Provare compassione

Senso di umiliazione

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    Oh si, quella del buddha sotto l'albero della bodhi.
    C'è una sofferenza pazzesca nel mondo dovuta alle afflizioni a cui la mente si autocostringe divenendo schiava degli oggetti dei sensi, creando la miseria dei molti, oltre che la propria. Ma non è solo il buddhismo..quando sei libero da ciò sei capace di Amare, altrimenti possiedi soltanto....pure l'oggetto della tua carità che ti autogratifica...se non sei libero.
     
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  2. Davide S. C.
     
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    Ecco la mia esperienza riguardo la compassione.
    Da sempre sono stato convinto dell’importanza di comportarsi in modo corretto verso il prossimo. Insomma aderire a quei valori che dovrebbero essere scontati ma purtroppo oggi non lo sono: essere una persona buona, un buon padre, un buon marito, un buon cittadino…Anche se il demone dello scetticismo moderno cercava di mettere in dubbio questi principi, ho quasi sempre dubitato di questo demone.
    Tuttavia in molte occasioni della vita questa morale kantiana (pur preziosa!) non basta. Per essere veramente efficienti verso il prossimo occorre non semplicemente aderire a una fredda giustissima morale ma anche trasformare il sentimento.
    Di fronte a un sofferente non basta calcolare quale sia il “giusto” comportamento, occorre sentirsi un po’ suoi fratelli: questo aiuta a intuire cosa sia giusto fare, a volte meglio di ogni ragionamento.
    Per fare questo io a volte faccio uso dell’immaginazione: immagino che quello sconosciuto che ho davanti sia proprio una delle mie persone più care, che col tempo e un arcano incantesimo si è trasformata e ora ha quella faccia lì.
    Sembra un gioco da bambini, ma ecco che sorgono le lacrime, e quella forte pulsione: “Io devo fare il possibile per salvarti dal tuo dolore, tutto il possibile! Tu sei mio fratello!”
    Queste lacrime, come potete immaginare, non c’entrano nulla col comune disprezzo presente nella locuzione “mi fai compassione”.
     
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    La compassione buddista intende sofferenza compartecipata legata alla carnalita'. Il ragionamento non può togliere la sofferenza, meglio al limite un "oppiode", come un farmaco ansiolitico.
     
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    CITAZIONE (Davide S. C. @ 12/6/2021, 07:53) 
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    Di fronte a un sofferente non basta calcolare quale sia il “giusto” comportamento, occorre sentirsi un po’ suoi fratelli: questo aiuta a intuire cosa sia giusto fare, a volte meglio di ogni ragionamento.
    Per fare questo io a volte faccio uso dell’immaginazione: immagino che quello sconosciuto che ho davanti sia proprio una delle mie persone più care, che col tempo e un arcano incantesimo si è trasformata e ora ha quella faccia lì.
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    la vera è vederci sé stessi, nell'altro. molte tradizioni invitano a ciò, dal buddista non fare all'altro ciò che non vuoi che sia fatto a te (poi condiviso dal cristianesimo), a un detto degli indiani d'america che dice che per comprendere le ragioni dell'altro bisogna calarsi nei suoi mocassini...

    avevo sentito un video del filosofo galimberti, che fa proprio l'esempio del medico. in sintesi dice che per far bene il suo lavoro, deve essere "tecnico", distaccato. e rampognava il paziente che pretende "umanità" dal medico. il galimberti spesso è provocatorio, ma penso che la sostanza sia corretta
     
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    CITAZIONE (Non. Io @ 4/6/2021, 14:10) 
    Suscitare compassione, non dovrebbe essere umiliante? E provare compassione? Potrebbe suscitare l'umiliazione dell'altro? Quello che mi chiedo per un uomo non è più gratificante essere odiato anziché far pena, questa non è realtà?
    Cioè odiandoti ti gratifica, quindi faccio del bene.
    Se sono compassionevole, mi fai pena,tu ti umlii, quindi faccio del male.

    la tua condizione è quella, con quella devi fare i conti. poi se hai una disgrazia, poco ti curi delle emozioni negative degli altri. compassione nel senso giusto per una tua disgrazia la prova un amico (quello vero) ed è di conforto. la compassione non si limita all'emozione di chi la prova, si traduce in azione volta a portare sollievo
     
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    C'è anche una versione filosofica della compassione.
    Quella che poi, in ambito psicologico, è diventata empatia – cioè la capacità di comprendere lo stato d’animo altrui – nell’antichità greca era considerata la condizione emotiva tra attore e pubblico e tra attore e il suo personaggio, insomma una recitazione, una rappresentazione scenica. Inoltre, per Platone nel Gorgia, tanto per intenderci, la compassione è uno stato d’animo che, derivante da uno strumento ambivalente e sottile come la parola – lógos phármakon, la parola come medicina e come veleno – serve a manipolare l’individuo e la massa, è quell’arte psicagogica che la retorica politica usa allo scopo di produrre una “verità estetica”, che nulla ha a che vedere né con la realtà né con il vero provato.
     
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20 replies since 4/6/2021, 13:10   342 views
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