La principessa di Ukok

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    MOSCA - Era una bella donna, giovane e raffinata. Sulle braccia portava i tatuaggi di un cervo e di un muflone: sul ventre il disegno di un giaguaro. Il suo volto aveva tratti europei, chiari gli occhi. Quando morì la vestirono con una camicia di seta, una gonna di lana morbida, una pelliccia regale. Sul capo le fu calata una parrucca, affinché affrontasse gli spiriti con il suo fascino intatto. Era una principessa: la principessa degli Altai.

    Fu deposta in un tronco di larice, scavato e fermato con chiodi di bronzo. Con lei, nella fossa, sei cavalli con selle e finimenti preziosi: l'avrebbero condotta più rapidamente attraverso i cieli, fino agli dei. Per 2500 anni il suo destino è rimasto avvolto dalle tenebre. Fino a quando, nell'estate di 11 anni fa, un gruppo di archeologi russi si è imbattuto in un sarcofago di epoca scizia sull'altopiano di Ukok. Una tomba perfettamente conservata. All'interno, adagiata sul fianco destro, raccolte le gambe, la mummia della principessa somigliava ad una vecchia addormentata. Nessuno aveva mummificato quel corpo, un processo allora sconosciuto tra gli Altai, nella Siberia meridionale al confine tra Mongolia e Cina. Così la principessa, conservata in una bolla di ghiaccio ad una quota di 2800 metri, tornò sul mondo e diventò leggenda. Ma da quel giorno, con la meraviglia, si scatenò anche la sua maledizione.

    La progenitrice del popolo degli Altai venne sottratta alla sua terra natale. Gli archeologi, guidati da Natalia Polosmak, la caricarono su un elicottero assieme al sarcofago. Flash e telecamere, destinazione Novosibirsk, piccola metropoli lungo la linea della Transiberiana. La principessa "rapita" era attesa nel museo di scienze naturali: analisi, esami del Dna, prelievi di tessuti, una cella alla temperatura costante di 18 gradi. Tutto il mondo era attratto dal suo mistero, dalla sua eterna giovinezza, dall'eccezionalità della scoperta. In poche ore invece ebbe inizio la vendetta. L'elicottero fu colpito da un guasto, mai spiegato. Atterrò miracolosamente, con il motore rotto. La mummia proseguì il viaggio in automobile. I giornali di Gorno-Altaisk svegliarono il mito scrivendo che nell'incidente si erano sfracellati tutti, mentre solo la principessa era rimasta "illesa". Il resto lo fecero gli sciamani, stregoni pagani che alimentano la venerazione popolare verso gli elementi della natura. Tra rulli di tamburi e formule magiche, contorcimenti e grida, sgozzamenti di agnelli e ipnosi, gli sciamani diffusero tra il popolo del Kosh-Agach il tremendo vaticinio: nessuno avrebbe dovuto toccare le sacre reliquie della principessa degli Altai, la rabbia del cielo e della terra si sarebbe rivelata implacabile.

    Difficile comprendere se poi ci si sia messa la natura divinizzata, oppure il caso, o la suggestione. Ma da allora la tranquilla regione di montagna sembra colpita davvero da una maledizione. Due scosse di terremoto al giorno. Frane e cascate d'acqua che scorgano all'improvviso. Siccità e carestie. Un'epidemia di suicidi, iniziata con la fine di un nonno e un nipotino. Centinaia di senzatetto che consumano il bestiame prima che muoia di fame. La popolazione, all'inizio, ha scritto al governo per avere tende, stufe, cibo e mangime. Non ottenendo risposta si è ricordata della mummia in esilio della sua principessa. La rivolta è iniziata dai villaggi distrutti di Beltir e Oroktoi.
    Una lettera per chiedere il "ritorno in patria delle sacre reliquie". Quindi, davanti al silenzio degli ultimi giorni, una petizione con migliaia di firme: taglialegna, allevatori di cervi Maral (ricercati per il potere afrodisiaco delle corna), pastori, mungitrici di capre, trattoristi, maestri d'erbe, professori e disoccupati. Con loro anche il sindaco Auelkhan Dzhatkambaev: tutti a chiedere la risepoltura della mummia. Dagli sciamani è arrivata la conferma: solo quando la principessa degli Altai tornerà nel ghiaccio di Ukok, la pace e la ricchezza guarderanno ancora verso la piccola repubblica della federazione russa.

    Da settimane si è così aperta la caccia agli archeologi che penetrano negli Altai sconfinando dal Daghestan. Scavano, scoperchiano le tombe, le saccheggiano e se ne vanno. La ribellione e la disperazione popolare sono montate al punto che il governo ha dovuto proibire gli scavi, dichiarando l'altopiano zona protetta. Anche Mosca è intervenuta: ha promesso il ritorno della principessa nella sua terra, finanziando però prima nuove analisi e proponendo la nascita di un museo etnografico nel capoluogo di Gorno-Altaisk. Con 15 milioni di rubli la mummia è già stata sottoposta al trattamento conservante usato per il corpo di Lenin. L'esame del Dna, tra lo sconcerto della gente, ha stabilito che la giovane non ha geni dell'est asiatico, bensì europeidi, o turchi. La ricostruzione del viso, al computer, ha confermato i lineamenti occidentali.

    Quanto basta, il dubbio razziale sull'ava degli Altai, per far divampare un nuovo incendio: migliaia, in questi giorni, le lettere di protesta ai giornali contro "il complotto ai danni del sangue mongolo e l'approccio tendenzioso alla storia di una intera etnia". La popolazione è divisa. Chi vuole la principessa imbalsamata esposta in un mausoleo e chi chiede la sua risepoltura. Gli sciamani profetizzano un'epidemia misteriosa tra gli archeologi e invocano il parere degli spiriti sul destino della principessa. (art. repubblica 2004)



    Il tatuaggio della principessa siberiana ha 2500 anni
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    Cultura kurgan
    Ciò che viene contestato come complotto contro il sangue mongolo non è solo il DNA della principessa:
    Antropologia fisica

    Sebbene i kurgan siano un fenomeno essenzialmente culturale, si osserva che, nelle steppe occidentali (ma nelle fasi antiche fino anche in Mongolia e sui monti Sajany-Altai), i cadaveri intumulati manifestano caratteristiche europoidi. In particolare, data l'alta statura, la forma del cranio ed altre caratteristiche che si ritrovano frequentemente nei kurgan, si può certamente asserire che almeno nelle prime fasi le culture kurgan furono diffuse da una popolazione europoide di tipo cromagnonoide.

    Successivamente nelle regioni orientali si assiste all'apparire delle caratteristiche mongoloidi (probabilmente già nella cultura di Karasuk), come si può ben vedere nei kurgan di Pazirik, un fenomeno questo che sembra accompagnarsi alla sostituzione delle lingue iraniche in Asia centrale e in Siberia da parte delle lingue turco-mongole.


    Kurgan di Pazirik

    A Pazirik nella regione dei monti Altai è presente un gruppo di circa 40 tombe kurgan. Le sei tombe che sono state scavate consistono di fosse di 6 m² coperte da un basso cumulo di sassi. Il tipo di costruzione e le condizioni ambientali hanno consentito un'ottima conservazione del contenuto delle tombe a partire dalla deposizione avvenuta dal V fino al III millennio a.C.

    Una ricca raccolta di vestiario di stoffa e di feltro era liberamente decorata con animali tipici dell'arte delle steppe, mostrando influenze sia persiane Achemenidi sia cinesi. Inoltre erano presenti carri a quattro ruote smontati, uno di costruzione molto più leggera di tipo cinese. Nelle tombe, che pure erano state violate, sono rimasti tre cadaveri: un uomo e sua moglie (tomba 2) ed un uomo (tomba 5). Mentre il primo individuo manifesta caratteristiche mongoloidi, gli ultimi due individui erano chiaramente europoidi. Gli uomini erano molto tatuati e tutti i corpi erano imbalsamati. Sembra ragionevole supporre che si tratti di una popolazione da collegarsi con gli Sciti o i Saci.


    Edited by Solaris - 24/3/2019, 18:43
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    CRITICA ALLA TEORIA KURGANICA

    Mappa dell’espansione indoeuropea secondo Kossinna. Questa cartina è valida solo se si ipotizza che gli Iafeti siano giunti in Europa dall’America Settentrionale, cioè separatamente dai Semiti e dai Camiti. Ma non ci sono prove a dimostrarlo, a parte la logica. La Bibbia, del resto, asserisce diversamente.

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    Tra le varie teorie sulla patria originaria indoeuropea la piú accreditata a livello generale a tutt’oggi è la ‘teoria kurganica’ di M.Gimbutas, che ha sfruttato gli studi precedenti di O.Schrader e V.G. Childe. Secondo tale teoria, fondata sui presupposti postulati alla Fine dell’Ottocento da parte del filologo tedesco O.Schrader (1855-1919), i popoli di lingua indoeuropea erano nomadi e provenivano dalle steppe ponto-caspiche (a nord del Mar Nero, del Mar Caspio e del Lago d’Aral) per ragioni legate al vocabolario indoeuropeo; che non conosceva né l’asino né il cammello, ma soltanto il cavallo . Di qui ad arrivare alla supposizione generale che gl’Indoeuropei fossero nomadi e avessero addomesticato il cavallo, anche per uso alimentare, il passo fu breve. Ma ciò non trova alcun riscontro tradizionale, a parte i versi rigvedici dedicati al sacrificio del cavallo. Avremmo anche qualcosa da dire sulla questione del nomadismo. Il nome di Ari (nell’accezione indo-iranica), o di Eroi (in quella greco-ellenica), la dice lunga su codesto preteso nomadismo. Gli è che, come al solito, si è fatta confusione fra Ari e Turi; sono questi ultimi ad essere stati per loro natura dei nomadi, ovviamente in senso pastorale. Gli Ari, secondo l’etimologia del nome, erano degli orticoltori od in senso piú ampio degli artigiani: l’agricoltura primitiva era appunto una forma di ars, naturalmente intesa nel senso antico di modus operandi rituale. Ogni forma d’arte aveva un archetipo celeste. Erano i nomadi, non i sedentari a praticare il sacrificio e l’alimentazione carnea, come insegna la storia biblica di Caino e Abele. In questo caso abbiamo a che fare con un lato orticolo differenziato, proprio degli Eroi (Gibborīm) essendo discendenti di Seth e non di Caino. Detto etnologicamente si può ipotizzare che essi derivino dagli orticoltori avanzati del continente americano, dotati di aratro (vedi l’etimo) e di bastone trapiantatoio nonché dediti alla coltivazione sia pur rudimentale delle leguminose o dei cereali , ai tempi del Tardo Paleolitico; e non dagli orticoltori primitivi dei Mari del Sud, maggiormente rozzi, che usavano il bastone da scavo onde alimentarsi di tuberi. Tuttavia il principio d’un relativo sedentarismo vale per entrambi, come insegna Guénon ne Le Règne ( Cap.XXI sgg). Sennonché dopo l’abbandono della loro patria oltreatlantica, situata probabilmente all’incirca dove è oggi la Groenlandia, è chiaro che gli Ari hanno dovuto sopravvivere in qualche modo; persino deprendando, come è confessato tra le righe nel Rigveda, ed è congetturabile si siano adattati al nuovo ambiente assumendo in seguito le maniere e i costumi delle nuove genti colle quali son venuti a contatto. Principalmente i Turi, biblicamente i Lamekiti (cioè i Ramaiti), nei confronti dei quali devesi essersi sviluppata per convenienza tanto una forma d’imitazione quanto un’aperta ostilità dovuta ad una maggior raffinatezza tradizionaale. Tutte le lotte fra Dei e Titani, che ritroviamo nelle mitologie indoeuropee rispecchiano in divinis tali atteggiamenti umani. I Titani sono demonici, amano il sangue come tutti gli Antenati (i Padri), sono serpentini ma nel contempo piú regali e fieri. Gli Dei esigono il sacrificio vegetale – seppure nell’ultima Epoca si adeguino ai sacrifici cruenti, che non erano loro propri in origine – ed amano fertilità e fecondità, principi che sono alla base del vivere borghese. Apollo o Dioniso sono un esempio dei primi (la contrapposizione che ne ha fatto Nietzche è aberrante, tant’è che rientrano entrambi nei canoni indiani shivaiti, corrispondendo alla complementarietà planetaria fra il Sole e Saturno), Eracle ovvero Kṛṣṇa dei secondi. Circa la diffusione geografica del cavallo si sa ormai che era presente sul suolo amerindo pressappoo fino al 12.000 a.C., ossia fin quasi all’epoca dell’abbandono di quelle terre da parte degli antenati oltreatlantici degli ari. Si pensa che la fine di quell’animale sia dovuta al fatto di essere stato oggetto di caccia, ma forse la realtà è un’altra. È possibile, anzi probabile, che si sia estinto per cause diverse: climatiche, ad esempio. La caccia in passato era meno diffusa di quel che si vuol far credere. Non esistevano i popoli cacciatori se non solamente in certe contrade ove non c’era modo di sopravvivere altimenti. Il rispetto verso la natura e gli animali in genere costituiva un punto fondamerntale della religione dei nostri antenati. Unicamente nel mondo moderno e contemporaaneo, col suggerimento degli studi medico-nutrizionali, si è foraggiato il consumo di carne in larga scala con uno scempio senza precedenti nei confronti dei nostri fratelli animali. Se è vero che gli Ari avevano mantenuto nella loro cultura un legame ideale col mondo iperboreo, come sembra (visto che nelle tradizioni ebraiche, non per nulla, Adamo muore alla nascita di Noè), è chiaro che il loro nutrimento non poteva essere a base di carne. Ciò era contrario a tutte le tradizioni che facevano leva sull’agricoltura, presso le quali la caccia costituiva solamente unoptional occasionale. Si stigmatizzava il versamento inutile del sangue sulla terra, che era creduta divenire sterile altrimenti.

    B) La teoria nei dettagli

    Mapa dei kurgan.

    L’ipotesi del suddetto indogermanista, per usare la terminologia tedesca, è stata ripresa nella prima metà del Novecento dall’archeologo australiano Gordon Childe (1892-1957), ritenuto il padre della moderna paletnologia ed autore di opere importanti. Sin dai primi anni del suo operato scrisse, secondo la moda del tempo, The Aryans. Sen nonché il punto di vista limitativo di quest’autore è legato al concetto di ‘rivoluzione neolitica’, attraverso cui sarebbero nate le classi sociali, cosa del tutto falsa; giacché l’esistenza delle classi è tradizionalmente messa in relazione all’esistenza delle varie Epoche cicliche, ciascuna in rapporto con una determinata casta. Circa l’esistenza d’una Urheimat indoeuropea nella zona fra il Mar Nero ed il Caspio invece la tesi può essere grossolanamente accettata, dal momento che concorda involonriamente a grandi linee col dato scritturale dell’Armenia quale sede di espansione del ceppo noaico. Anche perché è evidente che l’espansione, pur partendo probabilmente dalla zona fra la Turchia, la Georgia e l’Azerbaijan si è diretta necessariamente da un lato verso nordovest e dall’altro verso nordest. Le fonti di Childe erano il filologo ed archeologo tedesco G.Kossinna (1858-31) per certo diffusionismo, nonostante questi ponesse l’Urheimat nelle regioni attorno al Baltico (Svezia Meridionale ecc.), cosa vera soltanto in tempi protostorici ma non nella preistoria, e la dottrina marxista per certa teoria sociale. Nella seconda metà del Novecento gli subentrava l’archeologa e linguista lituana Marija Gimbutas (1921-94), rifugiatasi negli Stati Uniti nel secondo dopoguerra e divenuta assistente all’Università di Harvard a Cambridge (Mass.). È stata costei ad introdurre il concetto di kurgan per le tombe a tumulo e ad identificarepresumibilmente il processo d’indoeuropizzazione alla diffusione del kurganismo. Alla Fine del XX sec. la teoria è stata aggiornata da J.P. Mallory (1945-), tramite il suo In Search of the Indo-Europeans , e da altri studiosi. Rispetto ai precedenti ricercatori, il professore oxfordiano di Archeologia Preistorica ha utilizzato anche le fonti letterarie oltre a quelle archeologiche e filologiche. Ciò è un fattore a suo favore, ma a nostro parere è assai piú interessante la tesi contrapposta dell’archeologo britannico C.Renfrew (1937-). Colin Renfrew ha sostenuto che i Proto-indoeuropei abbiano vissuto fra il VI ed il V mill. a.C. in Anatolia, donde si sarebbero irraggiati altrove – parallelamente all’agricoltura neolitica – non per trasferimento fisico, bensí per espansione culturale.

    C) Conclusioni
    Una delle sciocchezze che si attribuiscono alla Gimbutas e agli altri che ne seguono gl’insegnamenti è che le <religioni> indoeuropee fossero dei culti patriarcali in opposizione a quelli matriarcali delle <religioni> pre-indoeuropee. Questa contrapposizione, favorita indirettamente dalla scuola mediterraneista del Pestalozza & C., è assolutamente inadeguata, siccome il patriarcalismo ed il matriarcalismo hanno a che fare semmai con i cicli epocali e non colle etnie. Ciò precisato, è chiaro che esiste una differenza fra i culti dell’età del Ferro e quelli dell’Età del Bronzo. È la figura sofoclea di Edipo ad insegnarcelo, ovvero dell’Uomo incapace di comprendere il Padre (Urano, da lui ucciso… ossia trasformato in deus otiosus) e tutto proteso a venerare la Madre (Demetra), cui si ricongiunge… idealmente nei riti di fecondità e fertilità . Per la verità l’ossequio al Padre Celeste risale all’Età dell’Oro. L’Età del Bronzo vedeva di già un culto duodenario legato agli dei della pioggia, con un tredicesimo nel ruolo supremo. L’archeologia spezzetta la presunta cultura proto-indoeuropea in una miriade di sottoculture, che è arduo associare ai veri Proto-indoeuropei: dal VI mill. in poi abbiamo la Cultura del Bug-Dnestr, di Samara, di Chvalinsk, del Dnepr-Donec, di Sredny Stog, di Majkop e di Jamna . Analizzandole singolarmente, constatiamo unicamente che si tratta di culture sicuramente tra di loro intrecciate. Come facciamo però ad esser sicuri che sono davvero quello che si pretende che siano? Cosa hanno a che fare cogli studi letterari e mitologici degli indoeuropeisti in materia di Storia delle Religioni? Praticamente nulla. E come si fa allora a collegare quei ritrovamenti a tali studi? Non può che essere un azzardo.

    La Cultura di Bud-Destr ad esempio si è espansa per un millennio e mezzo (6500-5000) nelle praterie dell’Ucraina e della Moldavia, intorno ai fiumi Dnestr e alla parte meridionale del fiume Bug. Si trattava, a giudizio di coloro che l’hanno messa in evidenza, d’una cultura venatoria e quindi cade il presupposto essenziale perché sia considerata una cultura aria. Difatti non è stata rintracciata alcuna traccia d’agricoltura. Attraverso la ceramica, che non compare all’inizio, si è notata un influsso della Cultura di Starčevo, proveniente dall’Europa Orientale e dai Balcani. In quanto alla cultura di Samara, sviluppatasi presso il Volga fra il VI mill e l’inizio del V, è stata ritenuta di certo a torto dalla Gimbutas l’Urheimat proto-indoeuropea. Su che basi non si capisce bene. Forse per le sepolture a copertura di pietre o a cumulo di terra. La Cultura di Chvalynsk, presso il Volga, è una continuazione di quella di Samara e sfocia nella Cultura di Jamna. La Cultura del Dnepr-Donec era una dedita a caccia e pesca, alternata alla raccolta. I defunti venivano inumati nei pozzi e ricoperti di ocra. La popolazione era di tipo cro-magnôide, perciò non poteva trattarsi di iafeti. Come volevasi dimostrare. La Cultura di Srednij Stog (4500-3500) era localizzata fra i fiumi Dnepr e Don, a nord del Mar d’Azov. Era coeva colla Cultura di Chvalynsk ed ebbe contatti colla Cultura di Cucuteni-Trypillian (5500-2750), di tipo agrario, fiorita in una regione compresa fra parti delle attuali Romania, Ucraina e Moldavia. La Cultura di Majkop (3500-2500)(24) è coeva alla Cultura di Jamna, un poco piú settentrionale. Appartiene alla Russia Meridionale, a ridosso del Caucaso, ed è influenzata dalla cultura di questa regione, la Cultura di Kura-Araxes o transcaucasica £400-2000). Infine viene la Cultura di Jamna (3600-2300), carattterizzata dalla tomba a fossa (pit-grave) ovvero della tomba ad ocra (ochra-grave), una cultura nomade con annessa qualche pratica agricola sulle sponde dei fiumi. La sua particolarità è l’inumazione nei tumuli (kurgan). Continua la Cultura di Chvalynsk e quella di Srednij Stog e si estende poi nei Balcani. Ribadiamo, tutto ciò non ha praticamente niente a che fare col problema dell’origine indoeuropea e poco con quello dell’espansione di tale etnocultura in Europa e in Asia. A meno di dimostrazioni significative, che non ci pare siano ancora avvenute. L’idea malloryana che i guerrieri dell’ascia da combattimento o della ceramica cordata fossero gli antenati dei popoli celtico-germanici e balto-slavi non ha alcun fondamento. L’Ascia è di origine asiatico-ramaita, come insegna la figura indiana di Rama dell’Ascia (Paraśurāma), che non è legata agli Ari bensí ai Turi persiani, pre-iranici. La teoria kurganica presuppone inoltre nel IV mill. il passaggio dai Balcani o dal Caucaso degli Hittiti in Anatolia, la formazione d‘un nucleo proto-indoeuropeo nell’Europa Orientale prima e successivamente il trasferimento di questo fino alla Scandinavia e alla Russia; la formazione da parte dei Tocari della Cultura di Afanasevo (3500-2500, estendentesi fino in Mongolia ed in Cina, in Kazakistan e Tagikistan nonché presso il Lago d’Aral. I legami indubbi colla Cultura di Andronovo (2000-1200) pongono tuttavia dei problemi irrisolti. La stessa teoria suppone che nel III mill. i nomadi della steppa abbiano abbandonato codesto regime di vita per stanziarsi in zone ove vigeva uno stile di vita urbanizzato di tipo CABM (BMAC). In tal modo sarebbe stata colonizzata l’Asia Centrale. Per ragioni a noi ignote, quantunque il prof. Sarianidi abbia ipotizzato un cambiamento di clima dovuto ad avvenimenti calamitosi naturali, si sarebbero alfine spostati dapprima in India e poi in Iran. Da qui in parte avrebbero invaso il subcontinente indiano sottomettendo i nativi ed imponendo il sistema delle caste, in parte si sarebbero spostati in Iran raggiungendolo all’inizio del I mill. a.C. La dottrina hindu dei Varṇa, ad ogni modo, connette le classi a ben altro e non le pone in relazione ad alcuna invasione o conquista. In Europa la cultura dei tumuli avrebbe dato origine a quella dei campi d’urne.

    Inutile aggiungere che in questo amalgama frazionato di sottoculture varie è difficile districarsi se non si è degli specialisti del settore. Qualcosa di vero ci deve pur essere in questa ricostruzione, benché non ci convinca del tutto. Dato che non ne esiste una alternativa. Vi è chi parla delle Vie dell’Ambra, ma questa discesa è tardiva. Non si può immaginare che tali genti provenissero dalla Scandinavia in tempi preistorici. Non ci sono basi per poterlo sostenere. Tanto piú che i Germani stessi nelle loro tradizioni sostenevano di esser venuti da Asía. I germanisti dichiarano che l’interpretazione di codesto termine come riferito all’Asia è solo un’interpretazione popolare, ma spesso la saggezza popolare risulta maggiormente profonda delle tesi accademiche. La pretesa superiorità del combattimento a cavallo da parte degli Ari, secondo gli storici dell’equitazione, non può essere avvenuta prima del periodo fra il 1100 ed il 1000 a.C. In precedenza il cavallo sarebbe stato adibito al tiro del carro oltreché allevato per uso alimentare non meno dell’altro bestiame. Abbiamo già espresso le nostre obiezioni a tale congettura, anche perché in questa maniera oltre a trasformare l’invasione aria in India in un avvenimento assai tardivo non si spiega la sottomissione degli indigeni al potere ario. Bisogna alfine ammettere che, nonostante tutto, il quadro degli avvenimenti ricostruito da tale teoria rimane tuttora molto confuso.

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    https://immagineperduta.it/critica-alla-teoria-kurganica/
     
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    La teoria kurganica è messa in discussione anche da alcuni linguisti (Alinei, Villar...). Le steppe del meridione russo possono essere state un punto di irradiazione di una certa importanza ma sorgono dubbi nel pensarle come il centro primario di etnogenesi indoeuropea. Mario Alinei le ritiene un'area di origine delle parlate "turciche" di ceppo altaico. Cavalli Sforza riteneva la zona kurganica un importante snodo, però di livello secondario (lui propendeva per l'origine anatolica degli Indoeuropei). Il tema della "Urheimat" rimane aperto...
     
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    La ricostruzione dei tatuaggi della principessa Ukok e di un guerriero ritrovato nella stezza zona.

    http://siberiantimes.com/culture/others/fe...URF144gUctQwZzQ
     
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    Grazie Epi, chiuso il discorso, torniamo ai simboli.

    La cosa più interessante era che la sua testa era rasata e indossava una parrucca e un alto copricapo di legno decorato con gatti e cigni. :rolleyes:


    Questo, oltre a molti strani tatuaggi animali, persuase gli archeologi che era probabilmente uno sciamano, o leader religioso in contatto con il mondo degli spiriti.

    The find proves that at a time when only bears and wolves roamed where Moscow now stands, southern Siberia had a sophisticated culture. "The Lady" belonged to a steppe tribe called the Pazyryks, close relatives of the Scythians, who lived around the Black Sea.

    The Pazyryks, who had European rather than Mongoloid features, were nomadic horsemen and shepherds. Probably they worshipped the Sun and Moon as well as the animals featured in their strange body-art.

    Perhaps they believed, as the locals do to this day, that on the high steppes they were closer to Heaven than ordinary mortals. It is still regarded as a sacrilege to shout here, in case you disturb the spirits of the air.

    The removal of "The Lady" from the remote Ukok plateau should have been an occasion almost as solemn as her burial. Six of Ms Polosmak's students carried her lovingly on a bier through the fields of wild flowers to a helicopter. But the helicopter had anengine failure and made an emergency landing on its way to Novosibirsk. "The Lady" had a bumpy ride not recommended for a woman of her age. The archaeologists tried not to dwell on the idea that those who disturbed the grave might be cursed.

    What with the accident and the hot-water treatment, "The Lady" was not in good condition when she was handed to Dr Kozeltsev in Moscow. "Ideally," he said, "the archaeologists should have refrigerated her as soon as they found her and called me immediately."

    After working on the body for several months, Dr Kozeltsev and his four assistants have succeeded in restoring the whiteness of the Pazyryk woman's skin and making the tattoos visible again.

    In the laboratory "The Lady" is lying under a plastic sheet on a table above a bath of chemicals. She has been soaked in the bath for many weeks and is now drying off. For the time being, she is headless: her skull has been sent across town to the Gerasimov Ethnographic Institute, which produces sculpture-like reconstructions of the heads of dead people.

    The skeleton shows through the skin in many places. But the clasped hands are touchingly preserved and the skin all down the left arm is intact. This is where you can see the swirls of dark-blue tattoos, starting with a kicking deer on the shoulder. A Siberian specialist is due in Moscow soon to try to interpret the meaning of the tattoos.

    As soon as Dr Kozeltsev gets the skull back, he can finish his job. On a wad of cotton wool, he has saved the neck vertebrae so he can join the head to the body. Then she will be placed in a showcase of non-breakable glass and will be ready to return to the archaeologists who found her.

    When "The Lady" makes her public debut in April, it will not be in Siberia or even Moscow, because there is no money from either the state or private sponsors to pay for her exhibition at home.

    Instead, she will go on show, with the bust, her clothes and a collection of Pazyryk artefacts, in South Korea. After that, unless Russia's economic situation improves, she faces a future living out of a suitcase on a permanent world tour.


    https://www.independent.co.uk/news/world/s...rs-1572004.html
     
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    CITAZIONE (Solaris @ 25/3/2019, 16:17) 
    La cosa più interessante era che la sua testa era rasata e indossava una parrucca e un alto copricapo di legno decorato con gatti e cigni. :rolleyes:

    Che accoppiata sorprendente e suggestiva!

    Scendendo (o salendo?) dalla scala sciamanica... mi viene in mente una frase di E. Canetti: "Noi pensiamo per animali". :unsure:
     
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    Principessa, sciamana, guerriera, chissà :rolleyes:

    [...]uno di questi tumuli, pieno di permafrost, furono trovate ricche suppellettili di vasellame in ceramica e oggetti smaltati in oro[Oro smaltato o viceversa?], assieme alle carcasse congelate di 6 cavalli; più sotto c'era una bara in legno di larice, intrappolata in una bolla di ghiaccio, che, una volta aperta, rivelò il suo contenuto, un corpo mummificato di donna di probabile etnia scita, che, come già altre mummie scoperte in quella zona, recava complessi ed eleganti tatuaggi sulla spalla sinistra, sul braccio e sul ventre.

    Vicino alla ragazza, nella camera funeraria, vi era un tavolo basso di legno con un piatto di carne di cervo, una scodella di yogurt, una borraccia contenente una bevanda, un astuccio con dentro semi di coriandolo ed erbe medicinali (Cannabis), il tutto come ultima offerta alla defunta. La mummia indossava una camicia di seta cinese, una gonna di lana morbida, e degli stivali; in testa aveva una parrucca come sostituto dei capelli rasati.[...]
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    CITAZIONE (Epi @ 25/3/2019, 22:26) 
    CITAZIONE (Solaris @ 25/3/2019, 16:17) 
    La cosa più interessante era che la sua testa era rasata e indossava una parrucca e un alto copricapo di legno decorato con gatti e cigni. :rolleyes:

    Che accoppiata sorprendente e suggestiva!

    Scendendo (o salendo?) dalla scala sciamanica... mi viene in mente una frase di E. Canetti: "Noi pensiamo per animali". :unsure:

    Nell'Advaita il cigno è Hamsa, il simbolo dell'Advaita Vedanta. Facile giocare col suono mantrico della parola che ripetuta finisce per significare: io sono quello.
    Cosi l'acqua sulla quale il cigno, puro Sattva, si muove senza bagnarsi. (viveka)
    Il Paramahansa Sannyasin ha sconfitto Avarana Shakti, ma non ancora Vikshepa Shakti che si risolverà solo con la morte fisica. (Il potere velante della mente psicologica e il potere proiettivo, che sogna il mondo.)
    La pratica di costoro è descritta minuziosamente nel Jivanmuktiviveka di Vidyaranya.
    Il maestro di Vidya si fece murare in una cripta. Disse di non aprire per qualche anno, ma i discepoli l'aprirono prima. Lui non c'era più.
    Si può vedere il tempio dove accadde al Math di Sringeri.
    Il gatto invece a Manu non piaceva proprio.
    Pensavo agli Arii :rolleyes:


    Non so se avete visto le orride ricostruzioni della principessa, perfino il volto...

    Edited by Solaris - 18/4/2019, 15:50
     
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    CITAZIONE (Solaris @ 25/3/2019, 16:17) 
    ... un alto copricapo di legno decorato con gatti e cigni. :rolleyes:

    CITAZIONE (Solaris @ 26/3/2019, 18:58) 
    Nell'Advaita il cigno è Hamsa, il simbolo dell'Advaita Vedanta. …
    Il gatto invece a Manu non piaceva proprio.
    Pensavo agli Arii :rolleyes:

    Il cigno iperboreo… "Apollo risaliva su un carro d’oro trainato da cigni verso il mitico paese degli Iperborei"
    (https://www.immagineperduta.it/la-via-pola...gustea-4-parte/)

    Uomini con la testa di gatto nel Tassili n'Ajjer (Altopiano dei Tuareg), Algeria, 9-10 mila anni fa.
     
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