Buddhismo Italia Forum

Posts written by Mjölnir

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    CITAZIONE (Fantasia @ 2/2/2024, 15:11) 
    ... nel quarto jhāna ... il praticante “dimora” (viharati) percependo la luce (ālokasaññī), consapevole e chiaramente discernente (sato sampajāno).

    ... uno di questi consiste giustappunto nel focus sull’ālokasaññā, fissando l’attenzione (adhiṭṭhahati) sulla percezione della luce diurna (divāsaññā), in modo tale da sviluppare una mente luminosa (sappabhāsa).

    Ancora, l’Āloka-sutta menziona quattro luci – quella della luna (candāloka), quella del sole (sūriyāloka), quella del fuoco (aggāloka) e quella della sapienza (paññāloka) -, dichiarando quest’ultima come la migliore, l’eccelsa, la suprema (etadaggaṃ), presumibilmente in quanto capace di illuminare la verità ultima.

    A mio avviso, se queste pratiche e relativi concetti sono gestiti intimamente insieme a sunyata (non come due cose separate ma considerando Paññāloka e Śūnyatā come la stessa cosa, o non cosa, o nè cosa nè non cosa, etc...), e relative pratiche, si arriva a spunti decisamente interessanti.
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    CITAZIONE (Fantasia @ 30/1/2024, 17:22) 
    CITAZIONE
    Segnalo però dei sutta con argomenti similari, che si prestano a tracciare similarità con altre pratiche, quali Dzogchen o Tantra.

    Potresti dettagliare questo punto?

    CITAZIONE
    Questo testo, in parte, ricorda la descrizione di uno stato oltre le Cinque Luci dello Dzogchen.

    Di nuovo, potresti dare qualche informazione in più?

    CITAZIONE
    Digha Nikaya 11, Kevatta Sutta: vi sono spiegazioni di pratiche ed altro che ricordano insegnamenti Tantra, filosofia Cittamatra e Dzogchen.

    Conosco questo sutta, ma molto poco le tradizioni che hai citato. Potresti, allora, spiegarmi la relazione tra il Kevaṭṭa-sutta e i successivi sviluppi che hai detto?

    CITAZIONE
    Infine, in alcuni Sutta si tratta del tema della luce

    Nel Bāhiya-sutta, verso la fine, il Buddha dice del defunto Bāhiya che è divenuto "del tutto estinto" (parinibbuto), e subito dopo pronuncia dei versi ispirati che pure hanno a che vedere con la luce, con tanto evidente quanto misterioso riferimento al nibbāna, di cui si dice: ove i quattro elementi non trovano appoggio (gādhati), ivi non rifulgono le stelle, né il sole né la luna, eppure non vi è tenebra (tamo). Suppongo che questo passo sia da interpretare nel senso che, innanzitutto, il nibbāna non è una dimensione fisica, perché ivi terra, acqua, aria e fuoco non sussistono, e poi che, pur mancandovi quelle sorgenti luminose che sono le stelle, non si trova oscurità, ma - possiamo desumerlo? - una "luce" di natura non fisica. Che ne dici?

    Velocemente:

    Prima domanda: ho già risposto citando vari Sutta.
    Seconda domanda: non ritengo sia possibile trattare certi argomenti su un forum, aggiungendo più di quanto si possa già trovare in internet in merito. Rimando qui:

    https://en.wikipedia.org/wiki/Five_Pure_Lights
    http://tibetanbuddhistencyclopedia.com/en/...ive_Pure_Lights
    www.dharmawheel.net/viewtopic.php?t=1358
    http://www.tibetanbuddhistencyclopedia.com...of_Rainbow_Body
    https://en.wikipedia.org/wiki/T%C3%B6gal
    https://studybuddhism.com/en/advanced-stud...ets-of-dzogchen
    https://studybuddhism.com/en/advanced-stud...uddhist-systems

    Terza e quarta domanda: sono documenti estesi, purtroppo ora non ho tempo.
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    CITAZIONE (Fantasia @ 2/2/2024, 12:35) 
    CITAZIONE (Mjölnir @ 2/2/2024, 12:26) 
    Sono buddhismi "immensi", nel senso che hanno svariate scuole, a volte anche difformi tra loro.
    Ovviamente fanno proprio il Canone Pali, quindi implicitamente sì, per i Sutta che abbiamo già discusso.
    Vi è poi la mole dei Sutra Mahayana e di vari Tantra...

    Grazie della risposta. Potresti dirmi qualcosa sulle domande formulate in questo messaggio? Sono davvero curioso, perché delle tradizioni buddhiste differenti dal Theravāda ho una conoscenza soltanto "manualistica", e tuttavia mi piacerebbe sapere dei nessi che, direttamente o indirettamente, collegano storicamente i testi canonici, in particolare i sutta, agli sviluppi successivi.

    Il messaggio da te citato non ha domande, quindi non capisco cosa vorresti approfondire.
    Comunque ho modificato la mia risposta di cui sopra.
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    CITAZIONE (Fantasia @ 2/2/2024, 11:59) 
    CITAZIONE (eizo @ 1/2/2024, 19:23) 
    che dirti... sospendo anch'io a priori qualsiasi tipo di giudizio personale sulla questione.

    Nel buddhismo sino-giapponese sono presenti riferimenti alla luce?

    Sono buddhismi "immensi", nel senso che hanno svariate scuole, a volte anche difformi tra loro.
    Ovviamente fanno proprio il Canone Pali, quindi implicitamente sì, per i Sutta che abbiamo già discusso.
    Vi è poi la mole dei Sutra Mahayana e di vari Tantra...

    Peraltro alcuni di questi Sutra sono testi lunghi e complessi con descrizione di altri piani di esistenza, alcuni citano il tema della luce innumerevoli volte e ovviamente affermano che molteplici Buddha emettono luce. Vedi ad esempio lo Avataṃsaka Sūtra, giusto per citarne uno.

    In generale, in molti Sutra Mahayana si cita la prabhsvara-citta, ossia la mente illuminata. Però siamo a livello di mente, non di corpo, per il corpo le citazioni sono minori (vedi ad esempio quella che ti ho indicato sopra).
    Vi è anche il concetto della svasaṃvedana, ossia della consapevolezza riflettente (concetto Yogacara), che ovviamente è anche luminosa / riflette la luce e da qui la generazione delle percezioni e della realtà.

    Per non parlare poi della nautra di Buddha, ossia il Tathagatagarbha, che è per sua natura chiaro, luminoso, risplendente e intrinsecamente puro. Alcuni Sutra in cui sono espressi questi concetti sono il Lankavatara Sutra e Shurangama Sutra.

    Edited by Mjölnir - 2/2/2024, 12:41
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    CITAZIONE (eizo @ 1/2/2024, 16:55) 
    tanto gli uni quanto gli altri risposero che le parti in cui sono presenti episodi soprannaturali, per così dire, andassero lette non letteralmente ma in chiave appunto metaforica o altrimenti simbolica. ed in particolare le parti piu' poetiche come appunto l'udana da te citato.
    ciao Fantasia :)

    Non mi stupisce, è una tipica interpretazione occidentale. Quando però ho provato a parlare con monaci o lama orientali provenienti da realtà decisamente tradizionali (alcuni anche da aree decisamente “arcaiche”) affermavano che erano da intendersi letteralmente come manifestazione di siddhi / iddhi.

    Chi avrà ragione?

    Edited by Mjölnir - 1/2/2024, 23:38
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    Il sanskrito è chiaramente indoeuropeo, la mitologia e la religione più antica ha molte affinità con altre mitologie e politeismi di popoli parlanti lingue indoeuropee, probabile quindi che gli Ariya (e/o le altre popolazioni affini) fossero di origine indoeuropea.

    Probabilmente i Rg Veda sono stati composti in India, post migrazione, anche perchè già ai tempi, i nomi di alcune tribù considerate di cultura sanskrita - vedica - ariyana, erano di origine non sanskrita, forse dravidica, e questo denotava già una certa assimilazione di popolazioni indoeuropee e locali.
    Solitamente si auto definivano ariyan coloro che parlavano lingue indo-ariane (sanskrito ad esempio) e che aderivano a norme sociali e culturali vediche (rituali, credenza in determinate divinità, etc...) e quando era in uso questo endonimo le popolazioni indoeuropee stanziate in India si erano già almeno in parte mescolate con le popolazioni locali.

    Siamo nel campo del possibile / probabile, non delle certezze.
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    CITAZIONE (Fantasia @ 31/1/2024, 13:07) 
    CITAZIONE (Mjölnir @ 31/1/2024, 11:49) 
    “Luminosa, o monaci, è la mente, ma è liberata dagli influssi impuri. Il discepolo dei Nobili, istruito, percepisce ciò come [il suo stato] reale, questo è perché, per un discepolo dei Nobili, istruito, v’è una coltivazione della mente”.

    Vedi? In questa traduzione, ariyasāvaka è stato reso come "discepolo dei Nobili", non come "discepolo degli ariani". E così pure, per aggiungere un esempio, per ariyāṭṭhaṅgikamagga: è il "nobile metodo a otto membra", non il "metodo ariano a otto membra".

    Certo, mi è chiaro che con ariya si intende nobile per quanto riguarda la terminologia buddhista. Credo sia anche abbastanza assodato che in sanscrito questo termine, nell'evolversi della lingua arriva ad identificare, all'epoca in cui furono scritti i testi buddhisti, una persona nobile d'animo. Precedentemente, probabilmente, questo termine indicava una nobiltà di ceto / casta e ancora prima identificava un determinato popolo. Probabilmente questo popolo, che aveva conquistato una parte dell'India del Nord, aveva assunto una posizione sociale dominante (nobiltà in senso politico e sociale del termine), da qui poi con il passare degli anni il termine è sfumato verso una nobiltà d'animo.
    Questa è una delle ipotesi.

    Detto questo, non mi scandalizzo se a volte è stato usato, più che altro in passato, il termine ariano anche nelle traduzioni italiane (o termine similare in lingue occidentali), come se non mi scandalizzo quando vedo una swastika in un tempio buddhista. Comunque non mi scandalizzerei nemmeno se vi vedessi una falce e un martello.

    Per quanto riguarda delle popolazioni storicamente definite ariane, la maggior parte della dottrina le ritiene di origine indoeuropea, e lo testimoniano varie affinità linguistiche (ad esempio tra il sanskrito e le altre lingue indoeuropee) e di aspetti religiosi - sociali - mitologici. Che poi l'origine di queste popolazioni sia nell'area delle steppe pontico caspiche, in quella dell'altopiano armeno o anatolico, nella zona balcanica o in India (out-of India theory) è questione di dibattito, anche se la prevalenza è verso l'area pontico caspica, in misura minore armenia o balcanica o anatolica. Out of India è più che altro una ipotesi nata a livello di nazionalismo Hindù, per motivi ideologici.
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    A favore della discussione, riporto per intero uno dei Sutta da te citato.

    AN 1.49-52: Pabhassara Sutta – Luminosa
    “Luminosa, o monaci, è la mente, ma è sporcata dagli influssi impuri.”

    “Luminosa, o monaci, è la mente, ma è liberata dagli influssi impuri.”

    “Luminosa, o monaci, è la mente, ma è sporcata dagli influssi impuri. La persona ordinaria (puthujjana) non istruita, non percepisce ciò come [il suo stato] reale, questo è perché, per una persona ordinaria, non istruita, non v’è nessuna coltivazione della mente”.

    “Luminosa, o monaci, è la mente, ma è liberata dagli influssi impuri. Il discepolo dei Nobili, istruito, percepisce ciò come [il suo stato] reale, questo è perché, per un discepolo dei Nobili, istruito, v’è una coltivazione della mente”.
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    CITAZIONE (Fantasia @ 31/1/2024, 08:18) 
    "Verità Ariana"? Il testo originale parla di ariyasacca, che in realtà significa "nobile verità".

    Così è tradotto sul sito canonepali.net ed anche in altre traduzioni (ora non ho la mia biblioteca a portata di mano, ma in alcuni testi è tradotta così).
    Ossia la parola Ariya è tradotta come ariana e non come nobile, stante il fatto che probabilmente le due cose sono state considerate sinonimi (presumo, non sono io il traduttore di questi testi, mi affido a traduzioni). Comunque il tema è linguistico ed eventualmente storico, quindi devia dall'argomento della nostra discussione relativa a luce, luci colorate / corpo arcobaleno.

    Qui al volo da wikipedia

    Aryan or Arya (/ˈɛəriən/;[1] Indo-Iranian *arya) is a term originally used as an ethnocultural self-designation by Indo-Iranians in ancient times, in contrast to the nearby outsiders known as 'non-Aryan' (*an-arya).[2][3] In Ancient India, the term ā́rya was used by the Indo-Aryan speakers of the Vedic period as an endonym (self-designation) and in reference to a region known as Āryāvarta ('abode of the Aryas'), where the Indo-Aryan culture emerged.[4] In the Avesta scriptures, ancient Iranian peoples similarly used the term airya to designate themselves as an ethnic group, and in reference to their mythical homeland, Airyanǝm Vaēǰō ('expanse of the Aryas' or 'stretch of the Aryas').[5][6] The stem also forms the etymological source of place names such as Alania (*Aryāna-) and Iran (*Aryānām).[7]

    Although the stem *arya may be of Proto-Indo-European (PIE) origin,[8] its use as an ethnocultural self-designation is only attested among Indo-Iranian peoples and there is no evidence of its use among 'Proto-Indo-Europeans'. In any case, scholars point out that, even in ancient times, the idea of being an Aryan was religious, cultural, and linguistic, not racial.[9][10][11]


    Da dizionario di Sanscrito online

    Source: DDSA: The practical Sanskrit-English dictionary
    Arya (अर्य).—a. [ṛ-yat]

    1) Excellent, best.

    2) Respectable.

    3) Attached, true, devoted.

    4) Dear, kind; Ṛgveda 1. 123.1.

    --- OR ---

    Ārya (आर्य).—a. [ṛ-ṇyat]

    1) Āryan, an inhabitant of आर्यावर्त (āryāvarta), Name of the race migrated into India in Vedic times.

    2) Worthy of an Ārya.

    3) Worthy, venerable, respectable, honourable, noble, high; यदार्यमस्यामभिलाषि मे मनः (yadāryamasyāmabhilāṣi me manaḥ) Ś.1.22; R.2.33; so आर्यवेषः (āryaveṣaḥ) respectable dress; oft. used in theatrical language as an honorific adjective and a respectful mode of address; आर्यचाणक्यः, आर्या अरुन्धती (āryacāṇakyaḥ, āryā arundhatī) &c.; आर्य (ārya) revered or honoured Sir; आर्ये (ārye) revered or honoured lady. The following rules are laid down for the use of आर्य (ārya) in addressing persons:-(1) वाच्यौ नटीसूत्रधारावार्यनाम्ना परस्परम् (vācyau naṭīsūtradhārāvāryanāmnā parasparam) | (2) वयस्येत्युत्तमैर्वाच्यो मध्यैरार्येति चाग्रजः (vayasyetyuttamairvācyo madhyairāryeti cāgrajaḥ) | (3) (vaktavyo) अमात्य आर्येति चेतरैः (amātya āryeti cetaraiḥ) | (4) स्वेच्छया नामभिर्विप्रैर्विप्र आर्येति चेतरैः (svecchayā nāmabhirviprairvipra āryeti cetaraiḥ) | S. D.431.

    4) Noble, fine, excellent.

    -ryaḥ 1 Name of the Hindu and Iranian people, as distinguished from अनार्य, दस्यु (anārya, dasyu) and दास (dāsa); विजानीह्यार्यान्ये च दस्यवः (vijānīhyāryānye ca dasyavaḥ) Ṛgveda 1.51.8.

    2) A man who is faithful to the religion and laws of his country; कर्तव्यमाचरन् कार्यमकर्तव्यमनाचरन् । तिष्ठति प्रकृताचारे स वा आर्य इति स्मृतः (kartavyamācaran kāryamakartavyamanācaran | tiṣṭhati prakṛtācāre sa vā ārya iti smṛtaḥ) ||

    3) Name of the first three castes (as opp. to śūdra).

    4) respectable or honourable man, esteemed person; वृत्तेन हि भवत्यार्यो न धनेन न विद्यया (vṛttena hi bhavatyāryo na dhanena na vidyayā) Mb.; परमार्यः परमां कृपां बभार (paramāryaḥ paramāṃ kṛpāṃ babhāra) Bu. Ch.5.6.

    5) A man of noble birth.

    6) A man of noble character.

    7) A master, owner.

    8) A preceptor; वैमानि- कार्यसमभूमा (vaimāni- kāryasamabhūmā) Viś. Guṇā.124; Mu.3.33.

    9) A friend.

    1) A Vaiśya.

    11) A father-in-law (as in āryaputra).

    12) A Buddha.

    13) (With the Buddhists) A man who has thought on the four chief principles of Buddhism and lives according to them.

    14) A son of Manu Sāvarṇa.
  10. .
    Nel Samyutta Nikaya 56.12 Tathāgata Sutta, si indicano le Quattro Nobili Verità, e si afferma che esse fanno sorgere nei Tathagata "la visione, la conoscenza, la saggezza, la vera conoscenza e la luce".

    Ebbene come ultima realizzazione sorge nei Tathagata la luce...
  11. .
    O sul sorgere di una luce interna (sarà la chiara luce di altre tradizioni buddhiste?), si veda il Niyāmokkantikathā in cui il Buddha afferma:

    “Monaci, riguardo a realtà mai apprese prima che la visione, la visione profonda, la conoscenza, la saggezza, la luce sorsero in me al pensiero della Verità Ariana della natura della sofferenza, e che questa Verità doveva essere compresa, e fu da me compresa”
  12. .
    Invece nel Kathavatthu 2.5 Vacībhedakathā si parla proprio delle cinque luci e le si legano alla pratica del Dhyan

    Affermate la vostra tesi, ma negate che essa si applichi a chi ha raggiunto il Jhāna attraverso uno qualsiasi degli otto elementi, cioè terra, acqua, fuoco o aria; colore verde-blu, giallo, rosso o bianco, o attraverso una qualsiasi delle quattro induzioni concettuali immateriali, cioè l’infinità dello spazio o della coscienza, il “nulla” o “né-percezione-né-non-percezione”. Come può essere intelligibile tutto ciò? Se negate ciascuna di queste possibilità, non potete affermare la vostra tesi.

    Si citano i cinque colori (luci colorate): verde, blu, giallo, rosso e bianco, usati anche nei mandala e queste luci, insieme agli elementi e alle induzioni concettuali, sono alla base della pratica di Dhyana.
  13. .
    Ci sono vari spunti sulle luci, ad esempio (Khandhaka 1.12) quando il Buddha, con i suoi poteri sovrannaturali sconfigge il trago di Uruvela, penetrando il potere del fuoco, si dice che aveva fiamme di vari colori nel corpo (o intorno al corpo). Nello stesso testa c'è poi qualcosa di simile ad un mandala, con il Buddha in meditazione e i quattro grandi re che appaiono si dispongono intorno a lui nei quattro punti cardinali. Poi si manifestano varie divinità, etc...
  14. .
    Confermo che i testi citati sono corretti, avevo già avuto modo di leggerli in varie traduzioni.

    Per quanto concerne il corpo di luce, preciso che esistono quanto meno tre diverse tipologie di realizzazione:
    1) Il corpo d'arcobaleno, in cui il corpo si rimpicciolisce emettendo luci con i colori dell'arcobaleno. In alcuni casi, rimpicciolisce fino a sparire lasciando unghie e capelli. Questo ottenimento è generato dalla realizzazione della pratica del trekchö.
    2) Il corpo di luce, in cui il corpo svanisce completamente nello spazio dissolvendosi in luce. Non rimane nulla. Questo ottenimento è generato dalla realizzazione della pratica del tögal.
    3) Il corpo d'arcobaleno del grande trasferimento, in cui il corpo svanisce completamente nello spazio dissolvendosi in luci dei colori dell'arcobaleno. Non rimane nulla. Questo ottenimento è generato dalla realizzazione della pratica del tögal. In questo caso, il realizzato mantiene la sua coscienza in questo universo materiale, e la utilizza in successive incarnazioni a beneficio di tutti gli esseri senzienti.

    I due sutta relativi alla storia del monaco Dabba (Udana 8.9 e 8.10) descrivono il dissolversi del corpo in un fuoco, potrebbe essere pertanto la descrizione del corpo di luce o del corpo d'arcobaleno del grande trasferimento, che, in effetti, sono tra le realizzazioni più elevate dello Dzogchen.

    Non ho contezza di altri sutta del canone Pali che trattino di questa tematica. Segnalo però dei sutta con argomenti similari, che si prestano a tracciare similarità con altre pratiche, quali Dzogchen o Tantra. In particolare:

    Udana 8.1 Nibbana Sutta e seguenti 8.2, 8.3 e 8.4, in cui il Nibbana è descritto come segue: "Vi è quella dimensione dove non c’è terra, né acqua, né fuoco, né vento; non vi è la dimensione dell’infinità dello spazio, né la dimensione dell’infinità della coscienza, né la dimensione del nulla, né la dimensione di ‘né-percezione-né-non-percezione’; non vi è questo mondo, né un altro mondo, né sole, né luna. E lì, io dico, non vi è giungere, né andare, né rimanere; né scomparire né sorgere: non è fisso, né si evolve, senza sostegno (oggetti mentali). Questa, solo questa, è la fine della sofferenza". Questo testo, in parte, ricorda la descrizione di uno stato oltre le Cinque Luci dello Dzogchen.

    Digha Nikaya 11, Kevatta Sutta: vi sono spiegazioni di pratiche ed altro che ricordano insegnamenti Tantra, filosofia Cittamatra e Dzogchen.

    Qualche ulteriore assonanza:

    Anguttara Nikaya 7.66 Sattasuriya Sutta: il Buddha parla dell'impermanenza dell'universo, e nel farlo cita ere future scandite da vari soli, quando descrive il settimo ed ultimo sole, parla di un processo di esaurimento simile a quello del monaco Dabba, ma applicato a tutto l'universo. In particolare: "Verrà un tempo in cui, dopo un periodo molto lungo, apparirà un settimo sole. Quando questo accadrà, questa grande terra e Sineru, il re delle montagne, erutteranno in una massa di fuoco ardente. E mentre arderanno e bruceranno, le fiamme saranno spinte dal vento fino al mondo di Brahmā. Sineru, il re delle montagne, arderà e brucerà, sbriciolandosi sopraffatto dal grande fuoco. Intanto, le cime delle montagne alte cento leghe, o due, tre, quattro o cinquecento leghe si disintegreranno mentre bruceranno. E quando la grande terra e Sineru, il re delle montagne, arderanno e bruceranno, non ci sarà né fuliggine né cenere. È come quando il ghee o l’olio arde e brucia, e non vi è né cenere né fuliggine. Allo stesso modo, quando la grande terra e Sineru il re delle montagne arderanno e bruceranno, non vi sarà né fuliggine né cenere."

    Infine, in alcuni Sutta si tratta del tema della luce, di come ve ne siano alcune visibili e una segreta. Cito ad esempio il Pajjotta Sutta (Samyutta Nikaya 1.26) in cui si afferma:

    “Quante luci illuminano il mondo?
    Lo chiediamo al Benedetto.”

    “Vi sono quattro luci al mondo, una quinta non la si conosce
    durante il giorno il sole splende e di notte brilla la luna.
    Cinque luci qui ed altrove, notte e giorno
    risplendono, di tutte una sola è suprema ed incomparabile.”
  15. .
    Vale191 non ho capito il tuo dubbio in merito allo Dzogchen. Hai perplessità sul testo citato o sulla pratica?
1662 replies since 5/8/2016
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