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CITAZIONE (Epi @ 9/6/2021, 14:47) Sun, avevo letto tra le notifiche il messaggio che poi hai cancellato... una citazione di Guy Debord. Il profetico Debord che cercava l'erranza psicogeograficamente panteistica per distogliere lo sguardo dalla onnipervasiva società dello spettacolo, quella che buddhisticamente ha messo in scena l'impermanenza... mediatica Wow Epi Grazie, quella Q infatti insospettiva.
Eccolo Debord La teoria della deriva: www.iuav.it/Ateneo1/docenti/docenti...lla-deriva1.pdf
https://vimeo.com/12888439
CITAZIONE Gli anni '90 bolognesi di Luther Blisset Non è un caso. Quelle storie italiane svoltesi negli anni Novanta – ma che non sono solo degli anni Novanta – sono diramazioni della genealogia tematica di QAnon.
CITAZIONE ma lo scrittore italiano smentì di essere tra coloro che hanno utilizzato il nome multiplo pure ad Eco l'accusa di multinick Quando in realtà si tratta di un multiple-use name Inventato da lui?
«Un mix straordinario tra Internet e i Templari»
«Un mix straordinario tra Internet e i Templari» Un nome improprio. Luther Blissett Project. Finalità delle beffe mediatiche di Luther Blissett. Il nome multiplo di Umberto Eco. Un altro «Q Anon». Una lettera da Rotterdam. L’inizio della ricerca. Il Pendolo non fa che tornare (del resto, è quel che fanno i pendoli). Cultura pop, controcultura, sottoculture: quella certa aria di famiglia. L’anello mancante. Fantasie di complotto. Me n’ero occupato a fondo negli anni Novanta, quando facevo parte del Luther Blissett Project, un network di agitazione culturale e politica e al tempo stesso un gioco di ruolo in rete e dal vivo. A partire dal 1994 attivisti, artisti e agitatori culturali di vari paesi avevano adottato il nome «Luther Blissett» per firmare opere, performance e azioni di vario genere. Come aveva scritto il ricercatore Marco Deseriis,24 nel giro di pochi anni il nome multi-uso era stato usato da centinaia di individui in diverse parti del mondo per rivendicare beffe mediatiche, vendere manoscritti apocrifi a case editrici, inventare artisti e opere d’arte, denunciare cacce alle streghe, firmare romanzi di successo, condurre esperimenti psicogeografici – oppure, semplicemente, come pseudonimo su internet. Deseriis aveva scritto la migliore ricostruzione e analisi del Lbp. Nel suo libro Improper Names: Collective Pseudonyms from the Luddites to Anonymous spiegava che Luther Blissett era più di un semplice pseudonimo: era un multiple-use name e dunque – felice creazione concettuale – un nome improprio. Al contrario di un nome proprio, la cui funzione principale è fissare un referente [...], un nome improprio è esplicitamente costruito per offuscare sia l’identità sia il numero dei suoi referenti. Da un lato, il nome improprio mantiene l’effetto-scudo di qualunque pseudonimo, cioè la dichiarata funzione di proteggere un individuo sostituendo il suo nome legale [...]. Dall’altro lato, un nome improprio funziona come una molteplicità aperta che non può essere sottratta alla sua ambiguità né ricondotta a un chiaro e unico referente. Nel ricostruire la genealogia di Blissett Deseriis risaliva a precedenti di secoli prima, sparsi tra il tardo medioevo e la prima rivoluzione industriale. Erano nomi impropri apparsi durante sollevazioni contadine e sommosse urbane, come Jacques Bonhomme (tredicesimo secolo), Armer Konrad (sedicesimo secolo), Ned Ludd e Captain Swing (diciannovesimo secolo). Dopodiché analizzava esempi di multiple-use name nelle avanguardie artistiche del secondo Novecento, come Monty Cantsin e Karen Eliot, i più vicini antecedenti di Luther Blissett. La carrellata proseguiva oltre quest’ultimo arrivando fino al 4chan degli albori, il 4chan prima del Gamergate, quando ancora non era il covo dell’alt-right. Proprio su 4chan era nata la soggettività hacker collettiva nota come Anonymous. L’intento di chi aveva lanciato il nome Luther Blissett era costruire, menzione dopo menzione, la reputazione di un provocatore immaginario, un personaggio mitico che fosse un po’ bandito sociale – come Robin Hood, Dick Turpin o il brasiliano Lampião – e molto trickster. Figura ricorrente nella mitologia e nel folklore, il trickster (il briccone, l’imbroglione) stupiva e spiazzava il prossimo con scherzi, travestimenti e trasformazioni, per svelare gli inganni e le ipocrisie di cui era fatta la “normalità” e far vedere il mondo con altri occhi. Esempi di trickster erano Anansi, l’uomo-ragno protagonista di favole e leggende dell’Africa occidentale, e Till Eulenspiegel, irriverente personaggio del folklore bassotedesco e olandese... ma anche il Gatto del Cheshire di Alice nel paese delle meraviglie. Per il nuovo trickster si era scelto – il perché non s’era mai capito – il nome di un ex calciatore inglese di origine giamaicana. Luther Loide Blissett era stato attaccante del Watford Fc, team di proprietà del cantante Elton John, e meteora della Serie A italiana nella stagione 1983-84. Comprato dal Milan pre berlusconiano, aveva sofferto la rude marcatura dei difensori nostrani e subìto gli insulti razzisti delle curve avversarie. Non era mai riuscito ad ambientarsi. Bilancio: soltanto cinque gol e diverse occasioni sprecate, anche a porta vuota. Si era persino sparsa la leggenda che sbagliare a porta vuota fosse una sua specialità, e che in Inghilterra lo chiamassero «Luther Missit», Luther Mancala. A fine campionato era tornato oltremanica. Dieci anni dopo i tifosi italiani lo ricordavano solo come un brocco, era il “bidone” per antonomasia... finché il suo nome non era tornato a circolare, stavolta non nelle cronache sportive ma riferito a tutt’altro. Luther Blissett era apparso in diversi paesi ma il fenomeno si era radicato soprattutto in Italia, grazie alla rete di collettivi che formavano il Luther Blissett Project (Lbp). I due gruppi più numerosi, chiamati «colonne», erano a Bologna e a Roma. Il progetto era durato cinque anni, dall’autunno del 1994 al 31 dicembre 1999. In breve tempo il Lbp aveva fatto scalpore grazie a beffe molto elaborate ai danni di stampa e tv. Era soltanto una tra le molte pratiche di Blissett, ma era quella che più attirava l’attenzione. Nel dicembre 1994 una troupe del programma Rai Chi l’ha visto? aveva cercato, tra Friuli-Venezia Giulia e Regno Unito, l’illusionista e performance artist inglese Harry Kipper, scomparso mentre girava l’Europa in bicicletta per tracciare sulla mappa la parola ART. Era svanito al confine tra Italia e Slovenia, lungo l’asta verticale della T. La famiglia e gli amici lo cercavano disperati. Storia affascinante, ma falsa in ogni dettaglio. Lo scomparso non era mai esistito. Nell’ottobre 1995 il quotidiano bolognese Il Resto del Carlino aveva ricevuto la lettera anonima – o meglio, firmata «L. B.» – di una prostituta sieropositiva. L. B. aveva contratto l’Hiv a causa di una trasfusione di sangue infetto. Nella lettera dichiarava di volersi vendicare del sistema, per questo forava i profilattici che usava coi clienti. Tra i redattori del Carlino doveva essersi sparso il terrore. Il giornale era uscito con ben tre pagine dedicate al “caso”, dense di sproloqui, compresa un’intervista a un grafologo che analizzava la lettera di L. B... senza ricavarne granché di utile, dato che l’avevamo scritta a macchina. Il giorno dopo Luther Blissett aveva rivendicato il falso. Nel 1996-1997 il Lbp aveva dispiegato una vasta campagna di beffe per contrastare il panico morale su pedofilia e satanismo. Un «moral panic» – concetto introdotto negli anni Settanta dal sociologo sudafricano Stanley Cohen – era un’ondata di paura aggressiva che investiva la società quando le veniva additato un presunto nemico, una minaccia ai suoi valori e alla sua coesione. Nel giro di roulette del 1996 la pallina era finita nella casella del «Pedofilo». Il panico sulla pedofilia – e sul satanismo pedofilo – aveva investito l’Italia, un tornado nel quale roteavano paranoie, leggende urbane, accuse false, titoli gridati, sentenze sommarie, reputazioni distrutte. Per tutta risposta Blissett aveva inventato e fatto agire per mesi, nel Lazio e in Emilia, un network satanico dedito a stupri rituali e, simultaneamente, un gruppo catto-fascista di cacciatori di satanisti. Le imprese di entrambi i gruppi erano più volte finite sui giornali e in tv. La macchinazione e il relativo disvelamento erano arrivati fino ai tg nazionali di prima serata. Anche tramite quelle beffe avevamo portato avanti una controinchiesta su un’orrida vicenda bolognese. Un dispositivo mediatico-giudiziario fuori controllo aveva trascinato in carcere e messo alla gogna tre innocenti. La storia della “nera” lo avrebbe ricordato come «il caso Bambini di Satana». Blissett aveva aiutato a far assolvere gli imputati, in seguito risarciti dallo stato per l’ingiusta detenzione. Nel biennio 1998-1999 il mondo dell’arte si era appassionato alle sconvolgenti opere e alla vita turbolenta dell’artista serbo Darko Maver. Le sue sculture riproducevano in modo iperrealistico cadaveri mutilati e semiputrefatti, per questo aveva subito ostracismi, censure, repressione. Tanto che era in carcere a Podgorica. Avevamo scritto comunicati di solidarietà, allestito mostre con riproduzioni fotografiche delle sue opere e ottenuto recensioni sulle principali riviste del settore. Poi avevamo annunciato la morte di Darko: aveva fatto la fine del topo, in galera, durante i bombardamenti Nato del 29 aprile 1999. O forse i suoi carcerieri avevano approfittato del caos per farlo fuori? Nella foto che circolava il suo corpo, steso sul pavimento della cella, sembrava integro, non certo recuperato da sotto pesanti macerie. Illustri critici d’arte italiani lo avevano ricordato, sostenendo di averlo conosciuto bene. La rivelazione che artista e opere erano nostre invenzioni li aveva lasciati attoniti. Per tutto il 1999, anno di vigilia del Grande giubileo, pellegrine e pellegrini in cerca di informazioni avevano visitato vaticano.org, sito quasi identico a quello della Santa sede – il cui dominio era vatican.va – ma pieno di proclami eretici, concetti teologici di dubbia provenienza, errori grossolani e canzoni di Max Pezzali interpolate dentro discorsi di Giovanni Paolo II. Nel calendario degli eventi erano annunciati il «Giubileo degli artisti (con il critico d’arte Achille Bonito Oliva)», il «Giubileo della vita consacrata (preghiera per il dottor Kevorkian)»25 e l’«Estrazione dei numeri della Sacra ruota». C’era anche un modulo per inviare un’email al papa, con «risposta garantita in ventiquattr’ore». E in effetti rispondevamo. Era stata l’ultima beffa rivendicata dal Lbp. Il 31 dicembre 1999 avevamo commesso un “suicidio” simbolico, annunciato come «il Seppuku». Da allora nessuno di noi aveva più adottato il nome Luther Blissett. Nelle rievocazioni del Lbp era frequente un malinteso: si diceva che le nostre erano state fake news. No. Quelle di Blissett erano storie complesse, concepite per diventare ambienti da abitare a lungo, anche per anni. Mentre le abitavamo ne esploravamo e sfruttavamo le ripercussioni sul sistema dei media, finché non decidevamo che era tempo di giungere al culmine: l’exploit finale, la rivelazione, la spiegazione di come avevamo lavorato. E i falsi di Blissett avevano fini precisi. Un fine controinformativo: modificare lo sguardo di una parte di opinione pubblica su un dato tema e problema, facendo sorgere dubbi e domande sul modo in cui i media ne parlavano. Un fine pedagogico: noi stessi facevamo “ingegneria inversa”, non limitandoci a svelare e rivendicare i falsi, ma smontandoli, esponendo le nostre tattiche, spiegando quali automatismi culturali e storture del sistema dell’informazione avevamo sfruttato per diffonderli. La spiegazione della beffa era più importante della beffa stessa. Un fine mitopoietico: ogni rivendicazione faceva crescere la reputazione di Luther Blissett, rendendo l’adozione del nome improprio più interessante, più accattivante e carica di affettività. Usando il nome ci si sentiva parte di una comunità aperta, si condividevano un certo stile e un certo immaginario. Era la nostra accezione del termine «mitopoesi»: creare narrazioni condivise che stimolassero l’immaginazione collettiva e la cooperazione. Ultimo ma non ultimo, un fine ludico: la reputazione di Blissett era composta da innumerevoli tasselli sparsi in vari media ed era in costante evoluzione, grazie a sempre nuove storie che confluivano l’una nell’altra. Il gioco consisteva nel crearle e raccontarle. Si lavorava su canovacci impostati collettivamente, che prevedevano l’improvvisazione e andavano in scena in rete e nel mondo reale. «Luther Blissett» era un personaggio che noi interpretavamo, nell’infosfera ma anche coi corpi, durante le performances, le azioni in strada, le derive psicogeografiche. Luther Blissett, insomma, aveva caratteristiche dei giochi di realtà alternativa (Arg) e dei giochi di ruolo dal vivo (Larp). Gli Arg erano un genere che coniugava gioco on line e avventura di gruppo, per il quale già negli anni Novanta cominciava a esistere un’industria specializzata. Un Arg conteneva indizi e misteri che i giocatori risolvevano trovando informazioni fuori dal gioco e condividendole coi loro pari. Spesso gli Arg non avevano un finale già scritto. E come indicava il nome, i loro intrecci costituivano realtà alternative che si estendevano alle vite quotidiane dei giocatori e, in un certo senso, le infondevano di magia. Quanto ai giochi di ruolo dal vivo, un Larp era uno spazio in cui più persone raccontano una storia interpretandola. Secondo Jonathan Gottschall è il «facciamo finta che» degli adulti. È un incontro tra persone che, attraverso i loro personaggi, si relazionano l’una con l’altra lasciando emergere una storia [...] ogni partecipante veste i panni di un personaggio e vive questo suo alter ego per l’intera durata del gioco. Mangia, dorme e parla rispettando il proprio ruolo e l’ambientazione, ma non c’è un pubblico, né battute scritte [...]. E la storia cambia a seconda di come i partecipanti interagiscono tra loro e con gli elementi narrativi.26 Nel Lbp vigevano regole non scritte ma comprese da tutti: il nome non poteva essere adottato da fascisti et similia, né utilizzato in modi incompatibili con la filosofia del progetto. Nelle rare occasioni in cui era accaduto, l’intero network aveva preso le distanze con nettezza e l’equivoco si era dissipato. Ad aiutarci a mantenere lo stile complessivo era l’interazione tra due accezioni di Luther Blissett: una «in senso lato» e una «in senso stretto». C’era Luther Blissett come nome improprio vagante nel mondo, e c’era il Luther Blissett Project. In astratto, chiunque poteva usare il nome, nel senso che chiunque sarebbe stato in grado di farlo, non avremmo avuto modo di impedirlo; ma il Lbp lavorava in modo costante sul nome, sulla sua semantica, sull’immaginario che evocava, scoraggiando appropriazioni indebite e recuperi commerciali. C’era voluto molto rigore, per mantenere il progetto fluido. Le fantasie di complotto le avevamo studiate, le avevamo smontate e ne avevamo inventate. Per lanciare il Lbp avevamo saccheggiato testi esoterici e cospirazionisti, riadattando termini e frasi, adeguando al nostro scopo quegli stratagemmi retorici. In fondo cos’era il nostro piano quinquennale se non un complotto, per quanto sui generis? Si trattava di stimolare le giuste fantasie al riguardo. Nel 1995 era uscito il nostro libro Mind Invaders, 27 esito di un vorticoso montaggio collettivo. Mind Invaders era una sorta di manuale su come partecipare al gioco e culminava in un capitolo “operativo” intitolato Ratfucking. Un invito alla cospirazione, con consigli pratici su come diffondere il mito di Blissett: Cercare di compiere il “bel gesto”, l’atto puro di sabotaggio [...] non ha senso: occorre sempre progettare eventi-ambienti, azioni che siano precedute da notizie vere/false di cui nessuno – nemmeno ogni cospiratore singolarmente preso – possieda il quadro globale, e che non smettano di circolare neppure dopo la “detonazione” e il conseguente disvelamento: il “clima” deve essere creato prima dell’azione ed essere modificato retroattivamente da quest’ultima, poi sedimentarsi nel sottobosco degli archetipi, diventare terreno fertile per nuove azioni che in una fase successiva del progetto possano essere linkate tra loro in mille modi diversi. «Un mix straordinario tra Internet e i Templari». Così definiva il Luther Blissett Project un titolo dell’Espresso (n. 28, anno XLI, 14 luglio 1995). La cospirazione era un’allegoria operativa, serviva a mettere in moto energie. Alludendo a misteriose genealogie, inventando ascendenze, giocando coi sedimenti di altre reputazioni, avevamo circonfuso il nome improprio di un alone che non solo affascinava, ma spronava ad agire. Si inseriva in quella strategia l’unica beffa che, più di vent’anni dopo, restava irrivendicata: la diffusione di un pamphlet di estrema destra intitolato Il nome multiplo di Umberto Eco. Un testo sgangherato e, soprattutto, falso. Firmato con la sigla Kma,28 nel 1997 Il nome multiplo di Umberto Eco era stato spedito in decine di copie a giornalisti e politici, e pubblicato sulla pagina web di un certo «Andrea Ridolfi», con tutta evidenza un cattofascista. La tesi di fondo era questa: Luther Blissett come «neoteoria del complotto, data in pasto alle masse ma guidata da dietro le quinte, controllandone i contenuti e la popolarità» per nascondere un complotto reale, quello della «sinistra» in tutte le sue gradazioni, dal più istituzionale centrosinistra – all’epoca raggruppato nella coalizione detta «l’Ulivo» – fino ai centri sociali occupati. Il fine del complotto? Impadronirsi della comunicazione, diffondere «materialismo storico e laicismo di basso rango», incentivare «tendenze inumane come rave, impasticcamenti e piercing», «ghettizza[re] la cultura religiosa e tradizionale e la libertà di educazione e insegnamento», ecc. Blissett, scriveva Kma, era l’incarnazione di una sinistra nuova, postmoderna, «dedicata a forme poco democratiche di militanza, come il segreto, la cospirazione anonima e le beffe diffamatorie, sfruttando la grande forza di pervasione della cultura di massa e dei mezzi di comunicazione». E chi erano le menti? L’autore del pamphlet additava una conventicola di semiologi e massmediologi, tutti docenti all’Università di Bologna. Ne facevano parte Roberto Grandi, Omar Calabrese e, nel ruolo di eminenza grigia, il più famoso di tutti, Umberto Eco. La genesi del complotto si poteva ricostruire leggendo i libri di Eco, tanto i romanzi – soprattutto Il pendolo di Foucault – quanto i saggi, da Apocalittici e integrati (1964) fino a La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea (1993). Le pezze d’appoggio? Tutte più o meno come questa: Nella cabala la tecnica del notariqon consiste nel ricavare i significati secondi e metafisici di una parola usandone le lettere come iniziali di altre parole [...]. In Alla ricerca della lingua perfetta [sic] (1993), pag. 33: nella cabala «l’ultima lettera di LB (cuore) è la prima di Binah (intelligenza)»! [...] Luther Blissett = cuore! E ormai non ci sorprende più a scoprire che il simbolo del Multiplo è proprio un cuore, come si può appurare dalle sue prime pubblicazioni, quando ancora il fenomeno era conosciuto pochissimo. Non a caso, diceva il pamphlet, Luther Blissett era apparso per la prima volta nella tarda estate del 1994. Pochi mesi prima il centrodestra di Silvio Berlusconi aveva vinto le elezioni. La sinistra aveva spiegato la propria sconfitta con il mancato controllo delle televisioni, così Eco e la sua cerchia di semiologi avevano deciso di sperimentare «nuovi modi di persuasione occulta». Affermiamo, in breve, che Luther Blissett è un parto della mente malata e nefasta di Umberto Eco: se non ne è l’artefice diretto, sicuramente ne è il primo responsabile e ispiratore. Con questo non si vuol dire che dietro le attuali azioni di Luther Blissett ci sia Eco: sarebbe pura mitomania complottistica. Il progetto è stato congegnato per vivere di vita propria, una sorta di Golem che prosegue autonomamente contagiando gli entusiasmi e gli animi dei giovani come una peste. Proprio mentre veniva diffuso il pamphlet, il Lbp stava usando il proprio sapere “cospirativo” per disarticolare la forma mentis cospirazionista. Quand’era scoppiato il caso Bambini di Satana ci eravamo chiesti come intervenire a modo nostro, come fare inchiesta in modo nuovo. Avevamo fatto esperimenti e ottenuto risultati... e anche grane giudiziarie. Una storia che dovevo rivisitare, rileggere alla luce di QAnon. Mentre il Lbp si dedicava a quella campagna, quattro membri della colonna bolognese, incluso il sottoscritto, stavano scrivendo un romanzo. Il libro era uscito nel marzo 1999 per la casa editrice Einaudi. Aveva un titolo brevissimo: Q. Debitamente firmato «Luther Blissett», Q si svolgeva tra il 1517, anno in cui Martin Lutero aveva presentato le sue 95 tesi, e il 1555, anno della Pace di Augusta che aveva posto fine a un trentennio di guerre di religione. La storia era un lungo duello a distanza tra un eretico dai molti nomi e un agente provocatore papista. Quest’ultimo infiltrava i movimenti protestanti radicali dell’epoca e diffondeva notizie false mediante lettere firmate col nome biblico Qoèlet, in ebraico «il radunante». Era il titolo del libro dell’Antico testamento noto anche come Ecclesiaste. Nei rapporti al suo superiore Qoèlet si firmava solo con l’iniziale Q. Il romanzo, dunque, prendeva il nome dall’antagonista, dal “cattivo”. Nelle sue missive Q alludeva a una propria vicinanza al potere, a informazioni preziose alle quali poteva accedere: «Già ho avuto modo di illustrarVi come le mie orecchie avrebbero potuto aiutarVi, data la loro prossimità a certe porte che celano intrighi», scriveva al predicatore Thomas Müntzer, guida spirituale dell’insurrezione contadina scoppiata in Svevia nel 1524. «Non temete lo scontro aperto», diceva Q a Müntzer: «è proprio in quello che il Dio degli eletti mostrerà di esservi a fianco. Non indugiate: l’Onnipotente vuole trionfare grazie a Voi. State saldo, dunque, e il Signore Vi illumini: il Regno di Dio in terra è prossimo». Q, il radunante, convinceva gli insorti a radunarsi a Frankenhausen, in Turingia, dove avrebbero combattuto l’ultima, grande battaglia, per liberare la terra da principi e vescovi. L’armata contadina, caduta in una trappola mortale, veniva sterminata dai lanzichenecchi. Ma altre rivolte sarebbero seguite: l’anonimo protagonista del romanzo vi avrebbe preso parte, e Q sarebbe stato lì a sabotarle e a fare rapporto al suo capo. Cioè all’arcivescovo Giovanni Pietro Carafa, che nel corso del libro diventava cardinale, capo dell’inquisizione romana e infine papa col nome di Paolo IV. La carriera di Q seguiva la sua: dopo un’ultima missione nell’Europa del nord, la più pericolosa, l’agente era chiamato in Italia. Più vicino al potere, ma in posizione defilata. «Nell’affresco sono una delle figure di sfondo», diceva la prima riga del suo diario. Era il 1545. L’Italia diveniva il luogo della resa dei conti tra i due avversari. Prima ancora che il libro uscisse si era diffusa una diceria, forse influenzata dal pamphlet di due anni prima. Ecco come la riportava un articolo di Panorama del 25 febbraio 1999: Mistero fitto e spruzzi di veleno avvolgono Q, colossale romanzo storico e d’immaginazione firmato da Luther Blissett in uscita in primavera per la collana Stile libero Einaudi. Settecento pagine di spy story ambientata nel XVI secolo [...] una sorta di Nome della rosa in versione underground con un io narrante di forte temperamento ma senza nome [...]. Impossibile sapere di più: in sintonia con il progetto Luther Blissett, i veri autori stanno nell’ombra e l’editore non si sbottona. Fedeli alla linea anticopyright, gli adepti di Blissett si divertono a fare rimbalzare ipotesi demenziali sul ponderoso tomo: dietro l’identità multipla ci sarebbe un gruppo di goliardi o un prelato eretico. E c’è chi azzarda il nome dello stesso Umberto Eco. La diceria si era dissolta poco dopo, quando avevamo rilasciato interviste sul libro, ma in un modo o nell’altro, anche molti anni dopo, Eco continuava ad aleggiare. Di Q erano state date molte interpretazioni. Del resto ci avevamo messo dentro di tutto, compresi riferimenti allegorici al Lbp. Quello del romanzo era un mondo di identità cangianti, di nomi fluttuanti, di sotterfugi e trucchi, di guerriglia comunicativa, di complotti veri e fantasticati. Mentre terminava il quinquennio di Blissett e noi autori di Q diventavamo il collettivo Wu Ming, il romanzo veniva tradotto e pubblicato in quasi tutta l’Europa e in buona parte delle Americhe, in Russia, in Turchia, in Giappone, in Corea del Sud, in Australia... Negli Stati Uniti era uscito nel 2004. Lì era stato apprezzato in alcune nicchie, ma era rimasto poco noto. Dopo il Lbp non avevo mai smesso di interessarmi di cospirazioni, seppure con discontinuità, o meglio, lavorando «a progetto»: diversi dei romanzi di Wu Ming avevano al loro centro complotti (reali o presunti) e paranoie (talora fondate). Ad esempio, L’Armata dei Sonnambuli, raccontava da angolature sghembe l’Evento che, per reazione, aveva fatto nascere il cospirazionismo moderno: la Rivoluzione Francese. * ** Nella tarda primavera del 2018 avevamo ricevuto un’email: «A quanto pare, qualcuno ha preso il vecchio manuale di gioco di Luther Blissett e ne ha fatto una teoria del complotto per l’alt-right». Seguiva un link a un articolo uscito su Vice a firma di Justin Caffier, intitolato “A Guide to QAnon, the New King of Right-Wing Conspiracy Theories”. Dalla prima apparizione del sedicente Q erano passati solo sette mesi. In Europa se ne erano accorte pochissime persone. Tra queste, il mittente dell’email. E, da quel momento, io. Il mittente era un nostro vecchio sodale dei tempi di Blissett, Florian Cramer, ora professore di cultura visiva alla Willem de Kooning Academy di Rotterdam. Poco dopo si erano fatte vive altre persone, perché la vicenda di QAnon suonava familiare. Almeno, suonava familiare a chi sapeva cos’era stato Luther Blissett e/o aveva letto Q. Non solo QAnon sembrava citare parti della trama del nostro libro, ma riproponeva le fantasticherie su satanismo e pedofilia che ai tempi di Luther Blissett avevamo studiato e contrastato. Avevo udito un richiamo e non potevo non rispondere. La faccenda mi implicava. E così mi ci ero messo di buona lena. In due anni e mezzo avevo letto visto ascoltato moltissimo: decine e decine di libri, centinaia di articoli, discussioni su forum, video, film, canzoni, podcast. Ne avevo discusso all’interno del collettivo e con una vasta moltitudine di persone. Avevo scritto articoli e inchieste, tenuto conferenze in Italia e all’estero, tenuto un corso all’Università di Roma Tor Vergata e cominciato a scrivere un libro, che mi era cresciuto sotto i polpastrelli e sembrava fuggire da ogni parte. Non si trattava solo di narrare una storia, ma di storicizzare una narrazione. E capire come e perché funzionava. Per farlo servivano idee chiare e concetti giusti. Per orientarmi avevo riletto Il pendolo di Foucault. Non pensavo di poter parlare di complotti senza passare per quel libro. Rileggerlo, infatti, mi aveva messo nella giusta direzione. In ogni fase della ricerca tornavo a rovistare in quella cassetta degli utensili, perché ogni nuova scoperta me la riportava alla mente
Edited by Sun Yun - 14/6/2021, 15:55
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