Martiromania facebookiana

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  1. swami chandraramabubu sfigananda
     
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    Ciao Forum,

    Posto appositamente qui, nella sezione modernista come rimando a uno strano fenomeno che per usare un diafano ed evanescente eufemismo a me pare al limite della competenza psichiatrica e nel migliore dei casi un'interpretazione estremizzante di una specifica scuola buddhista. Non riesco a comprendere questo lato dell'animo umano e mi piacerebbe partisse una discussione (che non accadrà dato che il topic lo lancio io).

    Non su un solo gruppo FB ma anche nel reale, trovo la tendenza a identificare il Buddhismo tibetano con una sua parte molto ristretta, ovvero la compassione interpretata come martirio o quasi. Ho perso il conto dei post nello stile "se anche dovessi essere squartata (perché la predominanza statistica femminile è facilmente accertabile) lo accetterò come un sublime insegnamento" e giù nei commenti cori di "ma che prezioso insegnamento", "sublime", "ingravidami" (come dice il meme... [*] questo non è comparso ma manca poco).

    L'ispirazione di questo mio post non è solo la mia intolleranza da sempre per qualsiasi forma di bontà che non sia una scelta da una posizione di forza, ma anche le riflessioni dell'altro topic sui minestroni ecumenici: voglio arrivare al fatto che in questi gruppi se mai si parla di qualcosa che somigli al vero carattere fondante, la vacuità, al massimo si esprime in qualche vago commento sulla mancanza di sé. Mentre come minimo minimo dovrebbe trovare lo stesso spazio. Senza la vacuità tutti i vari minestroni sono praticamente giustificabili almeno nel verso Buddhismo => altro (chiaramente eccettuato Cristianesimo => Buddhismo).

    Ora, la mia lettura è giocoforza personale. Io vedo quando il mio cervello tenta di ingannarmi in questo modo, quando subisco una vessazione; l'abitudine a questo lato malato delle vie spirituali fa affacciare la vocina dell'accettazione, del karma che così si brucerebbe e così via. Ma per fortuna è una sfumatura, perché prende improvvisamente chiarezza in me il fatto che sono meccanismi inventati per non dire - in generale - a sé stessi che non si è capaci di sottrarsi all'evento.

    Tuttavia anche una lettura impersonale, oggettiva mi pare problematica: basta iscriversi a FB per verificare questa vena martiriofila. Va da sé che su 100 potenziali aspiranti bodhisattva, almeno una settantina strillerebbero come aquile se si superasse un limite ragionevole (perdere casa e/o lavoro, per esempio) ma resta il fatto che questi pensieri sono veramente diffusi a macchia d'olio.

    Orbene: secondo voi perché? Cosa spinge ad apprezzare inviti a subire tutto? E non ditemi che il Buddhismo non dice questo perché lo so. Ma mi pare evidente che venga recepito in modo diverso: a mio avviso malato; per qualcuno sarà il segno della grazia dei buddha (paura eh...) ma boh, non so. A voi eventuali riflessioni.

    Per non divagare formulo esplicitamente la mia domanda: cosa spinge ad apprezzare il fatto di subire prepotenze, tanto più che viviamo in un paese dove sono la norma?


    [*] Alla larga i politcally correct, genere che non amo: sicuramente almeno in uno dei meme che ho visto, "ingravidami" lo dice un uomo e a quell'immagine mi riferivo.

    Edited by swami chandraramabubu sfigananda - 2/3/2021, 11:52
     
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    La compassione Buddhista però non è bontà, se ci si limita a quello che nel Mahayana è chiamato Bodhicitta relativo, può sembrare tale. La vera compassione è quella che nel mahayana è chiamato bodhicitta assoluto, è spontanea e sorge dal non reificare cioè dalla contemplazione non duale.
    Il primo oggetto della cmpassione siamo noi stessi, il nostro namarupa e di consgeuenza tutti gli altri perchè quando dimori nell'assenza di grasping sei libero dalla soferenza ma la vedi nel grasping altrui e di testesso...quado ci ricaschi, senza cmpassione non si procede di un cm perchè non riesci a togliere ciò che fa male a te prima di tutto. La funzione della pratica è ripetere e ripetere...e c'è poco da fare anche la via diretta è graduale. Ti stacchi e poi quella, la blutta mente, si riattacca come una ventosa al primo oggetto che passa :lol:
     
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  3. swami chandraramabubu sfigananda
     
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    Certo, ma il mio dilemma era un altro: cosa spinge a ritenere importante la lettura distorta di una certa dottrina, che a sua volta è solo la metà di tutto il ciborio?
     
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    È una semplice reazione all'impotenza. Si finge di volerla per poter difendere l'onore e l'orgoglio, e poter anche - con sdegno nascosto - fingere di non essere intaccati minimamente dalle prepotenze, quasi appartenessero ad un altro. Come a dire: "fai pure, tanto non mi fai nulla".

    E ovviamente il buddhismo si presta a certe mistificazioni(si è prestato storicamente in Tibet o in Giappone, figurarsi a livello personale).
     
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  5. swami chandraramabubu sfigananda
     
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    QUOTE (Sun Yun 2.0 @ 2/3/2021, 13:05) 
    QUOTE (swami chandraramabubu sfigananda @ 2/3/2021, 11:59) 
    Certo, ma il mio dilemma era un altro: cosa spinge a ritenere importante la lettura distorta di una certa dottrina, che a sua volta è solo la metà di tutto il ciborio?

    Pultloppo non si può fare niente.
    Anche le opinioni sono flusso causale e se ti metti in testa di far cambiare opinione dalla tua postazione di casa vai fuori di testa. Avresti più possibilità se il tuo pc fosse un computer quantico (sei anche tu un suprematista quantico? :lol: ) dotato di A.I. di ultima generazione e magari un centinaio di dipendenti che lavorano per te, cosi forse potresti fare delle smagliature al flusso causale.

    Ma io non ho mai detto di voler fare qualcosa. Per esempio ho smesso di partecipare alla discussione con Sealia perché non spetta a me cambiare il prossimo, non lo desidero e non conosco le conseguenze a lunga scadenza delle mie azioni (che so, visualizza Gesù al posto di Chakrasamvara nel proprio mandala e così si illumina, mentre altrimenti a causa mia questo non accadrebbe). Vorrei solo capire qualcosa che eventualmente mi sfugge, di così elementare che ce l'ho sotto il naso ma non lo vedo a causa di qualche pregiudizio inconscio.

    Questo fenomeno di ansia da martirio sta davvero diventando una fetta significativa del Buddhismo tibetano e dato che in passato ho avuto simpatia per il Buddhismo e per la mente umana, mi farebbe piacere comprenderlo.
     
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    Questo fenomeno di ansia da martirio sta davvero diventando una fetta significativa del Buddhismo tibetano

    Ma entro il buddhismo tibetano o tra gli occidentali "convertiti"?

    Perché nel primo caso avrebbe un significato politico preciso.
     
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  7. swami chandraramabubu sfigananda
     
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    QUOTE (Ruhan @ 2/3/2021, 14:53) 
    QUOTE
    Questo fenomeno di ansia da martirio sta davvero diventando una fetta significativa del Buddhismo tibetano

    Ma entro il buddhismo tibetano o tra gli occidentali "convertiti"?

    Perché nel primo caso avrebbe un significato politico preciso.

    Sicuramente tra i convertiti occidentali. In campo tibetano il problema è opposto, il DL frena sempre buona parte della comunità che vorrebbe un'azione più incisiva verso la Cina. Da loro il problema, appunto opposto, assume sicuramente una dimensione politica. Da noi lo vedo essenzialmente l'innesto di un qualche tipo di archetipo della mente umana su problemi di comprensione di base. In questo mi dispiace dirlo, la gerarchia tibetana forse non ha fatto benissimo a spiegare il Buddhismo in modo preciso e perfettamente aderente a come lo vivono loro, perché è inevitabile che in un paese con forte vene cattoliche il baricentro, inteso come sano equilibrio dei fattori, è spostato verso quell'atteggiamento che così tanto disapprovo. Ma qual è l'alternativa? Mettersi lì con "maps of the profound?" E chi ha una preparazione tecnico filosofica per mettersi a studiarlo o anche iniziare dopo essere tornati a casa stanchi dal lavoro? I testi parlano chiarissimo: compassione e comprensione della vacuità non hanno senso uno senza l'altro, però a me sembra prevalere il primo filone. Se fosse davvero così il dilemma si sposterebbe sulla trasmissione: se si fa a modo si recepisce in modo "decentrato"; per poter ottenere il centraggio forse si deve un po' tirare il collo ai testi pur senza snaturarli. E quello è un problema didattico che ovviamente non sono in grado di nemmeno impostare.
     
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    Pensa che nel mio caso - invece - mi rendo conto che dovrei approfondire maggiormente la questione della compassione. Mi concentro molto su quella della vacuità(anatta, anicca, coproduzione condizionata, relazione dialettica tra vuoto e forma, relazione tra vuoto e possibilità della interdipendenza etc etc), ma poco sulla compassione che fino ad ora continuo ad avvertire proprio nella forma buonista di cui parli tu(mio errore eh). Hai testi da consigliarmi a proposito della compassione? Il testo che mi hai passato ne parla(ho controllato e non mi pare nello specifico)?
     
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  9. swami chandraramabubu sfigananda
     
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    Non saprei cosa dire. Limitandomi al contesto tibetano abbozzerei la risposta seguente.

    Approcci ce ne sono tanti, i due che conosco agli estremi sono "Compassion: A Tibetan Analysis, a Buddhist Monastic Textbook" edito dal solito G. Newland che farebbe impallidire mr Spock di Star trek (nel senso che arriva molto vicino a ridurre quello che è alla fine un moto dell'animo a una semplice questione di logica), e all'altro estremo il solito Bodhicharyavatara di Shantideva, dove ci sono passaggi che avrebbero inorridito Agostino e il suo senso morboso del peccato (per capirci, "madre mia quanto sono contrito per il dolore che ti ho arrecato portandomi per nove mesi e tutti i calci che ho dato, sono colpevole, devo espiare eccetera"). Ovviamente decontestualizzo e la citazione è del tutto inventata e parodiata, ma si riferisce a un passo di identica sostanza almeno riguardo alle sofferenze della madre; ovviamente l'espiazione è mia.

    In mezzo metterei qualsiasi lam rim; i classici sono "la liberazione nel palmo della vostra mano" di Phabon.ga rimpoche e/o quello che preferisco su qualsiasi altro perché per me è un miracolo di concisione, quantità di dati (per esempio nella versione italiana tutti gli equivalenti in sanscrito e tibetano di ogni termine, ma anche tanto altro) e mancanza di enfasi senza cadere nella freddezza anzi: "la tradizione tibetana dello sviluppo mentale" di gheshe Ngawang Dhargye. Di questo come accennato c'era la traduzione italiana in Ubaldini e credo sia reperibile il cartaceo usato sull'amazzone in Inglese (gheshe Ngawang Dhargyey, Tibetan tradition of mental development, LTWA). Io l'ho ricomprato in inglese ma credo che ce ne fosse più di una copia. Temo esauriti in entrambe le lingue. E' un testo che ho veramente molto nel cuore per la sua mancanza di retorica.

    Ma come dicevo qualsiasi lam.rim va bene.

    Non lo dico a te ma solo a chi si imbattesse nel topic e volesse contestualizzarlo: esiste una chiave d'accesso a questo argomento ed è il suo significato tecnico alla luce della dottrina del karma. Nel linguaggio tecnico tibetano, compassione è il desiderio di separare gli esseri dalla sofferenza e basta, il che è molto diverso dal pensare di dover sopportare qualsiasi angheria, tanto per riallacciarmi al tema di inizio. Se si considera "compassione" come un lemma di un linguaggio tecnico si possono desumere tante cose e comprendere meglio le altre. Per esempio, quel sentimento che stigmatizzavo ricade in parte nel termine tecnico "amore", che denota il desiderio che tutti gli esseri siano felici, e ricade poco o nulla in "compassione". C'è differenza e anche solo saperlo, come sopra, apre delle prospettive. Per questo penso che senza mirare all'impossibile e tenendo sempre fermo che ci vogliono vite e vite per arrivare alla capacità di abnegazione che tanto viene invocata, è possibile volare bassi e restare incamminati sulla strada della ragionevolezza.

    Edited by swami chandraramabubu sfigananda - 2/3/2021, 16:48
     
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    [QUOTE=swami chandraramabubu sfigananda,2/3/2021, 15:06 ?t=62060008&st=0#entry450227802]
    CITAZIONE (Ruhan @ 2/3/2021, 14:53) 
    I testi parlano chiarissimo: compassione e comprensione della vacuità non hanno senso uno senza l'altro

    Come Fede e Carità :lol: anche Vacuità e Bodhicitta devono andare assieme e in realtà, all'atto pratico, sono inscindibili.

    Sono illustrate in maniera distinta per facilitarne la spiegazione, ma dal punto di vista pratico sono inscindibili. Non "provi" una o l'altra, ma o le "provi" assieme, o non le provi.

    Intendo con "provare" il "viverle", il "farle proprie", "esperirle".
    Ed infatti, finchè non si dimora almeno per un attimo nel Rigpa, non si capisce davvero cosa sia la Bodhicitta.
    Così dovrebbe essere.

    Basta, dopo questa serie di cavolate vado a convertirmi al manicheismo, così scrivo quel cazvolo che mi pare e nessuno potrà contestarmi.
     
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  11. swami chandraramabubu sfigananda
     
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    Tanto prima o poi scoprirò che voi due siete almeno associati, e a due dipartimenti di distanza... :D
     
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    Io ero te fino a poco fa, quindi avresti potuto saperlo.
    Comunque io non sono Ruhan, e non lavoro in un dipartimento.

    Visto che Sun Yun lo chiese, io ero il temibile Morgoth333.

    Ad Maiora Dei Gloiram!

    Edited by Mjölnir - 2/3/2021, 17:53
     
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  13. swami chandraramabubu sfigananda
     
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    già è vero, dimenticavo di essere un tuo bot... :D Ma intendevo "associati" nel senso di entrambi "professore associato"!
     
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    CITAZIONE (swami chandraramabubu sfigananda @ 2/3/2021, 16:54) 
    già è vero, dimenticavo di essere un tuo bot... :D Ma intendevo "associati" nel senso di entrambi "professore associato"!

    Lo avevo capito, ma ho giocato volutamente sul gioco di parole
     
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  15. swami chandraramabubu sfigananda
     
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    aaaaaaaaaaaaahhh :D
     
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