TUTTO E' CREATO DALLA MENTE

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  1. dorjepizza
     
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    Come promesso inizio questo thread che riprende un tema toccato nella sezione dedicata a Mahakala.Questo argomento sulla mente è piuttosto interessante ma anche facilmente fraintendibile non perchè siamo scemi ma perchè i tibetani hanno mutuato terminologie dei sutra nei tantra e nello Dzogchen finendo per confondere tutto e tutti .
    Partirò dai sutra e poi mi dedicherò ai tantra e allo Dzogchen avvertendovi però che questa terminologia nei tantra e nello Dzogchen assume un' altra valenza rispetto ai Sutra e in contrasto con quelli dei Sutra .Prima di iniziare la discussione delinerò le due dottrine Mahayana
    La Madhyamaka Prasangika e il Cittamatra.Vedrete in fondo come queste due dottrine divergono sostanzialmente nell'interpretazione.Poi vedremo i Tantra e lo Dzogchen


    Il Cittamatra


    Partendo dall'affermazione del Buddha «O figli dei Vittoriosi, i tre regni non sono altro
    che mente», questa scuola è chiamata "idealista" perché dichiara che i fenomeni sono
    inseparabili dalla mente e non sono altro che semplici apparenze per essa. Non
    accetta, dunque, l'esistenza reale di fenomeni esterni, ma afferma che, dal punto divista
    della verità ultima, esiste solo la coscienza.In essa e soltanto in essa, sotto l'influenza
    dell'ignoranza, nasce l'illusione di un soggetto prensore, "che coglie" (, TIB. 'dzin-pa)e di
    di oggetti coglibili, che "vengono colti" (. gzung-ba).
    Il carattere illusorio degli oggetti esterni viene illustrato tramite otto metafore
    dell'illusione: si paragonano i fenomeni esterni a un'illusione creata dalla magia, a
    un'illusione ottica, a un miraggio, a un sogno, al riflesso della luna sull'acqua, a un'eco, a
    una città aerea, a un fantasma.
    La vacuità nel Cittamtra è quindi l’inseparabilità dell’afferrato e dell’afferratore
    L'esempio del sogno è quello che colpisce di più. Il sognatore ne crede reale il contenuto
    al punto di fuggire se si crede inseguito da una tigre affamata. E tuttavia chi corre e chi
    insegue sono entrambi il prodotto della sua mente. Le apparizioni oniriche sono inoltre
    irreali dal momento che al risveglio svaniscono.
    Allo stesso modo, la comprensione della vacuità o talità fa svanire la dualità soggettooggetto,
    mera proiezione della mente in preda all'illusione. I fenomeni che appaiono alla
    coscienza sono il risultato del karma dell'individuo: nel passato, innumerevoli tracce
    karmiche o impronte, letteralmente dette "impregnazioni" (SANS. vasanà, TIB. bagchags),
    sono state depositate nella coscienza; sono come semi (SANS. bìja, TIB. sa-bon)
    che daranno luogo, quando le condizioni permetteranno loro di maturare, a fenomeni
    psichici simili a quelli che li hanno originati.
    Qual è dunque il supporto di questi semi? A parte "gli adepti della Madhyamaka
    asseriscono l'esistenza delle sei coscienze e considerano la coscienza mentale quale
    depositaria delle tracce karmiche, la maggior parte dei cittamatrin segue l'approccio di
    Asahga e di Vasubandhu e i sutra come il Lankàvatàrasutra; sono gli "adepti delle
    scritture", che accettano l'esistenza di otto coscienze (SANS. astavijnàna, TIB. rnam-shes
    tshogs-brgyad): sei coscienze dei sensi, una coscienza mentale contaminata (SANS.
    klistamanas, TIB. nyon-yid), tutte quante attive e volte verso i loro oggetti, e la coscienza
    base-di-tutto (SANS. àlayavijnàna, TIB. kun-gzhi rnam-shes).
    L'alaya funge da ricettacolo delle impronte karmiche o semi. Coscienza fondamentale
    neutra, non fa altro che ricevere le impronte karmiche che risultano dalle attività
    karmiche anteriori prodotte dalla coscienza mentale contaminata. Quando, per la

    maturazione dei semi karmici del passato depositati nell'àlayavijnàna, si manifestano
    delle apparenze (forme, suoni, odori, gusti, consistenze, fenomeni mentali), le coscienze
    dei sensi si limitano a percepirle, ma la coscienza mentale contaminata se ne appropria
    come di oggetti del desiderio o dell'avversione. Ne deriva la produzione di nuovo karma e
    un deposito di nuove impronte karmiche nell'àlayavijnàna.
    Finché ci saranno impronte, l'alayavijnàna continuerà a esistere. Di per sé essa non è né
    virtuosa né non virtuosa; è la continuità cosciente che collega tutti gli stati della
    coscienza: sonno profondo, svenimenti, coscienza allo stato di veglia, assorbimento
    meditativo. Alla morte, tutte le altre coscienze si riassorbono in essa; poiché è il supporto
    delle impronte karmiche, è alayavijnana che costituisce la coscienza che trasmigra di vita
    in vita. Nel Lankàvatàrasutra è detto: «La coscienza è insieme lo spettatore, il teatro e la
    danzatrice». Poiché, durante tutte le esperienze in stato di veglia, nel sogno o in altre
    occasioni, niente di quanto viene percepito proviene dall'esterno, ne consegue che ogni
    coscienza individuale è una serie psichica chiusa, mossa dalla propria causalità karmica.
    Nel Cittamtra si parla di due aspetti della coscienza. Quando la coscienza percepisce un
    oggetto, ha due aspetti: si volge verso l'oggetto per coglierlo, e nello stesso tempo
    sperimenta all'interno la propria natura. Grazie a quest'ultimo aspetto, "la coscienza
    interna che conosce se stessa e si auto-illumina", ci possiamo ricordare di un'esperienza
    vissuta anche quando questa non è più presente.
    La natura dei fenomeni è di tre tipi.
    1. La natura completamente immaginaria è l'idea che ci si forma degli oggetti che si
    manifestano. Sotto l'influenza delle immaginazioni fittizzie o pensieri concettuali
    prodotti dalla coscienza mentale e dalla coscienza mentale contaminata,
    attribuiamo erroneamente agli oggetti una natura veramente esistente o un essere
    in sé. È così che si designano i cinque aggregati (SANS. skandha) come un "sé"
    della persona ecc. Questi concetti vengono chiamati immaginari o fittizi perché
    sono completamente inesistenti, essendo il prodotto dell'ignoranza e dell'illusione.
    2. La natura dipendente che include tutti i fenomeni prodotti da cause ossia tutto
    ciò che è partecipe della produzione condizionata o interdipendenza
    3. La natura perfettamente fondata, perfetta così com'è è la natura reale o assoluta
    dei fenomeni: è la natura dipendente colta però nella sua nudità, ossia una volta
    completamente libera da ciò che è interamente immaginario.
    È, insomma, la realtà qual è, la talità la vacuità dei caratteri fenomenici di esistenza e
    inesistenza, e assenza di dualità soggetto-oggetto.

    E sulla natura dipendente, contemporaneamente esistente per la sua efficienza causale e
    vuota di sovrapposizioni immaginarie, che sono imperniate le due verità o due realtà: la
    realtà convenzionale , ossia la natura dipendente contaminata da quanto è interamente
    immaginario, e la realtà ultima , ossia la natura dipendente avulsa da quanto è
    interamente immaginario.
    Il cammino del bodhisattva versol'Illuminazione, ossia l'accesso alla tathatà, comprende
    l'accumulazione dei meriti o sviluppo delle azioni benefiche per mezzo della pratica
    delle prime cinque pàramità, e l'accumulazione della saggezza, detta anche sviluppo
    dell'intelligenza non-mediata per mezzo della pratica delle ultime due pàramità lungo il
    percorso dei cinque sentieri e delle dieci terre . Il bodhisattva elimina così gli oscuramenti
    passionali e i loro semi, ostacoli alla liberazione, nonché gli oscuramenti cognitivi
    ostacoli alla buddhità Dall'ottava all'ultima terra, il bodhisattva recide alla radice gli
    ultimi oscuramenti e consegue la "rivoluzione del supporto": svuotata di tutti i suoi semi,
    l'àlayavijnàna diventa la coscienza immacolata dei buddha, detta amalavijnàna o
    vimalavijnàna. Senza più oggetti, la coscienza mentale si volge verso la propria base non
    duale, la cui dimensione è il dharmadhàtu, lo spazio della realtà, e la conosce
    direttamente.Si ottiene, allora, la piena Illuminazione & bodhi, e il nirvana non statico
    Presente in ogni essere, in cui dimorava nascosto come un gioiello nella ganga, il
    tathàgatagarbha o essenza del tathàgata si manifesta infine nel dharmakàya o corpo,
    assoluto da cui procedono i due corpi formali, il sambhogakàya e il nirmànakàya, allo
    scopo di agire per il bene degli esseri immersi nel samsàra

    La Madhyamaka


    La Base o Visione del Màdhyamika consiste nell'unire le due verità o realtà: la realtà
    relativa o convenzionaleche riguarda l'ambito delle apparenze fenomeniche, e la realtà
    assoluta o ultima ,che è la vacuità dei fenomeni
    Dapprima bisogna distinguere bene queste due realtà, che Candrakìrti definisce così:
    «Tutti i fenomeni hanno due nature: quella trovata percependo la loro realtà e quella
    trovata percependo il loro carattere ingannevole. L'oggetto della percezione corretta è la
    realtà assoluta, quello della percezione ingannevole è la realtà convenzionale»
    Sul piano relativo, i fenomeni appaiono ai nostri sensi e sembrano esistere veramente, ma
    sul piano assoluto sono sprovvisti di un'esistenza intrinseca.
    Prendiamo ad esempio una montagna ; vista dalla sua parte essa sembra possedere una
    massa e una sostanza proprie, indipendenti da qualsiasi condizione. Eccola ergersi
    davanti a noi: imponente, indipendente e concreta, ma se riflettiamo scopriremo
    gradualmente che essa deve la sua esistenza a una varietà di cause e condizioni e a
    innumerevoli particelle atomiche tanto piccole da non essere visibili. È solo l'unione di
    tutte queste parti, che a loro volta dipendono l'una dall'altra, a formare la montagna. Essa
    esiste solo in questo modo dipendente; non c'è un'entità 'montagna' esistente
    indipendentemente, un qualcosa separato dalle cause e dalle parti componenti che sono la
    base della sua esistenza.
    Ciò è vero per tutti i fenomeni materiali, grandi o piccini che siano. Immaginate
    di avere un chicco d'uva in mano. Perfino prendendo in considerazione questo
    piccolo e relativamente insignificante oggetto, comincerete a notare il gran numero
    di svariate condizioni responsabili della sua attuale esistenza. Pensate per esempio
    al campo in cui
    è cresciuto, alla vigna da cui proviene, agli sforzi del contadino, al sole e alla
    pioggia che lo hanno aiutato a svilupparsi. In questo modo possiamo capire come
    ogni fenomeno debba la sua esistenza a una miriade di fattori condizionanti.
    Non si troverà niente che sia privo di esistenza dipendente. Anche le minuscole
    particelle atomiche che sono i costituenti di base della materia sono eventi
    dipendenti. Esse dipendono dalle loro parti direzionali così come dalle cause che
    le hanno prodotte e dagli effetti a cui a loro volta danno luogo.

    Anche fenomeni meno concreti, come il tempo, sorgono in modo dipendente.
    Prendete per esempio l'anno 2011 . A prima vista esso appare come un solido
    pezzo di tempo dotato di una sua ben definita identità, mentre in realtà la sua
    esistenza dipende da periodi di tempo più brevi: mesi, settimane, giorni, che a
    loro volta dipendono da ore, minuti, secondi, millesimi di secondi e così via. Non
    c'è anno o altro periodo di tempo che esista indipendentemente da periodi di tempo
    più brevi e se si giungesse a togliere una qualsiasi parte componente l'insieme,
    l'insieme stesso non potrebbe più esistere.
    Perfino la mente è priva di esistenza indipendente. Ogni stato mentale dipende da
    numerosi momenti di coscienza e da svariati fattori mentali. La mente che ha
    meditato per un'ora sembra avere una identità propria e indipendente, ma se la
    analizziamo troveremo che essa dipende totalmente da diversi singoli pensieri,
    percezioni e sentimenti sperimentati in quell'ora, oltre che dagli oggetti di
    meditazione. Anche particolari fattori mentali, come ad esempio le sensazioni di
    piacere e dolore, dipendono da svariate condizioni che, una volta riunite,
    provocano quella particolare impressione. Nemmeno il flusso ininterrotto della
    coscienza che migra da una vita all'altra fino a raggiungere la buddhità esiste in
    modo indipendente. Essa esiste in uno stato costante di cambiamenti momentanei e
    perciò dipende da un numero infinito di momenti che formano la sua continuità.
    La persona è dipendente. La possiamo pensare composta di un corpo e una mente,
    ma non la possiamo identificare né con l'uno né con l'altra. Né possiamo pensare che
    qualcuno sia le proprie ossa o la propria carne o il proprio stato d'animo o la propria
    ricettività. In realtà, la persona esiste semplicemente in dipendenza dai costituenti
    fisici e mentali che la compongono. Essa non ha un'esistenza propria, indipendente
    da questi fattori, né si identifica con essi.
    Anche fenomeni permanenti e incondizionati, come ad esempio lo spazio, sono
    entità dipendenti. In una stanza lo spazio, cioè la semplice mancanza di contatto
    ostacolante, dipende dalle sue parti direzionali, cioè dall'assenza di ostacoli nelle
    varie parti della stanza. Oltre a dipendere da cause e parti componenti, i
    fenomeni dipendono anche dalla designazione della mente. Questo tipo di dipendenza
    è più sottile e difficile da capire dell'altro, ma è molto importante afferrarne il senso.
    Spesso si dice che tutti i fenomeni sono semplicemente designati dalla mente e che
    nulla può esistere indipendentemente da tale designazione. Ma cosa significa
    designare qualcosa con la mente? In realtà designare (btags. pa) non significa altro che
    apprendere ('dzin. pa). Pensiamo a una lampada nella nostra stanza. È proprio
    pensandola che la apprendiamo e così facendo la designiamo. Perciò la designazione è
    la qualità fondamentale della mente con la quale essa apprende gli oggetti.
    Possiamo apprendere, o designare, sia entità esistenti che non-esi-stenti. Se ciò
    che apprendiamo è esistente, la mente che apprende è una mente valida (corretta),
    altrimenti, se ciò che designiamo non esiste, allora la mente che apprende è erronea.

    Per esempio, potremmo trovarci a passeggiare in un giardino e notare un oggetto
    piuttosto lungo, avvolto a spirale, seminascosto dall'erba alta. A questo punto,
    indietreggiamo impauriti scambiandolo per un serpente, ma una volta avvicinatici
    cautamente per osservarlo - meglio ci rendiamo conto che non si tratta di un serpente
    ma della canna per innaffiare. La percezione iniziale ha designato un serpente ma,
    poiché il suo oggetto non era in realtà un serpente, quella percezione era errata. In
    un'altra circostanza potremmo. invece vedere un oggetto e riconoscerlo correttamente
    come serpente. In questo caso la designazione di serpente corrisponde alla realtà e perciò
    la mente che percepisce è corretta. Quindi, quando si afferma che tutti i fenomeni
    esistenti sono delle designazioni della mente, deve essere chiaro che in questo caso
    per 'mente' si intende una mente valida. Ciò non significa che un qualsiasi particolare
    stato mentale possa inventarsi l'esistenza di un fenomeno.
    Tutti i fenomeni esistono in dipendenza da cause e condizioni (se si tratta di
    fenomeni condizionati), parti componenti e designazioni mentali. Ovvero, niente esiste
    in modo autonomo e indipendente da cause, parti e designazione. Ebbene, ciò che si
    vuole ora negare, vale a dire l'esistenza intrinseca e indipendente, è totalmente nonesistente;
    quello che esiste è la sua vacuità. La vacuità non è altro che l'assenza di
    ciò che si nega. Se ciò che si nega, cioè l'esistenza intrinseca, fosse esistente, allora la
    vacuità non dovrebbe esistere. Quando qualcosa comincia a esistere è, per sua stessa
    natura, qualcosa di designato dalla mente e quindi vuoto di esistenza indipendente.
    Perciò, quello che si intende con il termine 'vacuità' è la semplice assenza di
    qualsiasi tripo di esistenza intrinseca e indipendente dei fenomeni.
    Prendiamo per esempio un rosario. Esso dipende dalla designazione mentale. Perciò,
    esso non esiste come un'entità autonoma, indipendente dalla designazione della mente.
    Questa mancanza di esistenza propria, indipendente, del rosario, è la vacuità del
    rosario. E questa vacuità è il moìdo di esistere ultimo e profondo del rosario. D'altra
    parte, il rosario che esiste in modo convenzionale non è altro che il rosario designato
    dalla mente. Vi sono perciò due aspetti nel modo di esistere del rosario: quello
    ultimo e quello convenzionale. E per quanto si possa pensare che questi due aspetti
    siano distinti, essi sono essenzialmente identici. In altre parole, possiamo pensare e
    descrivere questi due modi di esistere del rosario, cioè il suo essere solo una designazione
    mentale e il suo essere vuoto di esistenza indipendente dalla designazione della
    mente, come distinti, ma in realtà essi sono una unica cosa.
    . Le due realtà sono, quindi:
    1. opposte,poiché l'apparenza di un fenomeno non è la sua realtà assoluta;
    2. inseparabili, perché i fenomeni appaiono benché siano vuoti d'esistenza in sé,
    e nonostante appaiano ai nostri sensi, sono senza esistenza in sé;
    3. della stessa essenza: la natura essenziale o ultima dei fenomeni relativi è la loro
    vacuità.

    In conclusione, l'interdipendenza dei fenomeni implica la loro assenza d'essere in sé: essa ci
    allontana dall'eternalismo, poiché se i fenomeni esistessero in sé non potrebbero esistere
    dipendentemente da altri fenomeni e non vi sarebbe né produzione né distruzione possibile;
    ci allontana anche da conclusioni nichiliste, poiché i fenomeni appaiono ed esistono
    relativamente, per via della produzione interdipendente. I fenomeni sono dunque senza
    essere in sé, ma non sono nemmeno inesistenti: questa è la via di mezzo.
    La Via che mena all’illuminazione per la madhyamaka. consiste nell'unire due
    accumulazioni o sviluppi:
    1. L'accumulazione o sviluppo della saggezza, tramite il ragionamento e la
    meditazione, conduce alla penetrazione diretta della vacuità.
    2. L'accumulazione o sviluppo dei meriti consiste nel praticare la
    compassione con l'aiuto delle sei pàramità.
    Il bodhisattva, in questo modo, attraversa successivamente i cinque sentieri e le dieci
    terre della pratica, fino al Frutto dell'Illuminazione.
    Il Frutto. Si tratta della piena Illumuiazione di un buddha ottenuta dopo il dissolvimento
    dei veli passionali e cognitivi lungo i sentieri e le terre. L'accesso alla vacuità del sé e dei
    fenomeni garantisce la distruzione dei veli cognitivi e permette di realizzare il
    dharmakaya o corpo assoluto per sé. L'accumulazione dei meriti permette Di realizzare i
    due corpi formali (SANS. rupakaya)per il bene altrui: il sambhogakàya o corpo di
    fruizione e il nirmànakàya o corpo d'apparizione
     
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102 replies since 20/3/2011, 16:43   3430 views
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