Breve introduzione al Buddismo Theravada

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    Shankar Kulanath

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    Introduzione

    Il Theravada (sanscrito: sthaviravada), letteralmente “l’Insegnamento degli Anziani” è la più antica scuola buddhista sopravvissuta. La scuola Theravada deriva dal gruppo Vibhajjavada che emerse dal gruppo Sthavira al tempo del Terzo Concilio Buddhista (intorno al 250 AC), durante il tempo del Re Ashoka.

    Il Theravada promuove la dottrina del Vibhajjavada, letteralmente “l’Insegnamento dell’Analisi”. Secondo questa dottrina la corretta visione, l’insight, deriva dall’esperienza del praticante, dall’analisi critica e dalla ragione, piuttosto che dalla fede cieca; ciononostante, secondo la tradizione delle scritture Thera è anche fondamentale seguire i consigli dei saggi, essendo questi ultimi, insieme alla valutazione delle proprie esperienze, i due “test” per poter giudicare la propria pratica.

    Nel Theravada, la causa dell’esistenza umana e della sofferenza (dukkha) viene identificata nel desiderio (tanha), oltre alle altre afflizioni come la rabbia, l’avversione, l’orgoglio, la gelosia, l’invidia, la paura, la passione, l’irritazione, l’ansietà, la distrazione ecc.. Si crede che queste afflizioni siano abitudini che derivano dall’ignoranza (avijja) che oscura la mente di tutti gli esseri non illuminati. Ignoranza di cosa? Delle tre verità di ogni fenomeno samsarico, ovvero sofferenza (dukkha), impermanenza (anicca) e mancanza di sé (anatta). Tutte le cose infatti sono caratterizzate dalla sofferenza e dall’insoddisfazione; persino la realizzazione dei nostri più intimi desideri è destinata ad essere insoddisfacente, proprio perché niente è permanente, persino la più minuta molecola. Tutte le cose inoltre sono senza un sé, ovvero prive di un’esistenza ultima. Gli esseri non illuminati invece prendono le proprie afflizioni come un “sé”, attaccandosi ad esse a causa dell’ignoranza della verità.

    Per essere liberi dalla sofferenza e dallo stress queste afflizioni devono essere permanentemente sradicate. Ciò è possibile tramite il Triplice Addestramento nella Moralità (Sila), Concentrazione (Samadhi) e Saggezza (Panna), e la pratica del Nobile Ottuplice Sentiero.


    Nobile Ottuplice Sentiero

    Primo Nobile Sentiero: Retta Visione

    La Retta Visione consiste nella conoscenza, dapprima teoretica, e poi assimilata attraverso la pratica, delle 4 Nobili Verità. Nel Mahasatipattana Sutta, uno dei più importanti discorsi di Buddha Shakyamuni nel Theravada, è scritto: “E cosa è, o monaci, la Retta Visione? Comprendere la sofferenza, comprendere l’origine della sofferenza, comprendere la fine della sofferenza e comprendere la via che conduce all’estinzione della sofferenza: questa è chiamata Retta Visione”

    Secondo Nobile Sentiero: Retta Intenzione

    Tradotto anche come “retto pensiero”, si riferisce principalmente alla ferma risoluzione di rinunciare al ciclo delle rinascite abbandonando l’avidità, la malevolenza e l’offuscamento mentale. Nel Magga-Vibhanga Sutta è scritto: “E cos’è il Retto Pensiero? Essere risoluti nella rinuncia, nella libertà dalle cattive intenzioni, nell’innoquità: questo è chiamato Retto Pensiero”.

    Terzo Nobile Sentiero: Retta Parola

    Si tratta di una serie di precetti sull’uso del linguaggio. Bisogna astenersi dal dire il falso per vantaggio proprio o altrui, dal seminare discordia, dal rivolgersi ad altri in modo aggressivo o scortese, dall’intrattenersi su argomenti futili e insulsi (principalmente il gossip). “E cos’è la retta parola? Astenersi dal mentire, astenersi dalla parola che divide, astenersi dalla parola offensiva, astenersi dalle chiacchiere oziose: questa, o monaci, è la Retta Parola”

    Quarta Nobile Sentiero: Retta Azione

    La Retta Azione, tradotta anche come “retta condotta”, implica il modo corretto in cui il praticante buddhista dovrebbe comportarsi nella propria vita quotidiana. “E cos’è la retta azione? Astenersi dal prendere la vita, dal rubare, e dal rapporto sessuale scorretto. Questa è chiamata Retta Azione”. Il quarto Nobile Sentiero viene spesso spiegato attraverso i Cinque Precetti, voti che il praticante buddhista laico prende:

    1- Astenersi dall’uccidere. Include l’essere il mandante di essa o approvarla, l’istigazione al suicidio e l’aborto.

    2- Astenersi dal prendere ciò che non ci viene dato

    3- Astenersi dal cattivo comportamento sessuale, particolarmente la violenza sessuale e l’adulterio, guardando alle donne non qualificate per il rapporto come madri, sorelle o figlie in base all’età

    4- Astenersi dalla menzogna

    5- Astenersi dalle sostanze intossicanti (alcol, droghe..)


    Quinto Nobile Sentiero: Retta Vita

    Tradotta anche come “retti mezzi di sostentamento”, si basa principalmente sul concetto di ahimsa (non violenza), ed essenzialmente afferma che bisogna astenersi da occupazioni che, direttamente o indirettamente, causano danno agli esseri. “Oh Monaci, un praticante laico non dovrebbe impegnarsi in cinque tipi di commerci. Quali cinque? Commercio di armi, commercio di esseri umani, commercio di carne, commercio di intossicanti, commercio di veleni”

    Sesto Nobile Sentiero: Retto Sforzo

    Il Retto Sforzo, che implica essenzialmente lo sforzo continuato nel mantenere la propria mente libera da quei pensieri che potrebbero ostacolare la pratica degli altri elementi dell’Ottuplice Sentiero, è quella disciplina mentale che opera in quattro direzioni: onde evitare l’insorgere di afflizioni non ancora sorte, abbandonare le afflizioni già sorte, propiziare il sorgere di virtù non ancora sorte e incrementare le virtù già sorte.

    Settimo Nobile Sentiero: Retta Consapevolezza

    La Retta Consapevolezza è costituita dalla pratica della Vipassana che, insieme alla Concentrazione, è la principale pratica di meditazione nel Theravada. Essa consiste essenzialmente nell’osservazione di tutti i fenomeni che accadono nel corpo e nella mente, ed ha quattro oggetti di osservazione: il corpo, le sensazioni, la mente e i dharma (in questo contesto ci si riferisce ai fenomeni mentali). Grazie alla corretta consapevolezza la mente si purifica dai suoi veli oscuratori, vedendo la vera natura delle cose, insoddisfacente, impermanente e vuota di sé. Grazie a ciò è possibile raggiungere la Liberazione

    Ottavo Nobile Sentiero: Retta Concentrazione

    Il Buddha spiega la Retta Concentrazione nei termini dei 4 jhana (dhyana in sanscrito). La base da cui è possibile realizzare i jhana è generalmente costituita dall’anapanasati, la concentrazione sul respiro. Prima dei jhana si entra in un pre-stadio caratterizzato dall’abbandono dei Cinque Ostacoli (desiderio sensuale, malevolenza, torpore, agitazione, dubbio). Questo pre-stadio è uno stato instabile dove la mente è concentrata sul proprio oggetto, ma non come nello stato di piena concentrazione (jhana), dove si assiste ad un livello nettamente diversi di consapevolezza, in cui la mente non funziona nel livello sensoriale ordinario. In questo pre-stadio alcuni meditatori possono sperimentare immagini mentali molto vivide simili ai sogni, oppure avere la sensazione che il proprio respiro o il proprio corpo sparisca lasciando pura consapevolezza. Quando questi fenomeni accadono non bisogna esserne interessati o spaventati, ma bisogna continuare la meditazione. Quando si supera questo pre-stadio si entra nei 4 stadi di piena concentrazione (Jhana):

    1- Primo Jhana: in questo stadio appare una forma di beatitudine (formata da gioia e felicità). Solo i movimenti mentali più sottili rimangono. L’abilità di creare intenzioni malvagie cessa.

    2- Secondo Jhana: in questo stadio i movimenti mentali sottili cessano. Rimane la beatitudine. Cessa anche l’abilità di creare intenzioni positive

    3- Terzo Jhana: in questo stadio cessa l’aspetto gioioso della beatitudine, ma rimane comunque uno stato di felicità

    4- Quarto Jhana: cessa anche la felicità, entrando in uno stato che non è caratterizzato né dal piacere né dal dolore. E’ uno stato di perfetta purezza e equanimità. Il respiro cessa temporaneamente.
    Con il quarto Jhana si dice che incominci l’acquisizione dei poteri paranormali, ma non è questo lo scopo della meditazione. Lo scopo della realizzazione della piena concentrazione è di rinforzare e raffinare la mente, in modo tale da poterla dirigere con chiarezza ai fenomeni realizzandone la natura.


    I Livelli di Realizzazione


    Attraverso la pratica, i praticanti possono raggiungere 4 livelli di realizzazione, che riflettono il loro stato mentale:

    1- L’entrato nella corrente (sotapanna): sono entrati nella corrente del Dhamma, hanno distrutto le prime tre catene (falsa visione del sé, dubbio, attaccamento ai riti e ai rituali), non rinasceranno nei reami inferiori, e al massimo impiegheranno 7 vite per raggiungere la Liberazione.

    2- Il ritornato una volta (sakadagami): oltre ad avere eliminate le tre catene hanno anche diminuito l’attaccamento sensuale e l’avversione. Raggiungeranno la Liberazione al massimo dopo essere tornato ancora una volta nel mondo.

    3- Il Non Ritornato (anagami): hanno eliminato le cinque catene (falsa visione di sé, dubbio, attaccamento ai riti, attaccamento sensuale, avversione), ma non sono ancora liberi dall’attaccamento ai jhana, da una forma sottile di orgoglio, dall’agitazione e dall’ignoranza. Alla morte loro non rinasceranno in questo mondo, ma in un mondo celestiale dove raggiungeranno la Liberazione

    4- Il Liberato (Arahant): coloro che hanno realizzato il Nibbana, lo stato senza morte in cui le afflizioni sono completamente cessate. Il Nibbana si suddivide in quello con “residuo”, quando l’Arahant è ancora vivo, ed ha quindi il residuo dei cinque aggregati (che quindi possono essere il sostrato di forme di sofferenza fisica, ma non mentale), e quello “senza residuo”, dopo la morte.


    Scritture

    Le scritture sacre del Theravada, il Canone Pali, sono chiamate Tripitaka, in quanto formate da Tre Canestri: il Vinaya Pitaka, il Sutta Pitaka e l’Abhidhamma Pitaka. Il primo tratta delle regole di condotta monastiche, il secondo è l’insieme dei testi che trattano della storia e delle parole del Buddha, e l’ultimo comprende gli insegnamenti più filosofici, psicologici e metafisici. Essi vengono fatti corrispondere ai Tre Addestramenti: il Vinaya alla Moralità (Sila), i Sutta alla Concentrazione (Samadhi), e l’Abhidhamma alla Saggezza (Panna). Secondo l’opinione di buona parte degli studiosi l’Abhidhamma fu aggiunto successivamente in quanto sembra che al Primo Concilio Buddhista erano presenti solo due Pitaka. In ogni caso i primi testi vennero scritti nel primo secolo avanti cristo, essendo tradizione di quei tempi trasmettere gli insegnamenti in modo orale. La porzione dei Sutta e del Vinaya del Tripitaka mostra una sovrapposizione considerevole con l’insieme dei testi usati dalle scuole non-theravada che vanno a formare il Canone Cinese e Tibetano. L’Abhidhamma usato nel Theravada invece non è riconosciuto nel Mahayana. Per contro, i Sutra Mahayana non sono riconosciuti dal Theravada. Nel quinto secolo dopo Cristo fu Buddhaghosha a scrivere il primo commentario al Canone Pali, il Visuddhimagga (il Sentiero della Purificazione).

    Edited by AuspiciousMerit - 4/6/2008, 14:11
     
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  2. Kagyu Dorje
     
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    Ecco, questo potrebbe essere un buon punto di inizio per un neofito...
     
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  3. rainbow-86
     
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    ciao grazie spiegazione molto esauriente......
     
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  4. flambeau
     
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    Ma se al terzo jhana c'è felicità e al quarto no che cosa invoglia uno al terzo stadio a raggiungere il quarto? o sono semplicemente dei passaggi "inevitabili" dopo una lunga meditazione?
     
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    Shankar Kulanath

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    La gioia provata al terzo jhana non è una gioia autentica, ma leggermente artificiosa, e ovviamente condizionata. E' un'esperienza, e tutte le esperienze vanno e vengono. Visto che le esperienze vanno e vengono, a queste non bisogna attaccarsi.
    Il quarto jhana è uno stato molto più sottile e profondo, ma in ogni caso nessun jhana è il fine della pratica. Praticare solo shamata infatti non porta all'illuminazione; bisogna fare anche vipassana.
     
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  6. pabletto76
     
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    molto interessante! ;)

    ciao ciao a tutti! :)
     
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  7. pabletto76
     
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    L'ALBERO DELL'ILLUMINAZIONE CAPITOLO XIX (I quattro stadi di Illuminazione).

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    Cerchiamo ora di definire i quattro stadi di illuminazione: chi entra nella corrente (sotapanna), chi ritorna una sola volta (sakadagami), chi non ritorna più (anagami) e arahat.
    Il progresso di un Nobile attraverso i vari stadi è segnato dalla sua abilità a superare alcuni impedimenti che si presentano ad ogni stadio. Vi è una progressiva eliminazione dei dieci impedimenti o vincoli (samyojana) che ci tengono legati all’universo condizionato fino a quando non saremo in grado di liberarcene.

    L’entrata nella corrente (sotapanna) è segnata dall’eliminazione di tre vincoli: il primo è la credenza in un’esistenza indipendente e duratura di un essere individuale (sakkaya ditthi), cioè scambiare i cinque aggregati mentali e fisici di una persona (forma, sensazione, percezione, volizione e coscienza) per un sé. Non è perciò a caso che diciamo che i tipi di coscienza mondani sono condizionati dagli aggregati, mentre i tipi di coscienza sopramondana non sono determinati dagli aggregati. Il superamento di questo primo vincolo segna il passaggio dallo stato di persona comune a quello di Nobile.
    Il secondo vincolo superato da chi entra nella corrente è il dubbio (vichikkicca), che riguarda soprattutto il dubbio verso il Buddha, il Dhamma e il Sangha, ma anche sulle regole di disciplina e sull’Origine interdipendente.
    Il terzo vincolo è la credenza in regole e rituali (silabbataparamasa). Ci sono parecchi malintesi sul suo significato, ma comunque si riferisce alle pratiche di quei non buddhisti che credono che il solo aderire a codici di disciplina morale e a rituali ascetici, possa condurli alla liberazione.
    Quando questi tre vincoli vengono superati uno entra nella corrente (sotapanna), e otterrà la liberazione entro un massimo di sette vite. Non rinascerà in stati di dolore (nel regno degli esseri infernali, degli spiriti affamati e degli animali) e la sua fede nel Buddha, Dhamma e Sangha è garantita e incrollabile.

    Dopo questo primo stadio di illuminazione, il Nobile continua nella pratica per indebolire altri due vincoli, il desiderio sensuale e la malevolenza, in modo da ottenere lo stato di sakadagami, colui che ritorna una volta sola. Questi due vincoli sono talmente forti che perfino a questo stadio, vengono solo indeboliti, non eliminati del tutto. Desideri sensuali e malevolenza possono ancora sorgere, ma non più in modo così ossessivo come nelle persone comuni.

    Quando infine questi due vincoli vengono eliminati uno raggiunge lo stato di anagami, di colui che non ritorna più. In questo terzo stadio uno non rinascerà più nella ruota di nascita e morte ma solo nelle pure dimore riservate a loro e agli arahat.

    Quando anche gli ultimi cinque vincoli vengono eliminati (attaccamento alla sfera della forma (rupa raga), alla sfera della non forma (arupa raga) alla superbia (mana), all’agitazione (uddhacca) e all’ignoranza (avijja) si arriva alla vetta della coscienza sopramondana, alla coscienza fruitiva dell’arahat.

    Questi quattro stadi possono essere divisi in due gruppi: i primi tre, chiamati di addestramento, e il quarto che non ha più bisogno di addestramento o preparazione. Per questo è bene pensare il progresso verso lo stato di arahat come un processo graduale, come in un programma di studi accademici. A ogni stadio si superano certe barriere di ignoranza, fino a “laurearsi” quando si arriva all’apice conclusivo degli studi.
    A questo punto avviene un cambiamento qualitativo che porta da una condizione indiretta e determinata, a una diretta e determinante.
    ...
    Anche se qualcuno ha cercato di sminuire lo stato di arahat con l’accusa di egoismo, va riconosciuto invece che è uno stato benefico e compassionevole. Basta vedere le istruzioni del Buddha ai suoi principali discepoli arahat e anche la loro stessa vita, per capire che al tempo del Buddha lo stato di arahat non era né passivo né egoista. Sariputta, Moggallana e altri erano molto attivi e impegnati ad insegnare sia ai laici che ai religiosi. Lo stesso Buddha esortò i suoi discepoli arahat ad andare avanti per il beneficio di molti. Lo scopo dell’arahat è glorioso e meritorio e non va sottovalutato, solo perché la tradizione buddhista riconosce anche la realizzazione dello stato di Buddha individuale o isolato (pacceka Buddha) e quello della buddhità.



    Peter Della Santina (tradotto in italiano da S. Ziviani).

    La diffusione dei testi tradotti è consentita in qualsiasi modo tranne che a fini di lucro.

    Per 25 anni Peter Della Santina è stato discepolo di Sua Santità Sakya Trizin, capo dell’ordine tibetano dei Sakya e di eminenti figure della tradizione Sakya. Ha praticato la meditazione buddhista e fatto molti ritiri.


    spero sia un testo utile!

    ciao ciao,
    Pabletto :)

    Edited by pabletto76 - 16/6/2009, 15:39
     
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  8. FioreDiLoto90
     
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    Bellissima spiegazione,molto chiara per altro.Questa è sicuramente la dottrina che più mi affascina e mi interessa.Grazie per queste importanti informazioni! ^^
     
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  9. pepper_sauce
     
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    Ottima introduzione. Grazie!!

    :namastè*:
     
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  10. Ryu Hikari
     
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    Ottima e utilissima guida, grazie destiny di questa spiegazione ^_^
     
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  11. davids88
     
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    grazie destiny credo di avere molti punti in comune con questa scuola
     
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  12. Buddhismo95
     
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    Qualcuno mi può suggerire qualche libro o sito per approfondire? :)
     
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    http://santacittarama.altervista.org/welcome.htm
     
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  14. =anton=
     
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    ma ciò che è scritto nel primo post non vale per tutte le "scuole" Buddhiste?
     
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    piccolo haijin

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    in teoria sì.
    in pratica...
    del resto oggi chi gli dà retta più agli anziani?
    poveri nonni... :rolleyes:
     
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28 replies since 31/5/2008, 21:32   3853 views
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