Shinji Shôbôgenzô, La raccolta di koan del maestro Dogen

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  1. yudo
     
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    OTTO

    Maestro Baso Do-itsu di Kozei nel distritto di Ko servì di Jisha (segretario personale) al maestro Nangaku Ejo e ricevette intimamente il sigillo della mente del Buddha Gotama. Visse nel tempio Denpo, siedendo costantemente in zazen e fu il più notevole di tutti i discepoli di maestro Nangaku. Questi sapeva che il maestro Baso aveva capacità eccezzionali nello studio del Buddhismo.

    Maestro Nagaku si recò dal maestro Baso e chiese : Adesso, grande monaco, quale la sua intenzione nel praticare zazen?

    Baso Do-itsu rispose : Voglio diventare un buddha.

    Nangaku Ejo afferrò un pezzo di tegola e si mise a levigarla su di una pietra davanti alla capanna di Baso.

    Baso Do-itsu disse : Maestro! Cosa sta faccendo?

    Nangaku Ejo rispose : Sto levigando questa tegola per farne uno specchio.

    Baso Do-itsu disse : Come mai si potrebbe fare uno specchio con una tegola?

    Nangaku Ejo ritorse : Come mai si potrebbe fare di sé un buddha praticando zazen?

    Baso Do-itsu rispose : Cosa bisogna fare, allora?

    Nangaku Ejo disse : Quando un uomo viaggia in vettura, se la vettura non va avanti, cosa deve fare? Picchiare la vettura, o picchiare i buoi che la trascinano?

    Basu Do-itsu rimase senza risposta.

    Nangaku Ejo insegnò in più : Imparare zazen è imparare che sei un buddha in zazen. Quando si impara zazen, è diverso del comportamento quotidiano come sedere o coricarsi. Eppure, quando si impara di essere un buddha in zazen, quel buddha sta al di là di ogni forma fissa.

    Nangaku Ejo disse : Non dobbiamo preferire il bene od il male nell'Universo, all'attimo presente. Quando si pratica l'essere buddha in zazen, ci si disfa inevitabilmente dal concetto di buddha. Attaccarsi alla forma di sedere è non aver capito perfettamente il principio di zazen.

    All'udire l'insegnamento del maestro, Baso si sentì come se avesse bevuto un dolce nettare.

    QUOTE
    Commento di Nishijima roshi

    Questo koan è abitualmente interpretato nel senso che non è possibile diventare un buddha unicamente con la pratica di zazen. Ma l'interpretazione di maestro Dogen era diversa assai. Egli attacca proprio l'idea del diventare intenzionalmente. Quando ci si siede in zazen, si è già un buddha. Non à possibile ri-diventare un buddha che già si è. Il levigare non è il fabbricare uno specchio, è solo l'atto di levigare -- è l'azione di un buddha.

    Cosa sarebbe, il dire che si è buddha quando si sta seduto in zazen? Seduti in zazen, affrontiamo la realtà direttamente. Affrontiamo pensieri, emozioni e scomodità (tanto fisica che mentale). Vediamo anche che la realtà è altra cosa che solo i nostri pensieri o solo il nostro corpo.

    Quello è difficile da osservare, particolarmente per i principianti. Quando siedono, quel che percepiscono usuamente è il dolore e la noia. Questo è molto lontano dalla loro immagine ideale del risveglio o della buddhità. Eppure il dolore e la noia sono la loro realtà.

    Nella nostra vita corrente, facciamo grandi sforzi per correr via da quell'aspetto della realtà, o per nasconderlo. In zazen, lo confrontiamo direttamente. Non vi si può scappare, deve essere vissuto affondo e sperimentato. La realtà non è solo dolore e noia, ci sono tanto più aspetti della realtà ben più diversi e profondi. Gli si riscontrano e confrontano anche in zazen. Ma lì, vengono confrontati così come sorgono naturalmente a partire da se stessi.

    Le nostre immagini intellettuali del risveglio non possono accelerare le cose. Lo stesso intelletto non è più di una sottile strata alla superficie della realtà di un oceano del corpo/mente ben più profondo.

    Poi chiede il maestro Baso cosa dovrebbe fare, e maestro Nangaku utilizza il paragone del carro tratto dai buoi. Se è ostinato il bue, lo possiamo spingere in avanti grazie al pungolo, ma se viene bloccata una ruota del carro, si potrà pungolare il bue quanto vuoi, non andrà avanti un cavolo. Dobbiamo stare all'erta per la realtà della situazione e non progettare le nostre idee preconcette su di essa.

    Il bue rapprensenta la mente o i fattori mentali. Il carro rappresenta il corpo o i fattori materiali. L'idealista si raffigura solo di pungolare il bue. Non è consapevole del carro, finché, qualche giorno, cade una ruota ed egli si fa rovesciare nel fango.

    Il materialista pensa solo del carro. Forse lo vuole far sembrare schietto e rapido, o lo vuole decorare di oro e gioielli; nel frattempo, lascia il bue che muore di fame e non si può muovere il suo precioso carro.

    Zazen è una pratica del corpo/mente -- l'essere nella sua totalità. Il buddhista si darà da fare con ambedue il bue ed il carro.

    In seguito maestro Nangaku spiega la differenza tra Zazen e il comportamento di tutti i giorni. Egli spiega cosa significa imparare zazen; imparare che noi, in zazen, siamo un buddha. Sostiene che zazen è diverso dal nostro comportamento quotidiano, come sedersi o coricarsi. Sotto quale aspetto è diverso? Nella nostra vita, stiamo solitamente presi da pensieri. Ci risulta difficile vedere la realtà a cagione di questi pensieri.

    D'altra parte à anche diverso dai nostri comuni stati di rilassamento, in ciò che zazen mantiene una certa tensione fisica nonché la mente all'erta. Maestro Nangaku voleva fare questa distinzione tra zazen e la nostra vita usuale perché vi erano e ci stanno tutt'ora dei buddhisti che sostengono che la condotta delle nostra vita corrente non è diversa da zazen. Ed è vero che sono la medesima cosa in ciò che esistono ambedue nella stessa realtà, ma nella vita ordinaria è molto difficile, e per il più delle persone adirittura impossibile, vedere chiaramente la realtà.

    In zazen, sediamo nella realtà e la sperimentiamo direttamente in un modo che di rado occorre nella nostra vita usuale. Tale esperienza cambia gradualmente la nostra vita quotidiana. Quando sediamo in zazen, siamo un buddha. Un buddha in zazen non ha una forma fissa. Potrebbe essere grande e biondo, corto e ciccione, un atleta, una signora anziana o un adolescente. Per di più, un buddha in zazen ha più stati: pacato, sereno, distratto, annoiato, gioioso, ecc.

    Non c'è un singolo stato che si possa indicare e dire: "Ecco cosa stavi cercando; quando hai raggiunto questo stato, allora hai raggiunto la buddhità". Tali idee preconcette non sono altro che immagini nel cervello. Non c'è una forma finita per un buddha. Ogni persona seduta in zazen ha la propria forma. Così possiamo dire che zazen è decorato dalle infinite forme del buddha.

    Maestro Nangaku disse in poi a Baso di non preferire il bene né il male al momeno dell'agire. Nell' instantaneo flash della realtà, non c'è né bene né male. Non ci sono né buddha né non-buddha. Nella pratica reale di zazen, non si scova nessun "buddha"; i nostri concetti di buddha sono stati lasciati indietro e siamo liberi di sedere nella realtà stessa. Siamo liberi di essere dei buddha.

    Se ci attacchiamo alla forma fisica di sedere, ad esempio concentrandoci sul respiro, o encorraggiando una conscienza costante del corpo, non abbiamo capito che zazen è sedersi nell'unità di corpo-e-mente, lo stato in cui non c'è enfasi alcuna né sul mentale né sul fisico.



    Edited by yudo - 20/9/2009, 10:34
     
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  2. yudo
     
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    NOVE

    Una volta maestro Obaku lasciò il tempio di monte Obaku, abbandonando i suoi discepoli, e si recò al tempio Dai-an. Si mescolò con gli altri adetti al lavoro e spazzava e puliva la Sala del Buddha e la Sala delle Conferenze.

    Un giorno venne al tempio il primo ministro Haikyu e bruciò incenso. Un Shuji (ufficiale del tempio) ricevette il ministro.

    Questi vedi per caso un dipinto su di una parete e chiese : Che specie di figura è questa?

    Il monaco rispose : E' il ritratto di un reverendo monaco.

    Il primo ministro disse : Posso vedere il ritratto, ma dov'è il reverendo monaco?

    Nessuno tra i monaci poté rispondere alla domanda.

    Il primo ministro chiese : Ci sarà un uomo di zazen in questo tempio?

    Il monaco rispose : C'è un monaco che è venuto a lavorare nel tempio, di recente. Sembra di essere un uomo di zazen.

    Il primo ministro chiese : Lo potreste far venire qui, che gli possa fare la domanda?

    I monaci andorono subito a cercare maestro Obaku. Quando vide questi, il primo ministro sembrò felice e disse : Proprio adesso avevo una domanda, ma nessuno dei monaci seppe rispondere. Vorrei che Lei desse la risposta a loro posto, e mi desse una parola che potesse cambiare la mia vita.

    Maestro Obaku disse : Signor primo ministro, La prego di farmi la medesima domanda.

    Il primo ministro ripeté la sua domanda.

    Il maestro gridò fortemente : Primo ministro !

    Il primo ministro rispose.

    Il maestro disse : Lei, dov'è?

    Il primo ministro fu chiarito, come se avesse ricevuto una perla tirata fuori dal nodo nei capelli del Buddha Gotama.

    Egli disse : Il mio maestro è proprio un reverendo monaco.

    Invitò allora maestro Obaku ad aprire il tempio.

    QUOTE
    Commento di Nishijima roshi

    La domanda del primo ministro "Posso vedere il ritratto, ma dov'è il reverendo monaco?" separa il ritratto da quello che rappresenta -- una rappresentazione astratta nel dipinto dal corpo fisico del monaco rappresentato. La domanda indica la differenza tra i punti di vista idealista e materialista. Nel "rispondere" alla domanda, il maestro richiama il primo ministro con voce forte. Questo è un fatto concreto, un suono fisico reale, e riaffoca il soggetto nel secondo punto di vistq, quello concreto.

    Quando risponde il primo ministro, Obaku gli chiede "Lei, dov'è?" che si affoca sul posto reale, la situazione reale in cui sono implicati. Questo apre gli occhi del primo ministro alla realtà della situazione così come esiste in quel posto preciso. La distinzione tra l'immagine, ovvero idea, e quel che rappresenta, è stata trascesa. Non erano due cose : l'immagine di qualcosa, e ciò a che riferiva l'immagine; c'era solo l'unica realtà.

    Il primo ministro aveva trovato il reverendo monaco. Direste che maestro Obaku fosse il reverendo monaco? Cosa dite del primo ministro? Non si potrebbe anche dire che egli fosse il reverendo monaco della storia? Forse era quel reverendo monaco da lui trovato il suo proprio e vero "sé"?

    E cosa dite della vostra propria vita? Voi avete senza dubbio visto parecchi ritratti o avete avuto più idee di cosa dovrebbe somigliare una reverenda persona. Ma questa persona, la potete trovare nella realtà, nella vostra propria vita? Ecco cos'è il vero e proprio compito di un buddhista.



    Edited by yudo - 21/9/2009, 15:54
     
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  3. pabletto76
     
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    sono bellissimi, bravo Yudo! ;)
     
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  4. yudo
     
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    DIECI

    Un giorno, un monaco chiese al maestro Seigne Gyoshi : Cosa fu l'intenzione di maestro Bodhidharma quando venne dall'India in Cina?

    Seigen Gyoshi rispose : Ha soltanto agito così com'era.

    Il monaco disse . Potrebbe Lei ridirmi quel che ha appena detto in parole ch'io sia in grado di capire?

    Seigen Gyoshi disse : Venga qui!

    Il monaco si avvicinò al maestro.

    Seigen Gyoshi gli disse : Si ricordi chiaramente di questo.

    QUOTE
    Commento di Nishijima roshi

    La prima domanda del monaco era una cosa comune per gli studenti buddhisti, quella di chiedere perché Bodhidharma era venuto in Cina a portare gl'insegnamenti del Buddha. La domanda porta infatti sullo scopo fondamentale della vita buddhista. Maestro Seigen Gyoshi disse che il comportamento di Bodhidharma era niente più di quel che era. Fece quel che ha fatto. Il suo comportamento è un semplice fatto storico, che segue le circostanze dell'epoca e del carattere specifico di Bodhidharma.

    Certo, possiamo trovare senso e importanza nelle azioni di Bodhidharma, ma in risposta alla domanda del monaco, il maestro sceglie di enfatizzare solo il semplice fatto oggettivo del comportamento di Bodhidharma.

    Il monaco non capì la risposta e volle una spiegazione più dettagliata, cosicché il maestro gli disse di starsi in piedi e di avvicinarsi. Mentre sta facendo quello, il maestro gli dice : "Si ricordi chiaramente di questo".

    Il maestro voleva che il monaco dimenticasse per un pò le sue astrazioni e proprio osservasse la realtà di tale semplice azione. Solo camminare, solo agire naturalmente in risposta alle domande reali che fa la situazione. Ecco la cagione per che Bodhidharma abbia lasciato l'India per la Cina. Ecco cos'è il cuore degli insegnamenti da lui trasmessi.

     
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  5. kaliya
     
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    Fantastici.
     
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  6. yudo
     
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    Undici

    Il maestro Joshu Jushin stava predicando ad una grande assemblea: Se siamo fosse appena coscienti dal bene e del male, perdiamo completamente la mente del Buddha. C'è chi ci ha da ridire?
    Un monaco si fece avanti e schiaffeggio' il jisha del maestro (il suo assistente personale, o segrettario) dicendo : Perché non risponde al maestro?
    Il maestro torno' immediatamente nei suoi appartamenti. Dopodiché, il jisha gli chiese di spiegargli : Aveva capito quel che intendeva Lei il monaco che mi ha colpito?
    Joshu Jushin rispose: La persona seduta poteva vedere quella in piedi. E la persona in piedi poteva vedere quella seduta.

    Commento di maestro Nishijima:
    QUOTE
    Il maestro Joshu dice che persino una leggera coscienza del bene e del male turab la nostra stabilità. E' la nostra mente a discriminare tra quel che è bene e quel che è male. Tale capacità a dividere, discriminare ed analizzare forma parte essenziale della nostra vita quotidiana, ma risulta incapace di percepire direttamente la realtà. La mente di Buddha è uno stato nel quale noi percepiamo direttamente la relatà e ci è quindi necessario trascendere ogni discriminazione. Tale idea porta parecchie persone a false conclusioni. Ne traggono un'immagine stranissima di cio' che sarebbe una persona vivendo in questo stato.

    Per illustrare il punto, ci si puo' indicare la differenza tra un bebé ed un buddha. Si puo' dire che ambedue vivono in uno stato esente dalle nozioni astratte del bene e del male. Eppure, il bebé lo puo' proprio poiché non ha ancora sviluppato la sua mente discriminante e razionale, mentre un buddha ha realizzato che l'essenza non è soltanto il sapere cio' che è bene o male, ma semplicemente di fare il bene e di non fare il male.

    La persona che vede la realtà, che vive nello stesso stato del Buddha fa il bene a partire dal nocciolo più profondo dell'essere suo; non seguendo una lista di virtù scritta in un libro, ma bensi' seguendo semplicemente la legge dell'Universo.

    Il maestro Joshu Jushin chiede se c'è qualcuno che ha qualcosa da dire sulla coscienza che va al di là del bene e del male. Siccome il linguaggio è per di sé basato su di questa discriminazione, si potrebbe pensare ceh il maestra sta dando un impossibile compito agli studienti.

    Come evitare tale contraddizione? Il monaco della storiella aveva scelto di risponderci tramite la sua propria azione reale. Il giovanee monaco che è stato scelto come assistente personale del maestro non ha ancora radicato il suo buddhismo nella realtà. Risulta quindi incapace di rispondere alla sfida del maestro, dimodoché l'altro da alla domanda astratta del maestro un supplemento che consiste in qualche schiaffi ben concreti, nel secondo (materiale) punto di vista.

    Il comportamento di questo monaco è di per sé una risposta alla domanda del maestro Joshu. Si tratta di una dimostrazione concreta della mente che agisce correttamente senza discriminazione, a seconda il bisogno della situazione reale.

    Nella terza fase del koan, il jisha vuol capire quali sono i sentimenti reali del maestro sull'azione del monaco che lo schiaffeggio'. Questa domanda è sincera, è una che viene dalla sua esperienza realt e non è soltanto un partecipare ad un gioco filosofico.

    Nella risposta che gli fa il maestro Joshu, l'espressione la persona seduta fa riferimento ad egli stesso (il maestro) e la persona in piedi rinvia all'altro monaco. Cosi' afferma il maestra la comprensione del monaco. Si sono potuti vedere l'uno l'altro molto nitidamente. Il loro intendimento del Buddhismo era lo stesso'.

     
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  7. Jaylyn
     
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    Grazie :namastè*:
     
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  8. yudo
     
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    Dodici

    Il maestro Tôzan Ryôkai dal distritto di In predico all'assemblea: Quando avermo capito di esperienza cio' che sono i buddha ascendenti, allora potremo parlarci.
    Un monaco chiese dunque: Da quale specie di "parlare" si tratta?
    Tôzan Ryôkai rispose: Ad esempio, quando un monaco sta parlando, non puo' ascoltare.
    Il monaco ribatté:Puo' Lei ascoltare, in tali circostanze, maestro?
    Tôzan rispose: Quando non sto parlando, posso ascoltare.

    Commento di maestro Nishijima:
    QUOTE
    Una volta che hanno realizzato la verità, la gente prosegue la sua pratica buddhista abituale anziché i suoi compiti della vita quotidiana. Ecco cosa significa l'espressione "buddha ascendenti"

    Il maestro Tôzan voleva esprimere o dimostrare i buddha ascendenti ai suoi discepoli. Il monaco era interessato nella natura delle discussioni che si terrebbero una volta che avessero loro stessi fatta l'esperienza di buddha ascendente.

    Questi si credeva che tale discussione tra buddha dovesse per forza essere sublimissima e misticissima. Ma il maestro lo svincola da tale falsa idea. Sono soltanto discussioni ordinarie, dice. "Quando sta parlando un monaco, egli non puo' ascoltare." Niente di più ordinario o pratico.!

    Eppure, il monaco si dice che il maestro, data la sua profonda saggezza, di certo non poteva essere limitato da aspetti cosi' ordinari. Una volta ancora, il maestro Tôzan gli dice soltanto: "Quando non sto parlando, posso ascoltare." Niente strano o misterioso, qua. Ne va uguale della vita di un buddha ascendente. Semplice, diretto, franco, ordinario. Ma tanto piace alla gente darsi immagini o idoli da venerare, piuttosto che proseguire la propria pratica, che spesso puo' sembrare noioso o ordinaria.

    Questa storia è un secchio di acqua fredda per chi si è lasciato intossicare da una visione romantica dello Zen.

     
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    Questa storia è un secchio di acqua fredda per chi si è lasciato intossicare da una visione romantica dello Zen

    ..e non solo dello Zen.
    Credo che uno degli ostacoli più 'duri'
    sia proprio quello di riuscire ad eliminare
    le 'proprie visioni' dalla semplice realtà.

    Grazie ancora per testi.

    ;)

    :namastè*:
     
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  10. yudo
     
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    TREDICI

    Un giorno, un monaco chiese al maestro Tosu Daiso dal distritto di Jo : Com'è quando la luna non è ancora tonda?
    Maestro Tosu rispose: La luna ingioa due o tre lune.
    Il monaco disse : Cosa c'è da dire quando diventa tonda?
    Maestro Tosu rispose : Ne vomita setto o otto.

    Commento di maestro Nishijima
    QUOTE
    Questo kôan tratta della relazione tra i concetti e le cose concrete. Prima di vedere la differenza tra i concetti e la realtà, noi tendiamo a credere che i concetti sono loro stessi reali. Una volta osservata questa differenza, possiamo accettare numerose rappresentazioni concettuali di una realtà che va al di là di ogni rappresentazione.

    Com'è quando la luna non è ancora tonda? La luna piena spesso ha simbolizzato lo stato di risveglio o la realtà ultima. Il maestro Tosu Daido (Tosu Jisai nel testo) dice che la luna del concetto "luna" ne ingoia due o tre reali, cioè a dire che il concetto non è la medesima cosa della vera luna. La complessità e la natura in perpetuo mutamento della luna reale viene semplificata ed offuscata dal concetto "luna".

    E cosa succede quando la luna diventa tonda -- una volta che si sia direttamente fatta l'esperienza della realtà? Allora, la luna risputa parecchi concetti diversi che avevano tentato di descrivere taluni dei suoi aspetti. Questa, nella totalità del suo carattere variabile, cangiando istante dopo istante, trascenda le sette o otto "lune" concettuali.

     
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  11. yudo
     
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    Quattordici

    Un giorno, il maestro Kyozan Ejaku chiese al maestro Isan del distritto di Tan: Quando ci sono centinaie, migliai e decine di migliai di eventi che mi capitano addosso tutti allo stesso momento, cosa posso fare?

    Isan Reiyu: Il blu è un altro colore del giallo. Cio' che è lungo è diverso di cio' che è corto. Ogni essere ha la sua situazione nell'Universo. Non s'interessano di noi.

    Maestro Kyozan si prosterno' davanti al maestro.

    Commento del vecchio Gudo
    QUOTE
    Kyozan Ejaku chiede qual'è l'atteggiamento da adoperare quando innumerevoli problemi o eventi ci cascano sopra tutt'assieme. Questa domanda indica un atteggiamento troppo soggettivo, di modo che il maestro Isan ci risponde in modo oggettivo.

    Il blu è diverso dal giallo, il lungo dal corto. Questi sono fatti oggettivi nel mondo reale. Non hanno nessun interesse ad aiutarci né a farci del torto. Chi più è, ogni cosa ed ogni fenomeno hanno il loro posto o situazione nell'Universo.

    E' inutile preoccuparci per gli eventi del mondo. Dobbiamo occuparcene in modo realista quando accaddono. Se si tratta il problema al quale siamo confrontati all'istante, diventa possibile occuparci dal problema seguente. Cosi' si puo' risolverli tutti uno per uno. Non c'è altro modo.

     
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  12. yudo
     
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    QUINDICI

    Un giorno, un monaco chiese al maestro Gensa Shibi dal distritto di Fuku: Ho sentito dire che Lei dice che l'Universo in toto nelle dieci direzioni è solo una perla brillante. Come lo debbono capire gli studenti del buddhismo?

    Gensa Shibi gli rispose: L'Universo in toto nelle dieci direzioni è solo una perla brillante. Cosa serve capire questo con l'intelletto?

    Il giorno successivo, Gensa Shibi chiese a sua volta al monaco: L'Universo in toto nelle dieci direzioni è solo una perla brillante. Come lo capite voi?

    Il monaco rispose: L'Universo in toto nelle dieci direzioni è solo una perla brillante. Cosa serve capire questo con l'intelletto?

    Gensa Shibi gli disse: Io vedo che voi vi siete dibattito come un demonio in una spelonca su di una montagna nera.

    Commento del vecchio Gudo
    QUOTE
    La prima domanda del monaco suggerisce l'idea che egli stava tentando di capire le parole del maestro Gensa Shibi in modo intellettuale. Nondimeno, quelle parole non provvenivano dall'intelletto, ma bensì dalla sua lunga esperienza della pratica buddhista. Esse erano l'espressione della realtà che trascende l'intelletto. E' per ciò che dice che è inutile tentare di capirle in quel modo.

    Il giorno successivo, il mqestro Gensa fa la medesima domanda al monaco. Lì si tratta di un test per portare il monaco ad espriemere la sua propria natura. Esso risponde col riprendere le parole del maestro, che rigetta totalmente tale risposta imitativa; Dice quindi che il monaco somiglia ad un demone dibattendosi in una spelonca su di una montagna nera; cioè che è preso nella trappola del mondo scuro dell'intelletto e che è ben lungi dal vedere la perla brillante.

    Il monaco riconosce che questa verità non è solo affare dell'intelletto. Ma quel riconoscimento è di per sé un affare dell' intelletto. Non ne ha ottenuto un intendimento intuitivo. Quello non ha penetrato le sue ossa ed il suo midollo. Ha fatto sforzi, ma si sta lo stesso ancora dibattendo nell'oscurità.



    Edited by yudo - 12/3/2010, 14:53
     
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  13. yudo
     
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    SEDICI

    Un giorno, un monaco chiese al maestro Chosa Keishin di Konan: Come possiamo fare sicché le montagne, i fiumi e la terra facciano solo uno con noi?

    Chosa Keishin rispose: Come possiamo fare per essere solo uno con le montagne, i fiumi e la terra?

    Commento del vecchio Gudo:
    QUOTE
    La domanda del monaco è fatta dal punto di vista oggettivo, poiché tiene il soggettivo (noi) per primario. Egli chied come il mondo oggettivo (le montagne, ecc.) può essere messo sotto controllo del soggettivo.

    Il maestro Chosa prende il punto di visto opposto; Egli prende il mondo oggettivo per primario e chiede come il mondo soggettivo (noi stessi) può venir portato ad aggiustarsi a quello oggettivo.

    Tutte e due le domande possono essere capite in modo retorico. Come fare sicché le montagne, i fiumi e la terra siano solo una cosa sola con noi? Ed anche. Come fare sicché noi facciamo uno solo con le montagne, i fiumi e la terra? Montagne, fiumi e terra sono nient'altro che montagne, fiumi e terra. Noi siamo solo noi stessi. Possiamo quindi lasciare il mondo oggettivo e noi essere ciò che sono, niente più. Non ci è necessario identificarci alle montagne, ai fiumi e alla terra.

    Da un terzo punto di vista, quando noi agiamo, le montagne, i fiumi e la terra fanno nell'assoluto uno solo con noi; Nell'azione, trascendiamo la divisione tra i mondi soggettivo ed oggettivo. Questo è spesso stato descritto nel Buddhismo come stato di unità tra noi ed il mondo.

    Ma poiché, nello stato dell'azione, noi già famo solo uno con le montagne ed i fiumi, perché dovremmo <i>agire<:i> per poter essere uno con loro?

     
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  14. pepper_sauce
     
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    Grazie Yudo! :namastè*: :)
     
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    CITAZIONE (yudo @ 12/9/2009, 09:57)
    UNO

    Citato:

    Un giorno, il maestro Sekito Kisen si recò dal maestro Seigen Gyoshi del tempio Jogo, sul monte Seigen, nel distritto di Ki. Maestro Seigen gli chiese:
    Onde viene lei?

    Maestro Sekito rispose: Dal monte Sokei.

    Maestro Seigen (impugnando lo scacciamosche) disse: C'è qualcosa del genere al monte Sokei?

    Maestro Sekito rispose: No, non al monte Sokei, e nemmeno in India.

    Maestro Seigen disse: Lei non ci è mai stato in India, vero?

    Maestro Sekito rispose: Se andassi in Indiam troverei uno scacciamosche proprio come il Suoi

    Maestro Seigen disse: Lei non è mai stato in India, dovrebbe quindi dire qualcosa in corrispondenza con la Sua propria esperienza.

    Maestro Sekito rispose: Mi potrebbe il maestro esprimerlo in due o tre parole concrette, invece di lasciare tutto a me, Kisen?

    Maestro Seigen disse: Non è che non lo voglio, ma se lo facessi, Lei non sarebbe in grado di toccare il bersaglio da Se stesso in futuro.

    CITAZIONE
    COMMENTO di Gudo Nishijima

    Maestro Seigen Gyoshi era discepolo del maestro Daikan Eno, il sesto patriarca di Cina, e Sekito Kisen doveva diventare il suo discepolo, in seguito. Sekito arrivava dal monte Sokei dove visse il maestro Daikan sino alla sua morte.Maestro Seigen era prode assai delle sue conferenze sur Dharma em agitando il hossu, egli chiede a Sekito se le conferenze del monte Sokei spiegavano così bene il Buddhismo dalle sue. Il hossu, uno scacciamosche ornementale che hanno i maestri buddhisti, è simbolo della verità buddhista.
    Nella sua risposta, maestro Sekito utilizza il hossu a mo' di simbolo concreto degli insegnamenti del maestro Seigen. Egli dice che non ci sono in nessuno luogo insegnamenti che fossero del tutto simili a quelli di Seigen, né d'onde viene, né in India.
    Maestro Seigen fa osservare che Sekito non poteva conoscere l'India, visto che non vi era mai stato, ma Sekito ritroce che è possibile trovare gli stessi insegnamenti in India, patria del Buddha.
    Nondimeno, maestro Seigen trovava che tale risposta mancasse di realismo e dice che non si dovrebbe parlare tranne che a partire dalla propria esperienza personale.
    Maestro Sekito si sentì un po' senza parola, nel riguardo e chiese al maestro di aiutarlo.
    Finalmente, maestro Seigen Gyoshi gli dice che per lui sarebbe facile, ma che farlo privarebbe Sekito dall'opportunità dell'esprimere la sua propria verità.

    La struttura della storia contiene quattro punti di vista diversi; Il primo è il punto di vista idealista o intellettuale, rappresentato dalla domanda di Seigen sulle conferenze, simboleggiate dallo scaccia mosche.
    Dal secondo, Sekito considera le cose a partire da un punto di vista materialista: il hossu --- il hossu fisico e reale retto dal maestro Seigen --- non esiste senon a quel esatto punto, non in India né a Sokei.
    Maestro Seigen non è soddisfatto e vuole ancora sentire qualcosa di più realista. Egli sa già che Sekito non era mai stato in India e gli chiede dunque di parlare con la sua esperienza, non a partire da specolazioni. Dal punto di vista ultimo, maestro Seigen sapeva che Sekito dovrebbe imparare come esprimere la propria verità. E quello è una cosa che nessuno potesse fare al suo posto.

    Il Maestro Ryutan ricevette una visita da un erudito che conosceva a memoria tutti i Sutra e i Sastra, costui si fermò a lungo a parlare con lui e visto che la sua conoscenza libresca non poteva certo competere con la saggezza del Maestro, si compiacque con lui.
    Il Maestro ad un certo punto disse: si è fatto tardi, faresti meglio ad andare.
    L'erudito si accomiatò da lui ma giunto alla porta disse: Maestro fuori è buio, datemi una candela affinché possa rischiarare il mio cammino.
    Il maestro gli diede la candela, ma nello stesso momento che la candela cambiò di mano il maestro la spense con un soffio.

    L'erudito chiedendo la candela intendeva dire: pensavo di sapere tutto, ma sentendovi parlare ho compreso che la mia era una conoscenza solo libresca, datemi degli insegnamenti che possano rischiararmi nel cammino della mia vita!
    Il maestro spegnendo la candela appena passata di mano intendeva dire che la sua conoscenza una volta passata di mano sarebbe stata inutile per il nuovo possessore e che ognuno di noi deve crearsela e sperimentarla da sé!

    Le due o tre parole concrete richieste dal maestro Sekito avrebbero fatto la stessa fine della candela del maestro Ryutan.
    Questo intendeva dire il maestro Seigen.
     
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