"Niente a parte la sofferenza sorge, niente a parte la sofferenza cessa" (Vajirāsutta)

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    Nel Vajirāsutta la monaca (bhikkhunī) Vajirā subisce il tentativo di confusione, spavento e distrazione da parte di Māra, cui peraltro ella sa opportunamente resistere e rispondere: mentre il Maligno (pāpimant) si esprime facendo riferimento al concetto di “essere” (1), che è in realtà un errato punto di vista (diṭṭhigata), la bhikkhunī osserva che qui invero non si trova essere (nayidha sattupalabbhati), ma soltanto un mero mucchio di saṅkhāra (suddhasaṅkhārapuñja), aggiungendo poi che, come per una raccolta di parti (aṅgasambhāra) è usata la parola (sadda) “carro” (ratha), parimenti (evaṃ) quando ci sono (santesu) i khandha è convenzione (sammuti) parlare di “essere”.

    Ma il punto di questo discorso canonico sul quale vorrei richiamare la vostra attenzione è un altro: la monaca, nella parte finale dei suoi versi, sostiene che "niente a parte la sofferenza sorge, niente a parte la sofferenza cessa" (nāññatra dukkhā sambhoti, nāññaṃ dukkhā nirujjhati). Come intendere ciò? Avanzo la seguente ipotesi: il dukkha è legato a ciò che è condizionato (saṅkhata), cioè tutto tranne il nibbāna; ciò che sorge e cessa è solo il condizionato (il nibbāna, invece, non nasce e non muore), di conseguenza, dato il legame tra sofferenza e condizionato, si può anche dire che ciò che sorge, sta e cessa è solo sofferenza, come dice esplicitamente la monaca: "solo la sofferenza sorge, sta e scompare" (dukkhameva hi sambhoti, dukkhaṃ tiṭṭhati veti ca). Voi cosa ne pensate? Qual è la vostra interpretazione di quella sconcertante affermazione?


    NOTA:
    (1) Il Maligno domanda: da chi è stato fatto questo essere (kenāyaṃ pakato satto)? Dov’è il suo creatore (kuvaṃ sattassa kārako)? Donde è sorto (kuvaṃ satto samuppanno)? Dove cessa (kuvaṃ satto nirujjhati)?

    Edited by Fantasia - 26/3/2023, 10:42
     
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    Mi sembra la sola lettura possibile. Pur essendone sicuro da tutto il contesto buddhista come è noto a me (e quindi con i limiti del caso) sono andato a controllare il mio dizionario dei termini di Dharma (1).

    Dalla voce DUKKHA [...] la seconda delle tre caratteristiche dell'esistenza (ti-lakkhana). Il termine non è limitato alle esperienze spiacevoli ma si estende alla natura insoddisfacente e alla generale insicurezza di tutti i fenomeni condizionati [...].

    A sua volta il rimando a ti-lakkhana: [...] tre caratteristiche dell'esistenza: impermanenza, sofferenza, non sé [...].

    La traduzione dall'inglese peraltro semplice è al volo ma potete controllarla col riferimento.

    Su sofferenza mi pare non ci siano problemi. Per "non sé" e "impermanenza"dalla prospettiva mahayana che so bene esulare dal contesto dell'argomento e quindi non sviluppo, ci sarebbe una piccola chiosa ma è davvero ininfluente. Nel contesto del Buddhismo antico mi sembra ovvio che "non sé" e "impermanenza" siano anche essi sofferenza per gli esseri ordinari, quindi in effetti non viene lasciato fuori niente; direi dunque bhikshunì vs Mara uno a zero palla al centro.


    (1) Nyanatiloka, "Buddhist Dictionary - Manual of buddhist terms and doctrines" 3rd edition revised and enlarged by Nyaponika, Singapore (senza data)

    Edited by swami chandraramabubu sfigananda - 3/26/2023, 10:46 AM
     
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    CITAZIONE (swami chandraramabubu sfigananda @ 26/3/2023, 10:41) 
    Per "non sé" e "impermanenza"dalla prospettiva mahayana che so bene esulare dal contesto dell'argomento e quindi non sviluppo, ci sarebbe una piccola chiosa ma è davvero ininfluente.

    Poiché siamo nella sezione "Discussioni generali sul Buddhismo", non credo sia fuori luogo far riferimento anche al Mahāyāna. Ora sono curioso. :D
     
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    QUOTE (Fantasia @ 3/26/2023, 10:46 AM) 
    QUOTE (swami chandraramabubu sfigananda @ 26/3/2023, 10:41) 
    Per "non sé" e "impermanenza"dalla prospettiva mahayana che so bene esulare dal contesto dell'argomento e quindi non sviluppo, ci sarebbe una piccola chiosa ma è davvero ininfluente.

    Poiché siamo nella sezione "Discussioni generali sul Buddhismo", non credo sia fuori luogo far riferimento anche al Mahāyāna. Ora sono curioso. :D

    Niente di che davvero una delle minuzie che tanto amano i tibetani e gli indiani. Una delle domande trabocchetto fatte dai maestri tibetani alle lezioni, e ovviamente con valenza didattica, mica per cogliere in fallo. C'è tutta una tecnica didattica che di fatto è anche la stessa sistematizzazione delle quattro scuole.

    La domanda è: la mente di un buddha è permanente o impermanente? E ovviamente tutti MA E' PERMANENTE! perché come giusto che sia è passata nel sangue l'associazione impermanenza <=> dolore. Invece la (ovvia a posteriori) risposta è che anche la mente di un buddha è un fenomeno impermanente. Qualcosa di simile per il non sé. E' sofferenza per gli esseri ordinari ma aver realizzato l'assenza di sé equivale alla liberazione dal samsara e nel Mahayana tibetano gelug.pa è un'idea tenuta abbastanza presente. Mi pare ovvio che questa doppia lettura sia una costante anche in tutto il canone Theravada e sta a chi legge capire il contesto di volta in volta.
     
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    CITAZIONE (swami chandraramabubu sfigananda @ 26/3/2023, 10:41) 
    Nel contesto del Buddhismo antico mi sembra ovvio che "non sé" e "impermanenza" siano anche essi sofferenza per gli esseri ordinari

    Mi è venuto in mente ora un discorso canonico che mi sembra pertinente, il Vipallāsa-sutta, che individua quattro distorsioni della percezione (saññāvipallāsa), della mente (cittavipallāsa) e della visione (diṭṭhivipallāsa) foriere di dukkha: considerare l’impermanente come permanente, la sofferenza come felicità, il non-sé come sé, il repellente come attraente, cui fanno da pendant, all’inverso, quattro non-distorsioni della percezione (nasaññāvipallāsa), della mente (nacittavipallāsa) e della visione (nadiṭṭhivipallāsa).

    Gli esseri non educati al Dhamma sono afflitti da errata visione (micchādiṭṭhihata), squilibrio mentale (khittacitta) e percezione distorta (visaññī): sotto il giogo (yogayutta) di Māra, vagano nel saṃsāra (sattā gacchanti saṃsāraṃ) di nascita in morte (jātimaraṇagāmino). Ma dal momento in cui nel mondo sorgono i Buddha, produttori di luce (pabhaṅkara), grazie al loro insegnamento del Dhamma, che porta all’acquietamento della sofferenza (dukkhūpasamagāmī), diviene possibile assumere la retta visione (sammādiṭṭhisamādāna) e trascendere ogni sofferenza (sabbaṃ dukkhaṃ upaccagun).

    Conoscevi questo sutta? Mi sembra tratteggiare bene la condizione di "rovesciamento" cognitivo cui son soggetti gli esseri ordinari.
     
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    QUOTE (Fantasia @ 3/26/2023, 11:02 AM) 
    Conoscevi questo sutta? Mi sembra tratteggiare bene la condizione di "rovesciamento" cognitivo cui son soggetti gli esseri ordinari.

    Ce n'è un riassunto in diversi lam.rim. Il concetto e i punti specifici mi sono noti ma tra la mia pigrizia e il fatto che in quel genere letterario la citazione delle fonti sia molto rara, non sapevo da dove arrivasse. Ora lo so :)
     
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    mah.. non dovrei intervenire in topic come questo dato che si incentrano su presupposti altamente tecnici per i quali io non ho la cassetta degli attrezzi, anzi maneggio a stento al massimo una pinza

    ma c'e' l'ora legale oggi, me la prendo un po comoda :D

    QUOTE (Fantasia @ 26/3/2023, 10:02) 
    NOTA:
    (1) Il Maligno domanda: da chi è stato fatto questo essere (kenāyaṃ pakato satto)? Dov’è il suo creatore (kuvaṃ sattassa kārako)? Donde è sorto (kuvaṃ satto samuppanno)? Dove cessa (kuvaṃ satto nirujjhati)?

    prima osservazone che mi salta immediatamente all'occhio: 'Il Maligno' a volte si rende utile :lol:

    QUOTE (Fantasia @ 26/3/2023, 10:02) 
    ...
    si può anche dire che ciò che sorge, sta e cessa è solo sofferenza, come dice esplicitamente la monaca: "solo la sofferenza sorge, sta e scompare" (dukkhameva hi sambhoti, dukkhaṃ tiṭṭhati veti ca). Voi cosa ne pensate? Qual è la vostra interpretazione di quella sconcertante affermazione?

    fermo restando che nel merito concordo in linea generale, personalmente sostituirei solo la parola 'sofferenza' con la parola 'identificazione'. mi appare cosi', di primo acchito, piu 'costruttivo' per la nostra specifica cultura
     
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    CITAZIONE (Fantasia @ 26/3/2023, 10:02)
    Nel Vajirāsutta la monaca (bhikkhunī) Vajirā subisce il tentativo di confusione, spavento e distrazione da parte di Māra, cui peraltro ella sa opportunamente resistere e rispondere: mentre il Maligno (pāpimant) si esprime facendo riferimento al concetto di “essere” (1), che è in realtà un errato punto di vista (diṭṭhigata), la bhikkhunī osserva che qui invero non si trova essere (nayidha sattupalabbhati), ma soltanto un mero mucchio di saṅkhāra (suddhasaṅkhārapuñja), aggiungendo poi che, come per una raccolta di parti (aṅgasambhāra) è usata la parola (sadda) “carro” (ratha), parimenti (evaṃ) quando ci sono (santesu) i khandha è convenzione (sammuti) parlare di “essere”.

    Ma il punto di questo discorso canonico sul quale vorrei richiamare la vostra attenzione è un altro: la monaca, nella parte finale dei suoi versi, sostiene che "niente a parte la sofferenza sorge, niente a parte la sofferenza cessa" (nāññatra dukkhā sambhoti, nāññaṃ dukkhā nirujjhati). Come intendere ciò? Avanzo la seguente ipotesi: il dukkha è legato a ciò che è condizionato (saṅkhata), cioè tutto tranne il nibbāna; ciò che sorge e cessa è solo il condizionato (il nibbāna, invece, non nasce e non muore), di conseguenza, dato il legame tra sofferenza e condizionato, si può anche dire che ciò che sorge, sta e cessa è solo sofferenza, come dice esplicitamente la monaca: "solo la sofferenza sorge, sta e scompare" (dukkhameva hi sambhoti, dukkhaṃ tiṭṭhati veti ca). Voi cosa ne pensate? Qual è la vostra interpretazione di quella sconcertante affermazione?


    NOTA:
    (1) Il Maligno domanda: da chi è stato fatto questo essere (kenāyaṃ pakato satto)? Dov’è il suo creatore (kuvaṃ sattassa kārako)? Donde è sorto (kuvaṃ satto samuppanno)? Dove cessa (kuvaṃ satto nirujjhati)?

    Credo che la tua interpretazione sia coerente con la breve spiegazione fornita dal commentario a questo sutta:
    Dukkhan'ti pañca-khandha-dukkhaṃ (Dukkha: il dukkha dei cinque khandha)
    E come il Buddha spiega la prima nobile verità, dukkha: in breve, i cinque khanda dell'attaccamento sono dukkha (saṃkhittena pañcupādānakkhandhā dukkhā).
    La traduzione di mara/papima con maligno mi sembra un po' troppo legata alla nostra cultura, penso che quel termine si riferisca ai dubbi, prontamente superati, sorti nella mente della stessa bhikkhuni relativi alla propria esistenza come "essere".
     
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    CITAZIONE (Alberto Spera @ 26/3/2023, 15:51) 
    La traduzione di mara/papima con maligno mi sembra un po' troppo legata alla nostra cultura, penso che quel termine si riferisca ai dubbi, prontamente superati, sorti nella mente della stessa bhikkhuni relativi alla propria esistenza come "essere".

    Nel rendere pāpimant come "maligno" ho seguito il Digital Pāli Dictionary: https://ibb.co/B6ytsRX. Quale potrebbe essere, secondo te, una traduzione più appropriata?
     
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    QUOTE (Alberto Spera @ 3/26/2023, 03:51 PM) 
    La traduzione di mara/papima con maligno mi sembra un po' troppo legata alla nostra cultura, penso che quel termine si riferisca ai dubbi, prontamente superati, sorti nella mente della stessa bhikkhuni relativi alla propria esistenza come "essere".

    Non mi sembra malaccio. Intanto c'è effettivamente un passaggio di due lingue, o almeno a quanto ne so non esiste un dizionario Pali-Italiano che tenga conto di tutte le sottigliezze di linguaggio nella filosofia indiana e Dharma nello specifico. In inglese "evil" è sia più neutro sia più esteso; rende abbastanza bene l'idea dell'elemento disfunzionale che si insinua nell'azione umana, il maligno nel senso più lato. Ma questo c'è anche nella nostra cattolicissima Italia. Bisogna dare atto alla Chiesa che è sempre stata viva una lettura dei testi che non riduce il diavolo a un caprone con barba e corna. Il problema se mai sta nel fatto che non ha mai curato più di tanto l'istruzione e la cultura dei fedeli, se pure per motivi comprensibili.

    Secondo me il lettore medio di un testo buddhista riesce, almeno in questo caso, a circoscrivere il significato e interpretare correttamente il termine. Anche nella nostra tradizione c'è l'idea che il diavolo si traveste, rende stolti quelli che vuole dannare, eccetera. Se poi il testo buddhista lo vuole leggere una persona ancora influenzata dall'idea del diavolo caprone penso che ci siano le introduzioni e le note a margine apposta.
     
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    swami chandraramabubu sfigananda, Bhikkhu Sujato (https://suttacentral.net/sn5.10/en/sujato) rende pāpimant come "the Wicked", "il Malvagio", mentre Bhikkhu Bodhi (https://suttacentral.net/sn5.10/en/bodhi) rende lo stesso termine come "the Evil One", "il Maligno". Pur se differenti, queste traduzioni in inglese sono semanticamente del tutto sovrapponibili, almeno così mi sembra. Tu che ne pensi?
     
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    QUOTE (Fantasia @ 3/26/2023, 06:08 PM) 
    swami chandraramabubu sfigananda, Bhikkhu Sujato (https://suttacentral.net/sn5.10/en/sujato) rende pāpimant come "the Wicked", "il Malvagio", mentre Bhikkhu Bodhi (https://suttacentral.net/sn5.10/en/bodhi) rende lo stesso termine come "the Evil One", "il Maligno". Pur se differenti, queste traduzioni in inglese sono semanticamente del tutto sovrapponibili, almeno così mi sembra. Tu che ne pensi?

    Non lo so; io non sono un filologo o linguista che sia. A senso - ma veramente quello dell'uomo della strada - io sarei più favorevole a Maligno, perché è più una specie di idea astratta del male; Malvagio mi evoca una persona in carne e ossa o quasi. Soprattutto mi pare comprendere un elemento di volontà personale del tutto assente in questo caso. Ma - e non sarebbe la prima volta - ogni tanto mi capita di attribuire un senso alle parole un po' personale, potrebbe anche questa volta essere il caso.
     
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    CITAZIONE (Fantasia @ 26/3/2023, 16:03)
    Nel rendere pāpimant come "maligno" ho seguito il Digital Pāli Dictionary: https://ibb.co/B6ytsRX. Quale potrebbe essere, secondo te, una traduzione più appropriata?

    Qualcosa tipo Mr Hyde, cioè la parte "cattiva" di ognuno. Nei commentari Pali ho trovato queste spiegazioni del termine:
    Pāpimāti kilesaṃ ālapati.
    e anche:
    So hi pāpadhammasamannāgatattā ‘‘pāpimā’’ti vuccati.
    Pāpadhammasamannāgatoti kāyaduccaritādiasantuṭṭhitādilāmakadhammasamannāgato
     
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    Se non ricordo male se Mara è Namuci è una demone della siccità quindi che regno corrisponde?
     
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