" é l'Illuminazione, la Buddhità, il Dharmakaya, il Rigpa: sono tutti sinonimi.
    Noi ci si arriva per questa strada, che non é detto sia "migliore o peggiore" di un'altra.
    Il punto di vista é la qualità della pratica del praticante, non una gerarchia tra Scuole.


    P.S.: Si, il termine "Hinayana" é considerato dispregiativo da parte dei praticanti Theravada. Anche se noi non lo abbiamo mai inteso in questo senso però per rispetto verso di loro e la loro Scuola cerchiamo di non usarlo, se non strettamente necessario.
     
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    Brutto

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    e´ vero quello che ha detto ebbu, non e´ vero che si diventa egoisti con il theravada.


    Secondo la prospettiva mahayana e´ il seguente.
    da http://www2.fodian.net/world/largeprajnaparamita.pdf
    CITAZIONE
    It is then said that the wisdom of a Bodhisattva is superior to that of the Arhats, because in his compassion he puts it at the disposal of all beings, so that they may be able to win Nirvana. This superiority is based on the “thought of enlightenment” (see A2), and the 6 perfections (P 41), and it finds an expression in the fact that, as the source of all that is good in the world, the Bodhisattvas are worthy of the gifts of all beings, including the Arhats.

    CITAZIONE
    A2. The “thought of enlightenment” is (a) the decision to win full enlightenment, or all-knowledge; (b) the desire for the welfare of others. Emptiness and Compassion are it two constituents. It makes one into a Bodhisattva. The term is used twofold19: 1. For the initial, first, production of the thought of enlightenment, the “vow”20. 2. For the marching towards21 enlightenment. In the second sense it covers the entire career of a Bodhisattva, and its 22 forms correspond to its stages (cf. III1f), and end in Buddhahood. The 22 kinds of P are also found in Asanga’s Sutralamkara (ch. IV. 15-20), although in a different order.

    dal sutra:
    CITAZIONE
    Through making just this path of development preponderant and developing it, he will forsake greed for the world of form, greed for the formless world, ignorance, conceit and excitedness.269 He is then the person who is called an Arhat”.

     
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  9. Paolo76
     
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    CITAZIONE
    e´ vero quello che ha detto ebbu, non e´ vero che si diventa egoisti con il theravada.

    Attenzione, non era mia intenzione dire che chi pratica la theravada diventa egoista...
     
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  10. DAVIDESAR
     
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    Il mo mentore, Ven. Sumana Siri, dice spesso che il Theravada enfatizza l'aspetto personalistico,(la propria liberazione),
    il Mahayana enfatizza l'aspetto altruistico ( la liberazione degli altri esseri),
    mentre il Buddhismo originario comprende entrambi, ed è detto universalistico. ( la propria liberazione come mezzo per aiutare gli altri a liberarsi tramite il Dhamma)
    c'è un verso del Dhammapada che asserisce questa cosa.
    Sono accenti diversi dello stesso sentiero.
    Metta,
    Da.
     
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  11. ebbubba
     
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    CITAZIONE (Paolo76 @ 15/4/2010, 14:55)
    Attenzione, non era mia intenzione dire che chi pratica la theravada diventa egoista

    Primo intervento
    Lo scopo dei praticanti di questa corrente e' diventare arhat, cioe' colui che illuminato raggiunge quindi il nirvana senza cercare in alcun modo di mettersi a disposizione del prossimo...ma scusate non e' questa una forma enorme di egoismo?

    certo che leggendo questo tuo primo intervento si capisce proprio che non era tua intenzione......
     
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  12. menterespira
     
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    CITAZIONE (Paolo76 @ 15/4/2010, 14:55)
    Dato il mio carattere che e' piuttosto altruistico, vorrei sapere se in effetti il Theravada non si possa conciliare con questa mia peculiarita' e piuttosto intraprende il grande veicolo.

    Ciao!
    A livello pratico Mahayana non vuol dire molto. Ci sono molte correnti che sono molto più diverse fra di loro che rispetto al Theravada. Ad esempio (a livello pratico, non dottrinale) non c'è una grossa differenza fra maestri Zen e maestri Thera.
    Le altre scuole (Nichiren, Amidisti..) onestamente le conosco in maniera molto approssimativa.

    Detto questo, sempre a livello pratico, di solito i Thera tendono a enfatizzare sia nella pratica formale (meditazione) che nella vita quotidiana generosità, amore, compassione più degli zenisti.

    Se vuoi approfondire amore verso il prossimo e generosità, è probabile che ti troverai bene in un centro Thera. Oppure in un centro di Tich Nhat Hanh, un maestro zen un po' atipico.

    A mio modesto avviso le questioni del tipo: nel "Theravada un laico non consegue il nirvana"/"nel Theravada l'illuminato non aiuta più gli altri esseri viventi" sono utili per i sociologi e gli studiosi, ma del tutto prive di rilievo pratico.

    In bocca al lupo per la tua strada.

    ps
    in realtà neanche Zen e Theravada vuol dire molto. Il grosso delle differenze dipendono dal maestro e dal sangha (la gente che pratica con il maestro).
     
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  13. Mauro1971
     
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    CITAZIONE (ebbubba @ 15/4/2010, 18:40)
    CITAZIONE (Paolo76 @ 15/4/2010, 14:55)
    Attenzione, non era mia intenzione dire che chi pratica la theravada diventa egoista

    Primo intervento
    Lo scopo dei praticanti di questa corrente e' diventare arhat, cioe' colui che illuminato raggiunge quindi il nirvana senza cercare in alcun modo di mettersi a disposizione del prossimo...ma scusate non e' questa una forma enorme di egoismo?

    certo che leggendo questo tuo primo intervento si capisce proprio che non era tua intenzione......

    Ebu, é ciò che ha sentito e lo ha ripetuto come lo ha sentito. Sospetto sia sincero quando dice che non voleva offendere ;)
     
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  14. ebbubba
     
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    CITAZIONE (Mauro1971 @ 15/4/2010, 19:14)
    CITAZIONE (ebbubba @ 15/4/2010, 18:40)
    certo che leggendo questo tuo primo intervento si capisce proprio che non era tua intenzione......

    Ebu, é ciò che ha sentito e lo ha ripetuto come lo ha sentito. Sospetto sia sincero quando dice che non voleva offendere ;)

    :)
    si mauro, volevo solo far notare che da ciò che aveva scritto potevamo interpretare la sua prima affermazione in contrasto con la seconda, e quindi pareva che potesse credere che noi Theravada fossimo egoisti .
     
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  15. Paolo76
     
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    CITAZIONE (ebbubba @ 15/4/2010, 19:17)
    CITAZIONE (Mauro1971 @ 15/4/2010, 19:14)
    Ebu, é ciò che ha sentito e lo ha ripetuto come lo ha sentito. Sospetto sia sincero quando dice che non voleva offendere ;)

    :)
    si mauro, volevo solo far notare che da ciò che aveva scritto potevamo interpretare la sua prima affermazione in contrasto con la seconda, e quindi pareva che potesse credere che noi Theravada fossimo egoisti .

    Sono un neofita,ho fatto una domanda chiarificatrice,poiche' avevo un dubbio...tutto qui.
    Daltronde come potrei giudicare se non conosco?
    Avrei potuto aver capito male e ho chiesto conferme.
     
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20 replies since 15/4/2010, 13:55   2678 views
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