Buddhismo Italia Forum

Posts written by **Destiny**

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    Per ciò che riguarda il Buddhismo Tibetano le cose stanno così:

    - la concentrazione su una immagine di Buddha è accessibile a tutti.

    - La visualizzazione di una Divinità e la recitazione del suo mantra è permessa per certe Divinità ma non altre (ad esempio si può fare per tutte le Divinità provenienti dai Sutra Mahayana, come Avalokiteshvara, ma non si può fare per le più esoteriche Divinità del Tantra Supremo).

    - Anche per quel che riguarda queste Divinità aperte a tutti però sarebbe tradizionalmente concessa la visualizzazione esterna, ma non l'identificazione interna, a meno che non si è ricevuta la loro iniziazione.
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    Nel Buddhismo Tibetano ci sono pratiche di concentrazione sulle immagini o le statue delle Divinità. Sono forme di Sciné o Shamata.

    Non è però propriamente la stessa cosa del Deva Yoga.
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    Da dire è il fatto che il Raja Yoga corrisponde allo Yoga di Patanjali, quindi idealmente non è diverso dall'Hatha Yoga.
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    Le siddhi sono molto più legate al corpo di quanto si possa comunemente pensare, quindi si potrebbero perdere.
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    Nella Puja va bene qualunque incenso. Immagina un sacerdote di un tempio che si trova persone di ogni tipo che portano offerte alle Divinità, tra queste ci sono gli Stick di incenso e la gente porta semplicemente quelli che trova nei negozi.

    Ciò detto ci sono sicuramente fragranze più o meno gradite a Divinità specifiche; ad esempio un incenso alla rosa sicuramente piace particolarmente a Kali o a Lakshmi, ma la tradizione non specifica molto questa cosa come avviene nella tradizione magica occidentale dove vengono citati incensi specifici per Spiriti specifici
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    CITAZIONE (Cane Randagio @ 14/9/2023, 09:05) 
    Grazie della condivisione.

    Mi ha sempre affascinato questo ultimo concetto che hai espresso, meditare anziché sul totale della divinità, su una parte di essa.
    Io, più di altre volte, mi concentro sulle orecchie di Ganesha, così che Lui possa ascoltare meglio le mie preghiere.
    Oppure sui modhak lol
    Altre volte mi concentro su l'ascia, dipende molto da ciò che sento in quel momento.
    Durante la pratica del Buddha della medicina mi concentro sulla ciotola di erbe medicinali, che poi assumo.

    🙏🙏🙏

    Fai bene a meditare in quel modo su Ganesha. Non è sbagliato.
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    Se si studia il testo, le Carte di Sarasvati sono adatte anche ai principianti. Essendo un sistema diverso dagli altri non richiede una conoscenza preliminare di altri metodi divinatori.
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    Non ci sono molti libri sul Bhakti Yoga, per il semplice fatto che non ci sarebbe molto da scrivere. E' una cosa molto semplice.
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    Si è vero ma qui siamo nella sezione sul Buddhismo Tibetano
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    CITAZIONE (littlewing @ 30/8/2023, 08:32) 
    Il rifugio buddhista è in Buddha, Dharma, Sangha.
    https://studybuddhism.com/it/buddhismo-tib...tiva-nella-vita
    CITAZIONE
    Non è che dobbiamo semplicemente abbandonarci passivamente a qualche risorsa esterna che ci darà protezione. Nel contesto buddhista “prendere rifugio” è qualcosa di molto attivo; dobbiamo fare qualcosa per proteggere noi stessi.

    Il Rifugio nel Buddhismo Vajrayana è nel solo nei Tre Gioielli ma anche nelle Tre Radici, che sono Guru, Divinità (Yidam) e Protettori (Dharmapala)
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    L'abbandono è invece a fondamento della pratica buddhista, perché a fondamento dello stesso c'è il Rifugio che è abbandonarsi a Buddha, Dharma, Sangha, Guru, Divinità e Protettori
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    CITAZIONE
    La divinazione non solo non è una distrazione ma è uno strumento che può offrire un potenziamento di (almeno alcune delle) branche di Yoga che hai citato, se - e solo se, ovviamente - rispetta la natura etimologica del suo nome, ovvero se si fonda sul rapporto con il Divino. Non a caso pertanto è tipicamente presente nelle tradizioni teurgiche e tantriche.

    Ieri quando hai scritto il tuo messaggio ero di passaggio nel Forum - dopo un pò di tempo che non lo frequentavo - e ti ho risposto così, non fornendoti però spiegazioni più specifiche. Oggi cerco di spiegare meglio. Posto però che sarebbe stato formalmente preferibile e più corretto scrivere le tue valutazioni sulla Divinazione DOPO aver letto il testo piuttosto che prima.

    Te citi i quattro ambiti dello Yoga e affermeresti che la Divinazione ne costituirebbe una distrazione. Cercherò quindi di dare una definizione del termine Divinazione - per come viene praticata nella nostra Tradizione - e vedremo poi se quanto affermi corrisponde a verità o meno.

    La Divinazione è quella Scienza Sacra che serve a connettersi e a canalizzare la Conoscenza del Divino per aiutare sé stessi e gli altri nella propria vita e nel proprio percorso. Il fine è di Guarigione, non a caso infatti la Divinazione è tipica delle diagnosi sciamaniche. Le Conoscenze che emergono nella pratica Divinatoria servono a migliorare la propria vita, a evitare la cattiva fortuna, a correggere eventuali errori, a identificare meglio le cause dei propri problemi per poterli risolvere, a pacificare situazioni afflitte. In qualche caso può servire solo per scopi puramente spirituali; le questioni che si possono indagare in modo divinatorio non sono solo necessariamente materiali.

    Questo è quello che la Divinazione dovrebbe essere. E al giorno d'oggi, in occidente, non è mai così, perché viene praticata al di fuori di un rapporto diretto con il Divino. Quindi ciò che emerge in seduta divinatoria è spesso frutto di basse energie e così ha l'effetto opposto di far restare le persone nelle situazioni squilibrate in cui si trovano (è tipico, ad esempio, che i cartomanti occidentali si sentano chiedere dai clienti cosa fare con l'amante, e le risposte raramente sembrano correggere veramente queste situazioni malate)

    Nella Divinazione si fa uso di Strumenti (come le Carte, appunto) solo come appoggio; lo Strumento serve a fare da specchio, ma un buon Divinante può fare divinazione anche senza strumenti, se lo volesse. Di solito vengono comunque utilizzati perché un appoggio è utile, ma la differenza la fa il rapporto diretto con il Divino, con il Flusso, con i Mondi Metafisici. Lo Strumento è solo un punto di partenza, un Segno orientativo, ma se non si è in grado di canalizzare il Flusso di Potere della Divinità l'interpretazione del Segno sarà troppo superficiale e limitata (e potrebbe anche risultare sbagliata).

    Gli Strumenti sono solo un appoggio, dicevo, ed in fatti in particolari momenti di alto potere il vero divinante non ne fa uso. In quei momenti semplicemente lui canalizza, lui é, la Divinità. E anche questa è Divinazione, nella sua forma più alta. Questo però accade più raramente. Ecco che però la Divinazione diventa così un modo in cui si può definire anche la pura pratica, al di fuori dei consulti fatti con strumenti per altri. Ad esempio se si sta meditando ed il Flusso (Divinità, etc) ci dà delle intuizioni o conoscenze particolari, anche questo è divinazione.

    Ciò detto, la Divinazione lavora con la Shakti. Shakti che prende nella nostra tradizione la forma delle Divinità del Sanatana Dharma, o in qualche casi di Spiriti Guardiani (inferiori alle Divinità, ma membri del loro Corteo). Quindi queste sono le energie che si chiamano durante il consulto e che si tenta di canalizzare.

    Veniamo ora allo Yoga che hai citato. I quattro Ambiti sono i seguenti:

    1- Bhakti Yoga: lo Yoga dell'Amore e della Devozione per il Divino. Il vero Divinante in questa tradizione è un bhakta, perché più c'è amore per le Divinità, più c'è unione con loro, e quindi più si sarà in grado di canalizzarle durante il consulto. E ovviamente i risultati dei consulti provenento da questa Fonte avranno sempre l'effetto di portare le persone ad avvicinarsi a Dio. Se leggerai bene il libro delle Carte di Sarasvati penso che ti potrai accorgere di quanto il libro trasudi in ogni suo poro di Bhakti.

    2- Jnana Yoga: lo Yoga della Conoscenza. La Divinazione serve proprio a sviluppare Conoscenza: è uno Strumento per attingere alla Conoscenza divina. Cos'altro aggiungere?

    3- Karma Yoga:
    lo Yoga dell'Azione disinteressata. La Divinazione può essere proprio un modo per praticarla. Per qualcuno praticare Divinazione per gli altri può proprio essere il modo principale di esprimere il proprio Dharma ed il proprio aiuto agli altri. E' il caso di una quantità infinita di tantrika, nei luoghi dove tradizionalmente queste discipline sono praticate. Non è il mio Dharma, ad esempio (o almeno non lo è mai stato per ora), ma è questo il caso di Mata Devi, la cui pratica divinatoria è strettamente connessa al suo sviluppo spirituale e animico. Inoltre, puoi anche non avere nel tuo Dharma praticare Divinazione come karma yoga, però - ricevendo un consulto divinatorio da un vero Divinante - puoi scoprire qual è il tuo Dharma, se l'operatore è autentico. Uno degli scopri principali della Divinazione è proprio questo: Aiutare gli altri a scoprire il proprio dharma più autentico e perseguirlo!

    4 - Raja Yoga: lo Yoga della Meditazione, in stile Patanjali. Qui, e solo qui, la questione si fa controversa. Se concepissimo lo Yoga sulla scia del Samkhya quale una Via di Rinuncia a Prakriti per realizzare Purusha, con tutto ciò che ne segue in termini di ascetismo e norme di purezza, ecco che la Divinazione potrebbe costituire una distrazione. Ma non è questa la nostra Via. Noi, quali tantrika, consideriamo Prakriti come Shakti, e ne facciamo un uso spiritualmente proficuo secondo le conoscenze misteriche che Shiva ci fornisce. La nostra è una via basata su quello che i buddhisti chiamerebbero Deva Yoga, lo Yoga delle Divinità..... Divinità con cui si lavora in ambito Divinatorio. Quindi ecco che le due cose non sono in conflitto ma si potenziano. In questa tradizione il divinante quando pratica Divinazione sta di fatto praticando il Deva Yoga, sta facendo Teurgia, ma lo sta facendo in modo tale da indirizzare la sua energia verso lo scopo dell'incremento della conoscenza per il beneficio degli altri. E beneficiando gli altri si beneficia anche se stessi. Ecco che la Divinazione, in quanto pratica Teurgica applicata, diventa una Sadhana spirituale.


    Per ciò che riguarda invece il tuo scetticismo sul nostro contatto diretto con la Divinità (che comunque non pretende certo di essere una esclusiva) non c'è un modo di dimostrarti il contrario tramite le parole; è qualcosa che però si può dimostrare tramite l'esperienza come ho fatto con decine di persone che seguono il nostro percorso, ovvero incorporando su di te le Divinità in questione e così convincerti tu stesso per percezione diretta. E' una cosa che si può dimostrare tramite l'approccio fenomenologico. L'unica cosa che posso dire a nostro favore è ricordare la massima evangelica sui buoni frutti, che non possono che essere prodotti da un buon Albero. Ma, se la tua ricerca è veramente sincera e leggerai il Libro, la dolce presenza di Sarasvatì potrebbe tentare di farsi riconoscere al tuo Cuore.

    Hari Om

    Edited by **Destiny** - 29/8/2023, 19:00
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    CITAZIONE
    Anche se fosse reale, e se anche avesse effetti benefici, la ritengo una distrazione rispetto a ciò che realmente conta in una tradizione spirituale (Bhakti, Karma, Jnana, Raja).

    La divinazione non solo non è una distrazione ma è uno strumento che può offrire un potenziamento di (almeno alcune delle) branche di Yoga che hai citato, se - e solo se, ovviamente - rispetta la natura etimologica del suo nome, ovvero se si fonda sul rapporto con il Divino. Non a caso pertanto è tipicamente presente nelle tradizioni teurgiche e tantriche.

    Ammetto però che la Divinazione possa forse rappresentare una distrazione per qualcuno in vie di totali rinuncia al mondo.

    CITAZIONE
    Ho anche fortissimi dubbi sull'affermazione di Destiny secondo la quale il libro è stato ispirato da Sarasvati durante sessioni Sciamaniche (ho uno spirito razionalista condito da una forte dose di scetticismo).

    Comprendo il tuo scetticismo. Non so chi tu sia, essendo te un account anonimo. Ma se il tuo spirito di ricerca è veramente sincero, spero allora che ci saranno le condizioni in futuro per poterti dimostrare il contrario, non a parole ma tramite l'esperienza diretta, come faccio con molte altre persone.

    Spero che il Libro possa esserti utile.

    Saluti e benedizioni,

    Swami Shankar Kulanath
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    La Natura mangia la Natura. Questa è la terribile Legge che la Dea Kali insegna a chi è pronto. Tramite questo atto di perpetua alimentazione, la Natura rinnova ciclicamente sé stessa pulsando nei suoi continui spasmi di Vita e Amore. Ed in questo Orgasmo continuo si celebra la Danza della Vita e della Morte, della Manifestazione e del suo Riassorbimento. Kali è Bhairavi, è Terrifica, perché mostra il terribile Potere del Sacrificio.

    Tutto mangia, e tutto viene mangiato - in modi e a livelli coscienziali ed ontologici più o meno elevati - dalla più piccola formica al più alto degli Dei. Sì, anche gli Dei vengono "mangiati", quando decidono secondo la loro Volontà di riassorbirsi nel Brahman. E noi veniamo assorbiti - ovvero mangiati - dagli Dei, se nel nostro percorso di Evoluzione Spirituale ci siamo liberati dal diventare preda di forze vampiriche di natura inferiore.

    Si diventa ciò che si mangia, si dice spesso. E' vero, in parte. Ma si omette di dire una cosa ancora più vera: soprattutto si diventa ciò da cui si viene mangiati.

    Essere assorbiti dagli Dei (Flussi di Potere Illuminati e Sovrapersonali) è una tappa intermedia imprescindibile del percorso verso la Liberazione, mentre farsi mangiare dai parassiti rischia di intrappolarci ancora di più nei meandri del Samsara.

    C'è però un'altra importante differenza tra gli Dei illuminati e gli spiriti predatori di questo mondo. A differenza dei secondi, i primi non solo ci mangiano, ma viceversa permettono anche a noi di mangiare loro. E' una nutrizione reciproca, arricchente, benefica ed energizzante per entrambe le parti, che infine diventano una cosa sola. Questo è il principio operativo del Pasto Sacro, del Banchetto Divino, dell'Eucarestia. Dio mangia noi, e noi mangiamo Dio.

    Dio si fa per noi materia, carne e sangue, seme e ovulo, pane e vino, mercurio e zolfo, affinché noi possiamo nutrirci di Esso. Anche questo a vari livelli, secondo le conoscenze teurgico-alchemiche e le materie utilizzate, dal mahaprasadam (ciò che resta dell'offerta rituale) ai nutrimenti più esoterici. Ma anche con una semplice Puja se fatta bene noi a livello sottile ci nutriamo di energia divina.

    Essendo tutto espressione della Legge Alimentare, ecco che quest'ultima può diventare modello esplicativo del percorso di sviluppo spirituale.

    Nutriti di Vita. Nutriti di Spirito. Nutriti di Amore. Nutriti di Dio. Questa è la Via!

    Smetti di nutrirti di Putrefazione, di ciò che è Tossico, di ciò che è Velenoso per te. Gradualmente, digiuna anche di ciò che è inutile per il tuo corpo e per la tua anima, che ingolfa e appesantisce i tuoi canali. Questo ti permetterà di spezzare i legami con questo mondo condizionato e di aprire varchi sempre maggiori attraverso i quali il Nutrimento Divino possa alimentarti nel profondo.

    Questo vale non solo per il cibo solido.

    Purificati dalle cattive compagnie.

    Disintossicati dal vizio del pettegolezzo.

    Fai un uso buono e moderato dei social, se proprio senti di usarli.

    Smettila di vomitare continuativamente parole, soprattutto se sono inutili, volgari o polemiche. Chi vomita ha l'anima intossicata: guariscila!

    Che i tuoi passatempi siano benefici per il tuo corpo e la tua mente: non è molto meglio praticare Sport che diventare dipendente dalle sue illusorie apparizioni?

    I programmi di intrattenimento in Tv o in Radio solo raramente e se vuoi staccare la spina, non farli diventare una abitudine.

    Se sei già nel percorso della Liberazione, a che pro continuare a leggere libri inutili, che confondono la mente e annebbiano l'esperienza? Quando i libri di filosofia o teologia offuscano l'esperienza dello Spirito diventano veleno: bruciali, e nutri il Fuoco del tuo Ardore Spirituale! Alimenta e accresci questo Fuoco, che non sia mai sazio!

    Fatti una domanda sincera: di cosa ti nutri? Ma soprattutto: che cosa stai nutrendo? A che cosa va la tua energia? A quali poteri ti offri in sacrificio?

    Alleggerisciti, e inondati di Luce. Nutritene!

    Non avere fretta, è un percorso graduale.
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    Condivido questo articolo in inglese di una praticante di Buddhismo Tibetano confusa - a causa di fraintendimenti diffusi da un certo Buddhismo in Occidente - sulla reale o meno esistenza degli Dei.... che infine giunge ad averne esperienza diretta sperimentando più volte il benefico aiuto del Signore Ganesha:



    Real or Pretend? A personal account

    by Patricia Anderson, tricycle.org
    August 15, 2019 09:59 AM

    Early on, in the Martin Scorsese film Kundun, there is a scene in which the boy-king is frightened. Alone in his bed in the inner recesses of the Potala, the young Dalai Lama hears noises. A large rat scurries through the shadows. He cries out for his mother. His guardian comes in and sits by his side. The boy says, “I don’t like it here,” and the lama nods, “Yes, it’s an old, dark place.” He tells the child to look to the deities when he is afraid, and the child points to a thangka on the far wall, asking,
    “Who’s that one?”

    “Palden Lhamo, special deity to protect you and the government of Tibet.”

    The boy looks up at the lama and asks, “Is she real or pretend?”

    “She’s real.” The answer comes without hesitation. “She’s real.”

    When I first saw the film, this moment brought a lump to my throat because I was struggling with the same question. What are the deities? No, I mean, really. When I am filled with fear in the middle of the night, can a protector deity provide comfort? Is an emanation of the rainbow body an actual thing? Is it my belief that makes it so? Isn’t that a lot like Santa Claus?

    When I set aside what I was supposed to think and just said what I felt, I had exactly the same question as any six-year-old child.
    Tara. The Dakinis. Vajrapani. The three protectors of the order of the Gelugpa: Mahakala, Yamantaka, and Palden Lhamo. Real or pretend?
    I was originally attracted to Buddhism because of its pragmatism. I became enamored of this tradition when I realized its basic tenet began by saying, essentially, “Life sucks and then you die, so what’s that all about?” This was the religion for me. This was a framework I could use to examine my actual experience. Far from the promise of pie-in-a-big-sky afterlife, this was about dealing with the fear that comes when you realize nothing is going to save your ass.

    When I first studied with Chogyam Trungpa Rinpoche at Tail of the Tiger (now Karme Choling), the emphasis was on facing the reality of your life and your situation. The instruction, and the old farm in Vermont in which it took place, was generally free of the trappings of Tibetan culture. Trungpa Rinpoche used Western examples and illustrations, answered questions in extremely practical terms, and talked about the dangers of “spiritual materialism,” including the trap of mistaking “mind-blowing” experiences for realization. All this made sense to me. I wasn’t looking for visions, I was looking for a real answer to the anxiety and uncertainty of my life.

    So I’m sitting in Vermont listening to this Tibetan in a turtleneck sweater, telling how spiritual understanding is grounded in the most basic aspects of your life, in the shitting, pissing fundamentals and not in the woo-woo of New Age razzle-dazzle and the seduction of mystical experiences. Unfortunately, I’m having trouble concentrating on what he’s saying because the light around him is blinding me, crystal bands of color fill the space between us, and the auditory quality of words has changed. At one point during that fortnight, I saw the entire tantric pantheon spread out across a snowy Vermont hillside in bright golden warmth, accompanied by a kind of humming sound. And I was absolutely totally straight. No drugs, no alcohol, no fasting, no isolation, nothing to induce an altered state, just me, peeling potatoes, trying to walk mindfully and having one incredible vision after another.

    I particularly remember one early morning, standing in a hallway upstairs in the main house, when Rinpoche opened the door from the office and stepped into the hall. He looked at me and I was suddenly nervous and reflexively squeaked out the word, “Hi,” and he said it back to me, “Hi,” and a white glowing light grew out of him filling my vision while the word changed shape as though I could see it. He began to walk away and the light died down and the sound faded, and then he turned back and looked at me as I stood there dumbfounded. I could see his face clearly now and he smiled and winked with genuine pleasure, the kind of pleasure you’d have seeing a child stunned into breathlessness by an especially good magic trick, stunned by a new view of things and astounded with the possibilities suddenly opening ahead. I was filled with happiness. I knew now that there was so much more than my own little sense of things. I saw consciousness at play in space.

    So what does one make of such experiences? Are they brain-chemical imbalances or acid flashbacks? A sign of psychosis? Or perhaps a phenomenon of physics, like the northern lights but occurring within the electromagnetic field between human beings?
    Whatever this was, I came away with a new view of what was possible, a wider, more enlivened view of myself and the world. It was, for want of a less discredited word, inspirational, and the result was to spur me on to study and practice.

    And that was that. I went home and settled into the ordinary difficulties of finding the discipline to sit regularly and the skill to incorporate what I was learning into my daily life. As I studied further, I learned more about the deities, the whole array of gods, consorts, lamas, yoginis, dakinis, emanations of this, and emanations of that. Becoming affiliated with a Tibetan lineage can feel like entering a Byzantine hierarchy on psychedelics, or a really good computer game with very high production values.

    I began to realize that Tibetans pray to statues of Tara like Catholics pray to statues of the Virgin Mary. This felt kind of uncomfortable, retrograde, like something I was trying to get away from. I decided it was a cultural thing, “folk Buddhism,” arising out of pre-Buddhist traditions and social conventions.

    I was more comfortable with the idea that these deities represented aspects of human experience or enlightened mind, not real beings. Or maybe they had once been real historical human beings who had been very good practitioners and had now, over all the years, become idolized and turned into gods or saints, the way people are inclined to do with their heroes. Searching for a savior, something like that. To my mind, the trikaya—the term referring to the three bodies possessed by a Buddha manifesting in the world—was a metaphor for the principles of Buddhism, the teachings personified, again, for the unsophisticated. People need to have something to identify with, turn to, pray to. I believed my early experience at Tail of the Tiger was in that vein. I had been more naive then. Now I was a mature practitioner. I thought I understood the rigor of “no escape.”
    Then, several years ago, this thing started happening. I started to see Ganesh. I don’t mean pictures of Ganesh, I mean Ganesh, the multiarmed, elephant-headed Son of Shiva, god of wisdom and remover of all obstacles. It’s impossible to describe such an experience and I’m not going to try. By its very nature it is beyond language. But let me say that what happened was more than my own projection. It was some combination of my perception and his existence.

    Simultaneous with this experience came a shift in my understanding. I had a glimmer of something new to me, a gentleness, a softening. I was getting a glimpse of the possibility that maybe I’d misunderstood some stuff here, mistaken a certain harshness for discipline, abnegation for rigor, unrelenting self-criticism for clarity.

    But old habits die hard. While I understood the concept of gentleness, I didn’t know how to do it. I wanted control over my fear. I wanted to conquer it. I wanted control over the person I thought I was. I didn’t trust the softening thing.

    Ganesh kept showing up. I started to wonder about the invisible friend syndrome, about personality disorder. Did Son of Sam start this way? I imagined headlines reading: “An Elephant Told Her to Take an M-16 to the Congressional Building.”

    Visualization as a focus for meditation was one thing, this was something else. Furthermore, if I was going to have actual discussions with an etheric representative of the teachings, it should be some cool Tibetan yogini. But this was a Hindu mahadeva, and he wouldn’t go away.
    I went to my teachers, Khenchen Palden Sherab Rinpoche and Khenpo Tsewang Dongyal Rinpoche. I was apologetic. I said, “Well, I’m having this experience but I’m trying not to pay any attention to it.” They laughed. At me, not with me.

    They described the difference between no escape and no comfort. They talked about the need for gentleness toward oneself as well as toward others. They explained that Ganesh, while known in the West as a Hindu deity, also has a place in the Tibetan pantheon. In Tibet he is Tsog Dag, dharmapala (“tool of the dharma”). With a great deal of kindness and tact, the lamas said what more bluntly might have been stated as “Don’t look a gift horse in the mouth,” and “You should be so lucky as to be thinking like a child.”

    When I told Khenchen Palden Sherab I was afraid that my visions of Ganesh meant I was incapable of understanding the subtle levels of the teachings, he said to me:

    “Don’t worry so much. You cannot be someone else; you can only be this person who has seen Tsog Dag. To understand this is very important. To accept yourself, to accept what life presents to you is very important. Everything else is aspiration and desire, which creates suffering. If you think you should be someone else, someone who needs nothing, you will suffer from that. Accept the fact that you are living in this world and have need. Meditate and study and use the help that arises for you.”

    I had confused “reality” with harshness. Growing up in a puritanical tradition, I had, over the years, turned the teaching of “emptiness” into a tyranny masquerading as discipline. I had become very involved in trying to “get it right,” making my practice yet another requirement I could not meet properly, another reason for self-criticism. And I had lost my respect for the inexplicable nature of experience, for that which is beyond the “rational.” I’d lost sight of all those possibilities I’d glimpsed over twenty-five years ago.

    When I stopped trying to push him away, Ganesh showed me that taking responsibility for myself actually requires being gentle. He showed me the difference between giving over and giving up. He showed me what acceptance really means.

    Ganesh is often described as the “remover of obstacles,” and this is certainly one of his historical attributes. But the Hindu traditions of Shaivism and Shaktism and the Tibetan master Longchenpa teach that he might better be understood as the one who empowers unfolding, as karma manifesting itself; and this unfolding is not necessarily within the limitations of what we perceive as “good” and “bad.” It is not restricted by our desire. In other words, this is not a deity who will grant your wishes, this is a deity who will grant you, period. Ganesh represents the unfolding universe altogether—the Holocaust as well as your own private Idaho.

    This distinction is not simply a fine point of interpretation. I believe that understanding this, really understanding it, is the key to avoiding delusion. One does not approach the deity with a request or demand. One approaches with vulnerability, as you would a lover or a true friend. Your exposure is the greatest gift of intimacy and trust, it is your offering, it is the key. This is not about praying for what you want, this is about surrender to what is, surrender to the fact that there is truly no escape from vulnerability.

    We walk around awash in unseen worlds and forces. Sound waves, electromagnetic waves, the subatomic universe, the human aura, the famous quantum soup. All of these are examples of real things that we don’t see. Not only do they exist, they impact our lives continuously, they influence us, they affect us all the time.

    Compassion too is real, it’s a solid physical thing, as powerful as gravity, and it affects outcome, turns one thing into another. Compassion, and the lack of compassion, affect us all the time. The fear we feel in the middle of the night can be traced to a lack of this “force.”

    When there isn’t enough compassion being generated (either for ourselves as individuals or in the world in general), we become unbalanced; we suffer from it as we would from a lack of fresh air and clean water. It is not an incidental element, it is mandatory. We will not survive without it.
    In the most wonderfully ironic way, compassion is generated out of vulnerability. In the dark night, when fear arises, if I turn to the deity with complete surrender, there is a softening and an acceptance out of which compassion comes and comfort appears. In other terms, this is about giving over and letting go. It is the same act, the same surrender. It’s over, it’s done, you are finished. In that moment you know there is no escape, no escape in the past, now, or in the future, no escape in the mind. There is only what is.

    What I have learned from Ganesh has changed my awareness. This in turn has changed my reality. How real is that? It’s as real as I am. As real as cukes and quarks and black holes and butter and you and me and the world we have created for ourselves.

    The Buddha taught that the true nature of reality is intrinsically empty, that we live in a web of projection, a vast network of “pretend” within which we struggle and suffer. Each of us finds our own way to awareness through this jungle of projection. For me, Ganesh has seen fit to arise in front of my face, bestowing comfort in the midst of the entanglement.

    Perhaps one day quantum physics will discover a “proof” that explains the deities. In the meantime, I’m going to accept the tool of the dharma given to me by my life: Ganesh, Tsog Dag, Ganapati, Lord of the unfolding universe in all its pain and pleasure, and solace to my aching heart. For real, not pretend.

    https://tricycle.org/magazine/real-or-pret...Hqg4PAFSy2V6f_o


    Ganesh
13643 replies since 20/5/2007
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