Il saññāvedayitanirodha

Un curioso conseguimento meditativo

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    CITAZIONE (Sun Yun @ 14/9/2021, 18:38) 
    Secondo me saññāvedayitanirodha è il Nirvana, stabile nella pratica formale e nel ritorno al mondo.

    Tuttavia, proprio nel Mahāparinibbāṇa-sutta Anuruddha corregge Ānanda, che credeva che il Buddha avesse raggiunto il nibbāna definitivo, mentre invece aveva raggiunto il saññāvedayitanirodha.

    CITAZIONE
    Il nobile Ānanda disse al nobile Anuruddha: “Venerabile Anuruddha, il Beato ha raggiunto il nibbāna definitivo“.

    “No, amico Ānanda, il Beato non ha raggiunto il nibbāna definitivo: egli ha conseguito la cessazione della coscienza e della percezione” [che dunque, almeno secondo questo passo, non coincide esattamente col nibbāna].
     
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    Quindi il Nibbana definitivo si ha solo con la morte fisica?
     
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    CITAZIONE
    Il Buddhismo è particolarmente attento alla causalità, ma nel caso del nirodha dalla prospettiva theravāda non si capisce perfettamente come l’intenzione di emergere dal nirodha in un certo momento possa realizzare il suo effetto facendo riprendere il continuum mentale interrottosi con la nirodhasamāpatti. Come agisce questa intenzione? Permane durante il nirodha e, passato il tempo prestabilito, determina l’emersione dal nirodha stesso? Improbabile, giacché ciò contraddirebbe la definizione stessa di nirodha.

    [...]Coloro che hanno ottenuto il quarto stadio dell’arūpajjhāna, la
    “base priva di percezione e di assenza di percezione”, e hanno anche
    realizzato il terzo livello dell’illuminazione, quello dell’anāgāmin, o
    che sono divenuti arahat, possono raggiungere l’“ottenimento della
    cessazione” (nirodha-samāpatti), che è la temporanea sospensione delle attività fisiche e mentali.
    La persona che ha ottenuto la cessazione è diversa da un cadavere. Leggiamo nel Discorso della grande serie di domande e risposte che Mahā-Koṭṭhita pose molte domande a Sāriputta e gli chiese
    fra l’altro qual è la differenza fra un cadavere e il monaco che ha ottenuto la cessazione:
    “Amico, di quanti dhamma deve essere privo questo corpo per
    giacere abbandonato, gettato via, come un pezzo di legno incosciente?”.
    “Amico, quando questo corpo è privo di tre dhamma – la vita
    (āyu), il calore (usmā) e la coscienza (viññāṇa) – questo corpo
    giace abbandonato, gettato via, come un pezzo di legno incosciente”
    “Amico, qual è la differenza fra un morto, uno che ha finito di vivere, e il monaco che ha ottenuto la cessazione della percezione e della sensazione?”.
    “Amico, nel caso di un morto, uno che ha finito di vivere, le sue formazioni corporee sono cessate, si sono acquietate, le sue formazioni verbali sono cessate, si sono acquietate, le sue formazioni mentali sono cessate, si sono acquietate, la vita si è esaurita, il calore si è dissolto, le facoltà si sono disgregate. Nel caso del monaco che ha ottenuto la cessazione delle percezioni e delle sensazioni, anche le sue formazioni corporee sono cessate, si sono acquietate, le sue formazioni verbali sono cessate, si sono acquietate, le sue formazioni mentali sono cessate, si sono acquietate,
    ma la vita non si è esaurita, il calore non si è dissolto e le facoltà sono straordinariamente chiare. Questa, o amico, è la differenza fra un morto, uno che ha finito di vivere, e un monaco che ha ottenuto la cessazione della percezione e della sensazione”
    [...]

    [...]Per coloro che emergono dalla cessazione, il primo citta che
    sorge è un phala-citta (lokuttara-vipāka-citta), che ha il nibbāna per
    oggetto. Nel caso dell’anāgāmin, è il phala-citta del livello
    dell’anāgāmin, mentre, nel caso dell’arahat, è il phala-citta
    dell’arahat. Secondo il Visuddhi-magga, la loro mente tende al
    nibbāna. Leggiamo:
    A che cosa tende la mente di chi ne emerge? Tende al nibbāna.
    Infatti è stato detto: “O amico Visākha, la mente del monaco che
    è emerso dall’ottenimento della cessazione della percezione e della sensazione tende all’isolamento, è orientata all’isolamento, è incline all’isolamento”



    [...]L’Abhidhamma ci insegna che esistono diversi tipi di citta salutari. Ci sono i kāmāvacara-kusala-citta (coscienze salutari della sfera del desiderio, mahā-kusala-citta), i rūpāvacara-kusala-citta (coscienze salutari della sfera della forma, rūpajjhāna-citta) e gli arūpāvacarakusala-citta (coscienze salutari della sfera della forma, arūpajjhānacitta). Tutti questi tipi di citta sono kusala, ma non sradicano le tendenze latenti degli inquinanti. Solo i lokuttara-kusala-citta ovvero imagga-citta (“coscienze del Sentiero”) estirpano tali tendenze latenti.
    Quando tutti gli inquinanti saranno completamente sradicati, il ciclo della nascita e della morte avrà fine.
    [...]
    Ci sono quattro fasi dell’illuminazione: il sotāpanna (colui che
    è entrato nella corrente), il sakadāgāmin (colui che ritorna una sola
    volta), l’anāgāmin (colui che non ritorna) e l’arahat. In ciascuna di
    queste fasi sorge il lokuttara-kusala-citta ovvero il magga-citta che
    sperimenta il nibbāna e sradica gli inquinanti.[...]

    [...]Ci si può chiedere come sia possibile sapere quando
    l’illuminazione è stata raggiunta. Il lokuttara-citta è accompagnato
    dalla saggezza o paññā che è stata sviluppata nella visione profonda o
    vipassanā. Non si può raggiungere l’illuminazione se non si è
    sviluppata la saggezza della visione profonda
    [...]

    [...]Questa ha varie fasi. In primo luogo si elimina il dubbio circa la differenza fra il nāma e il
    rūpa. Si può capire in teoria che il nāma è la realtà che sperimenta un
    oggetto e che il rūpa è la realtà che non conosce alcunché. Tuttavia la
    comprensione teoretica, a livello del pensiero, non è la stessa cosa
    della comprensione diretta che realizza che il nāma è il nāma e il rūpa
    è il rūpa[...]

    [...]Finché non c’è la retta consapevolezza di una realtà per volta,
    ci può essere un dubbio circa la differenza fra il nāma e il rūpa. Per
    eliminare il dubbio è necessario avere consapevolezza dei diversi tipi
    di nāma e di rūpa che appaiono nella vita quotidiana. Quando si
    raggiunge la prima fase della visione profonda, che è solo una fase
    iniziale, non c’è alcun dubbio circa la differenza fra le caratteristiche
    del nāma e quelle del rūpa. Pertanto bisogna esaminare più volte tali
    caratteristiche finché esse sono comprese con chiarezza così come
    sono e non si ha più alcuna visione errata. La realizzazione del sorgere
    e dello svanire del nāma e del rūpa è una fase superiore della visione
    profonda che non può essere raggiunta finché la caratteristica del nāma
    non può essere distinta da quella del rūpa. Tutte le varie fasi della
    visione profonda devono essere raggiunte secondo l’ordine prescritto
    La saggezza deve continuare a investigare le caratteristiche delle realtà
    così come esse appaiono attraverso le sei porte, in modo che le tre
    caratteristiche delle realtà condizionate – l’impermanenza (anicca), la
    sofferenza (dukkha) e il non sé (anatta) – si possano penetrare sempre
    più. Quando la paññā ha compreso con chiarezza queste tre
    caratteristiche, si può raggiungere l’illuminazione: la saggezza può
    allora sperimentare il nibbāna, la realtà incondizionata. Quando la
    paññā è stata sviluppata a quel livello, non ci può essere più alcun
    dubbio sul fatto di aver realizzato l’illuminazione oppure no.[...]
    Nina Van Gorkom
    L’Abhidhamma
    nella vita quotidiana

    Edited by Sun Yun - 15/9/2021, 09:51
     
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    CITAZIONE (Sun Yun @ 14/9/2021, 21:22) 
    Quindi il Nibbana definitivo si ha solo con la morte fisica?

    Sì, con la morte un arahant realizza il nibbāna anupādisesa.
     
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    CITAZIONE (Fantasia @ 15/9/2021, 09:44) 
    CITAZIONE (Sun Yun @ 14/9/2021, 21:22) 
    Quindi il Nibbana definitivo si ha solo con la morte fisica?

    Sì, con la morte un arahant realizza il nibbāna anupādisesa.

    Molto simile l'Advaita Vedanta: il Jivanmukta si libera definitivamente solo con la morte fisica (Videhamukta).
    Nonostante il Jivanmukta sia già libero in vita dal grasping il karma continua a manifestarsi nel rupa ma si va ad esaurire naturalmente (Il Jivanmukta si è liberato del velo dell'Avarana Shakti ma non di Vikshepa Shakti). Se ho ben compreso..
    www.advaita.org.uk/discourses/teachers/maya_hudli.htm
     
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    edit: (vedi post successivo)

    CITAZIONE
    Personalmente non credo che il nirodha buddhista equivalga al nirvikalpa dello yoga, nel primo caso si tratta di uno stato che non è "ne di percezione ne di non percezione" mentre nel nirvikalpa la percezione sparisce. Inoltre lo yogi non riesce a riemergere volontariamente dal nirvikalpa e quasi sempre muore.

    A questo punto, dopo appurato che è l'ottavo jhana ad esserre nè percezione nè non percezione (consapevolezza non duale), il nirvikalpa dello Yoga non sembra essere diverso dal nono jhana, se non per il fatto che lo Yogi Buddhista torna "volontariamente" (come simone ossserva all'inizio delle sue osservazioni).

    Edited by Sun Yun - 18/9/2021, 10:04
     
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    CITAZIONE (Sun Yun @ 16/9/2021, 09:01) 
    Personalmente non credo che il nirodha buddhista equivalga al nirvikalpa dello yoga, nel primo caso si tratta di uno stato che non è "ne di percezione ne di non percezione" mentre nel nirvikalpa la percezione sparisce.

    Anche nel nirodha manca la percezione (saññā).


    CITAZIONE
    C'è il famoso limite dei 40 giorni senza mangiare e bere...

    Non penso proprio che sia biologicamente possibile stare per quaranta giorni senza bere.
     
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    CITAZIONE (Fantasia @ 16/9/2021, 10:07) 
    CITAZIONE (Sun Yun @ 16/9/2021, 09:01) 
    Personalmente non credo che il nirodha buddhista equivalga al nirvikalpa dello yoga, nel primo caso si tratta di uno stato che non è "ne di percezione ne di non percezione" mentre nel nirvikalpa la percezione sparisce.

    Anche nel nirodha manca la percezione (saññā).

    Questo è da approfondire.


    CITAZIONE
    CITAZIONE
    C'è il famoso limite dei 40 giorni senza mangiare e bere...

    Non penso proprio che sia biologicamente possibile stare per quaranta giorni senza bere.

    Sono argomenti molto complessi, il credere o non credere non è utile ai fini dello studio. Sono stati fatti studi scientifici, pare si riduca al minimo il consumo di energia e i taoisti per esempio parlano di respirazione embrionale. Una cosa molto comune agli yogi tibetani è il Tukdam, cioè il morire in meditazione. Il corpo rimane caldo nella regione del cuore per molti giorni. Ho conosciuto un medico importante per altre ragioni (fredrick leboyer) che era il medico personale di uppaluri gopala krishnamurti, assistette più volte all'arresto cardiaco di U.G. e al suo ritorno di solito dopo 20 minuti facendo movimenti simili a quelli di un neonato... :innocent:
    Le neuroscienze sono divise su questo punto...e cioè un residuo di attività cerebrale sottilissimo o l'origine metafisica della coscienza (vedi per esempio il cardiologo Sam Parnia).


    Edited by Sun Yun - 16/9/2021, 13:32
     
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    Il nirvikalpa è solo del buddha maitreya, quando muore biologicamente e "cammina" verso il nirvana, dopo lo sforzo in vita.
     
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    Sam Parnia:

     
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    La base da cui sorge il nono jhāna

    [...]Uscendo dal settimo jhāna, si procede
    verso l'ottavo jhāna: la base della nè percezione e della nè non percezione.
    Ora prendi la coscienza della base del nulla come oggetto meditativo.
    Sposta l'attenzione dalla base del nulla e concentrati sulla
    coscienza che regge il nulla. Questa "coscienza del nulla" è il
    contenitore in cui è contenuto il nulla. Questo è un oggetto ancora più fine. Per
    contenere un oggetto così sottile e fine come questo, il senso di "me" deve essere quasi
    completamente trasparente. Prendere la coscienza della base del nulla come
    oggetto meditativo è come tenere una ragnatela nel cielo. È un oggetto di consapevolezza molto delicato,
    squisitamente fragile oggetto di consapevolezza. Solo una consapevolezza purificata, generata da jhāna
    può tenere l'oggetto della base di né percezione né non percezione.
    Prendi la coscienza della base del nulla come oggetto meditativo.
    Con il tempo, i fattori jhāna di ekaggatā e upekkhā diventano forti. Con
    meditazione prolungata, la consapevolezza è alla fine attirata nel pieno assorbimento nella
    base di né percezione né non percezione, l'ottavo jhāna.
    Questo jhāna non può essere immaginato o concettualizzato. Pur essendo
    al di fuori della né percezione né non percezione, questo regno contiene entrambi e nessuno - allo stesso tempo!
    È un'esperienza diretta di consapevolezza non duale. Non c'è né percezione né non percezione in questo regno immateriale
    (Pa Auk Sayadaw - La pratica dei Jhana. La tradizionale meditazione di concentrazione insegnata dal venerabile Pa Auk Sayadaw...ho scoperto che esiste la traduzione italiana..)

    CITAZIONE
    Anche nel nirodha manca la percezione (saññā).

    "Monaci, ci sono questi nove fermi passo dopo passo. Quali nove?

    "Quando uno ha raggiunto il primo jhāna, la percezione della sensualità è stata fermata. Quando uno ha raggiunto il secondo jhāna, i pensieri e le valutazioni dirette [le costruzioni verbali] sono state fermate. Quando si è raggiunto il terzo jhāna, l'estasi è stata fermata. Quando si è raggiunto il quarto jhāna, i respiri dentro e fuori [fabbricazioni corporee] sono stati fermati. Quando si è raggiunta la dimensione dell'infinità dello spazio, la percezione delle forme è stata fermata. Quando si è raggiunta la dimensione dell'infinità della coscienza, la percezione della dimensione dell'infinità dello spazio è stata fermata. Quando si è raggiunta la dimensione del nulla, si è fermata la percezione della dimensione dell'infinità della coscienza. Quando si è raggiunta la dimensione della nè percezione e della nè non-percezione, la percezione della dimensione del nulla è stata fermata. Quando si è raggiunta la cessazione della percezione e del sentimento, le percezioni e i sentimenti [fabbricazioni mentali] sono stati fermati.

    "Questi sono i nove arresti graduali.

    Anupubbanirodha Sutta: Step-by-step Stopping

    Edited by Sun Yun - 18/9/2021, 05:53
     
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  12. Davide S. C.
     
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    Una discussione davvero straordinaria, che insieme ad altre rende questo forum un evento culturale molto importante.
    Posso intervenire con alcune supposizioni da medico:
    1) nel rallentare sempre più il respiro si ha un accumulo di CO2 e questo può portare a uno stato detto di “carbonarcosi”. In pratica, può essere che il meditante si “droghi” attraverso l’anidride carbonica (ci sono alcuni malati che vanno in coma proprio per l’accumulo di CO2: se si rimuove questa, si svegliano)
    2)il fatto che da profonda assenza di coscienza si torni a coscienza di verifica ogni giorno nelle sale operatorie. Si possono raggiungere diversi livelli di “soppressione” dell’elettroencefalogramma. Quando l’anestetico sparisce dal circolo, la coscienza torna (e con essa il movimento elettronico misurato dall’eeg). Quindi si potrebbe tracciare un parallelismo tra il corpo anestetizzato dai farmaci e quello anestetizzato dalla meditazione sopra descritta.
    3) condivido in pieno i dubbi sull’”assenza di respiro”: infatti è solo una narrazione mai verificata con strumenti scientifici. Probabilmente è un respiro estremamente esile.
    Condivido anche la perplessità “Cosa c’è allora di auspicabile nel raggiungere questo stato che non solo manca della lucidità mentale che si ha nei jhāna, ma sembra proprio essere uno stato di incoscienza?” Forse però le capacità che si acquisiscono nel raggiungerlo danno delle qualità particolari alla persona.
    A me sembra a volte che il nirvana, tutto mirato com’è alla rimozione del dolore, a volte appaia come una “rimozione di tutto”…
    4) se nella totale incoscienza non vi fosse alcuna traccia di mente, allora la teoria della reincarnazione sarebbe falsa. Forse per questo è stata elaborata la teoria della “coscienza deposito”?
     
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    Prendiamo la metempsicosi, anche gli psichiatri ne soffrono, e' la non accettazione del passato, soffrono di questo proprio tutti i cristiani e derivati.
     
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    Ciò che descrivi da medico corrisponde ad osservazioni di stati patologici e di incoscienza, sai bene quanto sia meticoloso il theravada nell'entrare nei jhana che sono disposti gerarchicamente dal basso verso l'alto (e andata e ritorno) quindi di incoscienza a parte il nirodha non ce n'è proprio, anzi il livello di consapevolezza diviene sempre più forte per cui si potrebbe parlare di supercoscienza, pure il sonno notturno diviene sempre più leggero.
    La funzione del dimorare nel vuoto è la purificazione, quando la mente esce dal nirodha, tende alla contemplazione continua del Nirvana, lo spiega bene Nina Von Gorkom: [...]Per coloro che emergono dalla cessazione, il primo citta che
    sorge è un phala-citta (lokuttara-vipāka-citta), che ha il nibbāna per
    oggetto. [...]

    Dovresti procurarti una cavia per i tuoi studi, un monaco Theravada da studiare :lol:

    CITAZIONE
    A me sembra a volte che il nirvana, tutto mirato com’è alla rimozione del dolore, a volte appaia come una “rimozione di tutto”…
    4) se nella totale incoscienza non vi fosse alcuna traccia di mente, allora la teoria della reincarnazione sarebbe falsa. Forse per questo è stata elaborata la teoria della “coscienza deposito”?

    E' solo la rimozione del grasping. La coscienza deposito è secondo me "convenzionale", anche lo Dzogchen ha dovuto farla sua per spiegare la pratica da un punto di vista relativo, ma dal punto di vista assoluto non ci sono semi causali, c'è solo l'afferrare (nel relativo) aspetti dell'energia (spontanea e quindi priva di causalità) che in questo modo si condensa sempre più sino alla reificazione totale del mondo.

    Edited by Sun Yun - 22/10/2021, 12:57
     
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  15. Davide S. C.
     
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    CITAZIONE (Sun Yun @ 22/10/2021, 08:36) 
    Ciò che descrivi da medico corrisponde ad osservazioni di stati patologici e di incoscienza, sai bene quanto sia meticoloso il theravada nell'entrare nei jhana che sono disposti gerarchicamente dal basso verso l'alto (e andata e ritorno) quindi di incoscienza a parte il nirodha non ce n'è proprio, anzi il livello di consapevolezza diviene sempre più forte per cui si potrebbe parlare di supercoscienza, pure il sonno notturno diviene sempre più leggero.
    La funzione del dimorare nel vuoto è la purificazione, quando la mente esce dal nirodha, tende alla contemplazione continua del Nirvana, lo spiega bene Nina Von Gorkom: [...]Per coloro che emergono dalla cessazione, il primo citta che
    sorge è un phala-citta (lokuttara-vipāka-citta), che ha il nibbāna per
    oggetto. [...]

    Dovresti procurarti una cavia per i tuoi studi, un monaco Theravada da studiare :lol:

    CITAZIONE
    A me sembra a volte che il nirvana, tutto mirato com’è alla rimozione del dolore, a volte appaia come una “rimozione di tutto”…
    4) se nella totale incoscienza non vi fosse alcuna traccia di mente, allora la teoria della reincarnazione sarebbe falsa. Forse per questo è stata elaborata la teoria della “coscienza deposito”?

    E' solo la rimozione del grasping. La coscienza deposito è secondo me "convenzionale", anche lo Dzogchen ha dovuto farla sua per spiegare la pratica da un punto di vista relativo, ma dal punto di vista assoluto non ci sono semi causali, c'è solo l'afferrare (nel relativo) aspetti dell'energia (spontanea e quindi priva di causalità) che in questo modo si condensa sempre più sino alla reificazione totale del mondo.

    Grazie Sun.
    [Per lo studio sarebbe sufficiente fare un’emogasanalisi a un monaco durante quel tipo di meditazione….nulla di troppo complesso! ma per ora non ho risorse tempo e conoscenze per farlo 😅]
    Belle le tue osservazioni. Posso dedurre che non credi nella rinascita?
    Sarebbe bello se un monaco che ha vissuto queste cose le descrivesse in prima persona (altrimenti i testi lasciano sempre il dubbio di una tradizione arcana non vissuta realmente in pieno da nessuno: io non credo che sia così però credo che ci possano essere molte imprecisioni o errori anche nei testi sacri)

    CITAZIONE (g_andrini @ 21/10/2021, 10:28) 
    Prendiamo la metempsicosi, anche gli psichiatri ne soffrono, e' la non accettazione del passato, soffrono di questo proprio tutti i cristiani e derivati.

    Interessante osservazione!
     
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