Buddhismo contemporaneo - l'insegnamento del Maestro Franco Bertossa

Pratica di orientamento Buddhista non aderente ad un Lignaggio in particolare

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    Salve, non so se sia la sezione giusta (se così non Fosse chiedo a Destiny di spostarla dove ritiene meglio 🙇), a me è sembrata abbastanza attinente per presentare il pensiero e la pratica del Maestro Franco Bertossa, una delle voci dell'attuale contesto del buddhismo contemporaneo.

    L'insegnamento di orientamento buddhista del Maestro Bertossa si basa su di una sua "esperienza esistenziale" e come dice lui stesso:

    "Se quando starò morendo qualcuno mi chiederà cosa io abbia insegnato per decenni, risponderò: a stupirsi rendendosi conto che si è. Perché sebbene impossibile sta però accadendo. E che quindi è davvero un miracolo, perché di nessun Dio. Ho insegnato a passare all'altra sponda. Questa. ...
    ... Tutto qui..."

    Franco Bertossa
    ------


    Per una più chiara comprensione un ulteriore articolo 20/7/2021 dalla pagina di FB del Maestro


    Un'esperienza di risveglio all'essere può liberare la più celestiale gioia così come la più profonda angoscia.

    Alcuni anni dopo che mi accadde, notando ciò, presi a chiedermene il perché.

    Per oltre quarant’anni anni ho tentato di suscitare, in una quantità di gente, la fondamentale consapevolezza del miracolo del semplice stare essendo.

    La cosa è riuscita in moltissimi casi.

    Ho ben chiari nella memoria parecchi momenti, durante i ritiri, in cui alcuni meditanti, durante un profondo assorbimento, sobbalzavano sul cuscino intuendo nel più sprofondo stupore (come poi mi raccontavano) che il mero fatto d'essere è oltre che prodigioso: è impossibile.

    Eppure eccoci qui.

    Il contrasto tra la constatazione della IMPOSSIBILITÀ dell'esistenza di cause e condizioni per l'essere - e non nulla - cause e condizioni che, per essere tali, dovrebbero esse stesse esistere riproponendo la questione, e il FATTO d'esistere, risveglia lo stupore più abissale, perché sta accadendo quel che in nessun modo può accadere, ossia d'essere - e non niente d'essere.

    Quel che risveglia a tale fondamentale consapevolezza è un sentire, un sentire esistenzialmente significativo.

    Ciò che si sta intuendo non mostrerebbe la sua smisurata portata se non si desse nello sbigottimento più totale.

    Ma tale sbigottimento non è solo la reazione a ciò che si sta capendo, bensì è, innanzitutto, la causa scatenante del capire.

    Nell'esistenziale accade che capiamo intellettualmente grazie e in seguito ad un peculiare sentire e non che capiamo intellettualmente e poi lo sentiamo.

    Qui la fondamentale differenza tra Heidegger e la pura teoresi filosofica.

    Ciò che schiude alla visione del "monstrum", che è il mero fatto d'essere - e non piuttosto niente - è il senso di stranimento e di stupore.

    Solo decifrando anche teoreticamente quel sentire riusciamo - ma dopo! - a capir di che si è trattato.

    Questa è la ragione per cui, come sostengo spesso, in molte autentiche esperienze di risveglio manca la comprensione dell'essenziale: il sentire che accompagna l'intuizione non viene esistenzialmente e propriamente decifrato.

    Tornando al tema iniziale: perché la stessa esperienza viene compresa in modi così varii e così varie sono le reazioni a ciò che si è compreso?

    Heidegger e Sartre hanno intuito il medesimo mistero dell'esistenza, ma il primo l'ha celebrato, il secondo lo ha connotato come "nauseante".

    Come mai?

    Qui mi rivolgo alla tradizione indiana e al karma, o meglio allo "spessore karmico" di ogni uomo.

    Il bagaglio karmico di un uomo consiste nell'insieme delle conclusioni che lui ha tirato "nelle innumerevoli vite che ha già vissuto", così pensano gli Indiani.

    Ma a prescindere che siano molte vite o una sola, voglio dire che il vissuto pregresso è condizione determinante la tonalità della ricaduta nella vita dell'impatto col mistero.

    Ogni momento di grande intensità emotiva risveglia, in qualche misura, tutte le tonalità emotive che ci abitano. Alcune sono prepotenti perché ci hanno segnato e sopravvivono violentemente cosicché da esse seguirà il tono emotivo dominante del nostro giudizio globale riguardo ad ogni momento in cui ne va di noi.

    Credo sia questo il motivo per cui alcuni, risvegliandosi, dopo l'impatto potente dominato dallo stupore, ricadono nel PROPRIO tono emotivo fondamentale.

    Chi è pauroso, si riproporrà così; chi è angosciato lo resterà; chi è ingenuamente sempre grato e meravigliato vedrà anche il fatto d'essere in una tale luce; è così via.

    (Di particolare perniciosità ho trovato essere l'uso delle droghe: un "trip" andato male condizionerà tutto il futuro di chi prova ad accostarsi agli abissi esistenziali)

    Si può, però, provare a cogliere e riconoscere, tra tutti i fili emotivi, dolci, neutri e amari, quelli che paiono essere i più arbitrari.

    In ciò l'aiuto di chi ha esperienza è utile.

    Questo viene chiamato, in Oriente, la "purificazione".
    Il risveglio deve eventuarsi in essa prima, durante e dopo.

    Siamo solo ai primordi della tradizione del risveglio in Occidente.
    Vedremo se e come attecchirà.

    Nel frattempo, nostro buon o malgrado, continuiamo ad esistere.

    E non piuttosto a non esistere.

    ...
    Franco Bertossa
    ...

    Edited by Loredana Sansavini - 20/7/2021, 19:45
     
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    "Se quando starò morendo qualcuno mi chiederà cosa io abbia insegnato per decenni, risponderò: a stupirsi rendendosi conto che si è. Perché sebbene impossibile sta però accadendo. E che quindi è davvero un miracolo, perché di nessun Dio. Ho insegnato a passare all'altra sponda. Questa. ...
    ... Tutto qui..."

    Franco Bertossa
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    Ti ringrazio per questa frase, in questi giorni meditando sull’impermaneza, coproduzione interdipendente e assenza di sé, ho letto questo tuo posto. ( anche se non lo compresi inizialmente ) Involontariamente le parole mi sono rimaste impresse, cosicché nel momento in cui ho raggiunto una comprensione più profonda ho capito il senso delle sue parole, chiarificandomi la mente.
    Grazie ancora!
     
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    CITAZIONE (Denomico @ 21/7/2021, 13:20) 
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    "Se quando starò morendo qualcuno mi chiederà cosa io abbia insegnato per decenni, risponderò: a stupirsi rendendosi conto che si è. Perché sebbene impossibile sta però accadendo. E che quindi è davvero un miracolo, perché di nessun Dio. Ho insegnato a passare all'altra sponda. Questa. ...
    ... Tutto qui..."

    Franco Bertossa
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    Ti ringrazio per questa frase, in questi giorni meditando sull’impermaneza, coproduzione interdipendente e assenza di sé, ho letto questo tuo posto. ( anche se non lo compresi inizialmente ) Involontariamente le parole mi sono rimaste impresse, cosicché nel momento in cui ho raggiunto una comprensione più profonda ho capito il senso delle sue parole, chiarificandomi la mente.
    Grazie ancora!

    Felice... :floreal:
    Il Dharma quando ci vibra dentro ... Non ci lascia più...
    Un inchino a te e al mio Marstro :notworthy:
     
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    In questi casi il detto “Chi cerca trova” calza a pennello, doppio inchino a te e al tuo maestro! :notworthy: :notworthy:
     
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    Bello.
    Questo viene chiamato, in Oriente, la "purificazione".
    Il risveglio deve eventuarsi in essa prima, durante e dopo.
     
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    Articolo Dalla pagina di Facebook del Maestro del 19/12/2016
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    Un pomeriggio di primavera del 1980, avevo venticinque anni, mi stavo recando al lavoro
    e camminavo lungo il solito percorso che, a Bologna, dalla piazza Maggiore mi portava
    verso la via Castiglione, passando sotto il Pavaglione e attraversando la piazza Cavour.
    Camminavo con la testa bassa, immerso com’ero, da quando avevo memoria e uso della
    ragione, nell’enigma della vita.
    Dopo altalenanti adesioni al pensiero scintifico-positivista più hard e ritorni colmi di rimorso
    e devozione al seno di Santa Madre Chiesa, attraverso percorsi di yoga e meditazione,
    ero giunto al punto di investire Dio di ogni possibile senso dell’esistenza, chiedendomi
    però come essere certo che Dio esistesse.
    Avevo cercato una testimonianza del divino provando di essere testimone di eventi prodigiosi, dalla levitazione degli yogi ai miracoli di Lourdes; avevo visitato gli eremiti di Monte Athos alla ricerca di una conferma decisiva, ma ogni volta che avevo approfondito,
    avevo scoperto che non potevo essere sicuro che fossero prove del divino.
    E così eccomi lì, immerso nei dubbi più profondi.
    Camminando così assorto, fronte al suolo, passai davanti alla vetrina di un negozio che
    all’epoca vendeva dischi musicali. Mi chiedo ancora chissà perché mai abbia alzato gli
    occhi… ma la svolta della mia vita ebbe inizio da quel gesto.
    Intravidi la strana copertina di un Lp: sospeso negli spazi cosmici, il nostro pianeta, e
    dietro appariva la faccia di un vecchio barbuto e una sua mano che indicava la terra; di Dio
    insomma.
    Rimasi colpito, sconcertato, poiché vedevo l’oggetto della mia sofferta ricerca di un senso
    della vita espresso così caricaturalmente, ma poi considerai che forse mia nonna, santa
    donna, Dio se lo figurava proprio così. Credo che sia stata questa mistura di comico e
    serioso ad innescare in me una perplessità e ad aprire un canale attraverso cui prese ad
    affiorare via via uno stato di domanda accompagnata dal timoroso presagio di essere in
    prossimità di una scoperta definitiva…
    Cominciai a chiedermi se l’idea di Dio non potesse esaurirsi solo in un bisogno dell’animo
    umano, in un riferimento da pregare come alleato o da bestemmiare nella malasorte. Il
    dubbio divenne talmente intenso e patito da risuonarmi nelle viscere.
    Presagivo che dalla risposta sarebbe dipeso il mio futuro spirituale: ateo o credente.
    E stava affiorando il sapore di una risposta negativa su Dio.
    Mi stavo profondamente convincendo che avevo per anni cercato un fantasma, che Dio era un non-senso.
    Non era una risposta dedotta la mia, ma piuttosto un pregnante sospetto, una coloritura del cuore che però mi stava persuadendo.
    Stava vincendo.
    E via via mi ritrovavo così gettato nel crudo, spoglio e freddo mondo-senza-Dio.
    Un sapore secco con venature di toni misteriosi, però.
    Così fu proprio questa condizione nuda a innescare la miccia di una consapevolezza che
    prese ad affiorare per scintille di ricordi..
    Ero bambino, sui quattro anni (età che ricordo perché in seguito cambiammo casa), e una mattina nella veranda inondata di carsico sole istriano, rimasi gelato ed affascinato dalla
    scoperta che esistevo io, proprio io, che non c’era qualcun altro al posto mio: c’ero proprio io!
    E da ragazzo, un giorno mentre guardavo l’ovviamente familiarissimo volto di mia madre,
    esso mi divenne d’un tratto sconosciuto e freddo, quasi mostruoso, come se oltre l’impossibilità di riconoscerlo come il volto della mamma, non sapessi neppure cosa fosse un essere umano. Durò qualche istante, poi il volto tornò a rivestirsi di familiarità. Altri
    momenti di spaesamento e sconosciutezza dell’ovvio avevano costellato la mia vita e mi
    riaffioravano ora rivestiti di un sapore emotivo particolare che ritrovavo in quelle scintille di
    ricordi che, come perle collegate da un unico filo, mi precipitavano, con improvvisa accelerazione, alla grande gemma che stava imponendosi dispiegando la sua abbacinante
    e stordente preziosità.
    Poi fu un botto del cuore della mente.
    Mi si schiuse la verità.
    il nudo mondo-senza-Dio, l’impossibile ma reale effetto senza causa, gridò, attraverso una scossa di corrente ad altissimo voltaggio che scosse ogni cellula del mio corpo.
    Gridò il proprio essere.
    Stranito ed incapacitato, come se mi fossi materializzato in quel momento, mi ritrovai a
    balbettare ―.. ma anche se Dio non esiste io sono qui a sapere che Dio non esiste!… e il mondo c’è…‖.
    L’esistente indubbiamente c’è, l’effetto c’è anche senza causa - e continua ad esserci.
    Dio non è necessario all’essere, poiché, se c’è, anche Dio è.
    Da dove? Come?
    La consapevolezza di essere irruppe come onda anomala, ustionandomi il cuore
    d’emozione stranita, colto da un immane spavento per un evento di implicazioni enormi e
    irreversibili: essere.
    Impossibile ma indubitabile.
    Essere, io sono.. questo fatto così concreto, evidente, di cui ero chiaramente a
    conoscenza anche prima - tutti sanno di esserci - ora affiorava con quel particolare sapore
    di spaesamento che avevo provato anni prima, da bambino, da ragazzo, finalmente non
    solo abbozzato, ma compiuto, come energia liberata, come fiume in piena che si
    riversasse nel mare.
    Vibravo dello stupore più profondo che mai avessi vissuto.
    E sentivo d’aver vissuto per quel momento, per quella consapevolezza.
    Contemplai per giorni il sapore della scoperta di essere, sapore che, come cenere residua
    dal grande fuoco dello stupore che quella scoperta aveva accompagnato, mi faceva
    vibrare cuore e viscere in modo inquietante, però pieno di fascino premonitore d’altro
    ancora.
    Pareva che l’essere si fosse spostato, che fosse slittato fuori dal suo posto "normale",
    perdendo la patina di scontentezza del suo essere.
    Un giorno, con difficoltà, le parole osarono di decifrare quel sapore del cuore, per rendere
    servigio alla consapevolezza. Ne uscì qualcosa che aveva bisogno di lettere dissonanti:
    sr..assr...srd... msrd...str... assurdo… strano... mostruoso… impossibile…!
    Stare essendo è strano, assurdo, mostruoso, impossibile - e perciò supremamente
    stupefacente - e questi significati ora premevano attraverso le mie viscere fino a prendere
    la forma e la vibrazione di pensieri e voci che mi pareva di star creando proprio allora.
    Il fatto che il mondo sia mi apparve oltre ogni possibilità di ragione e capacitazione. Ecco
    cosa non mi tornava causando quella particolare sensazione di ... stranezza e spavento,
    come di fronte a qualcosa che non dovrebbe stare accadendo.
    Che il mondo sia invece dell’infinitamente più semplice e legittimo nulla di mondo era (ed
    è) pazzesco!
    Rimasi stordito dalla meraviglia e devo dire che non mi sono più riavuto: ogni volta che la mente si avvicina al baratro della piena consapevolezza d’essere, ne resta folgorata.
    Scrivo queste righe all’età di sessantadue anni, ma il mio tempo si è fermato a quel metafisico pomeriggio.
    ......

    Franco Bertossa
     
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    Articolo dalla pagina Facebook del 25/1/2020

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    È difficile capire quale sia il dolore più profondo che attanaglia l'Occidente.
    Per qualche tempo ho partecipato alle riunioni ristrette del costituendo Mind and Life Europe.
    Il Mind and Life Institute fu fondato dal compianto amico Francisco Varela e da un lungimirante
    uomo d'affari americano, Adam Engle, nel 1983 con la collaborazione del Dalai Lama.
    È stata una idea formidabile e ha dato inizio ad un primo confronto serio tra Scienza della mente e
    Buddhismo.
    Oramai si sono svolti moltissimi meeting e l'Istituto procede robustamente.
    Quando fu promossa l'idea di un ramo europeo venni contattato e presentato da chi già mi
    conosceva bene e mi recai agli incontri che si tenevano a Parigi.
    Poiché era stato annunciato che sarebbe stato dato spazio alle Discipline Umanistiche oltre che
    alla scienza, mi sentivo entusiasta di dare un contributo: il confronto tra Buddhismo e Filosofia mi è
    sempre stato a cuore e non era ancora mai avvenuto in modo importante.
    Provai così a saggiare il terreno tra gli altri convenuti e a proporre le grandi domande a cui è
    pervenuto il pensiero filosofico occidentale, specie quelle che sfociano nel cancro dell'anima
    europea: il nichilismo - ossia l' "esistere per niente" che devasta pandemicamente le generazioni
    dalla seconda metà del '900 ad oggi.
    Nessuno capiva, e, cosa che mi disorientò parecchio, neppure i buddhisti occidentali, coloro che si
    erano fatti monaci dopo aver vissuto il '68 da protagonisti.
    Non riuscivo a credere a ciò che vedevo e (non) ascoltavo.
    Resto sempre più convinto che la questione del nichilismo costituisca il centro dell'anima perduta
    dell'Europa e, di conseguenza, dei suoi satelliti culturali, principalmente gli USA.
    Scrissi una articolata lettera al consiglio direttivo e ai membri più influenti - alcuni europei altri
    americani - ma la cosa non suscitò reazioni.
    Durante un incontro ristretto, dopo alcuni frustranti tentativi di riaprire questo frionte - e da dove
    dovrebbe partire un Buddhismo europeo se non dalle Quattro Nobili Verità così come comprese e
    patite dall'Europa? - mi rivolsi al Mistero stesso dicendo tra me e me: "Io più di così non riesco a
    fare. Aiutami."
    E l'aiuto arrivò.
    Per ben due volte ebbi la possibilità di portare il "gotha" del Mind & Life ad una diretta esperienza
    dell'assoluto del sapere (con uno scienziato del cervello di fama mondiale che restò ammutolito e
    turbato) e del mistero dell'essere-invece-che-niente (con il consiglio direttivo che gentilmente si
    concesse all'esperimento in un locale riservato a noi soli).
    Conosco una serie di "esperimenti ontologici" che fanno immediatamente "vedere" il mistero
    dell'essere e che avessero fatto diretta esperienza di ciò che mostrai loro fu palese soprattutto
    dalle loro facce sbigottite per ciò che avevano esperito, come mi confermò anche un caro amico
    che partecipava all'incontro.
    Uno dei consiglieri più importanti che sempre mi aveva salutato con grande cordialità, all'incontro
    successivo a malapena mi guardò, salvo poi durante la riunione commentare che sì, da giovane
    anche lui si era posto quelle domande e ne era rimasto turbato, ma che poi non le aveva
    sviluppate.
    Ecco il fatto: avvicinarsi al cuore del problema lo re-suscita e se ne ha paura.
    Ma come potremo affrontarlo se non lo diagnostichiamo correttamente?
    Un giovane europeo non trova il senso del suo esserci.
    In questo senso, davvero (quel) Dio è morto e non può più risorgere.
    Il niente attanaglia le viscere e costringe alla presa di coscienza che nulla ha un senso compiuto
    perché tutto è infondato, senza ragione e giustificazione.
    Siamo "figli del nulla", riprendendo il titolo di un magnifico libro della cara amica Paola Basile, libro
    che vi consiglio caldamente.
    Come risolvere l'angoscia associata a tale consapevolezza?
    Essa non si può aggirare o affrontare con palliativi.
    Occorre andare alla radice, ma essa crea un effetto di repulsione visto che è la fonte stessa della
    più radicale sofferenza.
    È l'inferno esistenziale: Leopardi, Nietzsche, i nichilisti russi, Sartre, Camus, Cioran..
    Questo volevo chiarire agli amici del Mind & Life Europe.
    Ma i buddhisti stessi temevano di prendere in considerazione le Quattro Nobili Verità così come
    maturate in Europa e patite dall'europeo.
    In tale chiave io leggo anche l'esplosione della musica Rock - ma non solo - dai Rolling Stones a
    Luigi Tenco a David Bowie, che è andata di pari passo con la marcescenza dei valori tradizionali.
    Oggi siamo nella putrefazione totale senza osare di dare parole a quel che ci accade.
    Chi ne soffre viene indirizzato alla psicoterapia che, a meno di non aver la fortuna di incontrare un
    terapeuta illuminato, non sa né può dire nulla di significativo tutto ciò.
    Spesso la cura è addirittura delegata alla chimica farmaceutica.
    La scienza è muta.
    La religione è muta - perfino i Buddhisti.
    I rari filosofi che sanno di che si tratta, non sanno che proporre - ho una concreta ed inveterata
    esperienza di confronto con loro su questo tema.
    A casa i genitori non capiscono lo smarrimento dei figli e a scuola gli insegnanti ancor meno.
    E il dolore continua a divorare le viscere e le anime.
    Ecco quel che accade - non siete d'accordo?
    E quindi?
    E quindi occorre tornare con coraggio alla fonte del dolore seguendo le preziose indicazioni del
    Buddha, l'unico che seppe guardare impavido e lucido nel cuore di (il) niente.
    1. Esiste sofferenza - come negarlo?
    2. La sofferenza ha una causa - quale è la causa della sofferenza, in Europa?
    3. La causa può avere una fine - come?
    4. Vi è una via per la cessazione del dolore, ossia sappiamo come estirpare la causa del dolore.
    Questa è davvero una "buona novella".
    Per iniziare: quando diciamo che "esistere non ha senso" - e lo patiamo - cosa intendiamo
    davvero?
    Cosa menzioniamo con "senso" e "assenza di senso"?
    - Da distinguere rispetto al ruolo o scopo che si può avere nella vita: anche se la nostra vita
    andasse magnificamente, non con ciò avrebbe un senso esistenziale: sarebbe solo una-bella-vita-
    infondata. Spero che questo venga capito. -
    .. Anche la via più lunga inizia col primo passo.
    Buona coraggiosa ricerca.

    Franco Bertossa
     
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    CITAZIONE (Loredana Sansavini @ 30/7/2021, 07:31) 
    Articolo dalla pagina Facebook del 25/1/2020

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    È difficile capire quale sia il dolore più profondo che attanaglia l'Occidente.
    Per qualche tempo ho partecipato alle riunioni ristrette del costituendo Mind and Life Europe.
    Il Mind and Life Institute fu fondato dal compianto amico Francisco Varela e da un lungimirante
    uomo d'affari americano, Adam Engle, nel 1983 con la collaborazione del Dalai Lama.
    È stata una idea formidabile e ha dato inizio ad un primo confronto serio tra Scienza della mente e
    Buddhismo.
    Oramai si sono svolti moltissimi meeting e l'Istituto procede robustamente.
    Quando fu promossa l'idea di un ramo europeo venni contattato e presentato da chi già mi
    conosceva bene e mi recai agli incontri che si tenevano a Parigi.
    Poiché era stato annunciato che sarebbe stato dato spazio alle Discipline Umanistiche oltre che
    alla scienza, mi sentivo entusiasta di dare un contributo: il confronto tra Buddhismo e Filosofia mi è
    sempre stato a cuore e non era ancora mai avvenuto in modo importante.
    Provai così a saggiare il terreno tra gli altri convenuti e a proporre le grandi domande a cui è
    pervenuto il pensiero filosofico occidentale, specie quelle che sfociano nel cancro dell'anima
    europea: il nichilismo - ossia l' "esistere per niente" che devasta pandemicamente le generazioni
    dalla seconda metà del '900 ad oggi.
    Nessuno capiva, e, cosa che mi disorientò parecchio, neppure i buddhisti occidentali, coloro che si
    erano fatti monaci dopo aver vissuto il '68 da protagonisti.
    Non riuscivo a credere a ciò che vedevo e (non) ascoltavo.
    Resto sempre più convinto che la questione del nichilismo costituisca il centro dell'anima perduta
    dell'Europa e, di conseguenza, dei suoi satelliti culturali, principalmente gli USA.
    Scrissi una articolata lettera al consiglio direttivo e ai membri più influenti - alcuni europei altri
    americani - ma la cosa non suscitò reazioni.
    Durante un incontro ristretto, dopo alcuni frustranti tentativi di riaprire questo frionte - e da dove
    dovrebbe partire un Buddhismo europeo se non dalle Quattro Nobili Verità così come comprese e
    patite dall'Europa? - mi rivolsi al Mistero stesso dicendo tra me e me: "Io più di così non riesco a
    fare. Aiutami."
    E l'aiuto arrivò.
    Per ben due volte ebbi la possibilità di portare il "gotha" del Mind & Life ad una diretta esperienza
    dell'assoluto del sapere (con uno scienziato del cervello di fama mondiale che restò ammutolito e
    turbato) e del mistero dell'essere-invece-che-niente (con il consiglio direttivo che gentilmente si
    concesse all'esperimento in un locale riservato a noi soli).
    Conosco una serie di "esperimenti ontologici" che fanno immediatamente "vedere" il mistero
    dell'essere e che avessero fatto diretta esperienza di ciò che mostrai loro fu palese soprattutto
    dalle loro facce sbigottite per ciò che avevano esperito, come mi confermò anche un caro amico
    che partecipava all'incontro.
    Uno dei consiglieri più importanti che sempre mi aveva salutato con grande cordialità, all'incontro
    successivo a malapena mi guardò, salvo poi durante la riunione commentare che sì, da giovane
    anche lui si era posto quelle domande e ne era rimasto turbato, ma che poi non le aveva
    sviluppate.
    Ecco il fatto: avvicinarsi al cuore del problema lo re-suscita e se ne ha paura.
    Ma come potremo affrontarlo se non lo diagnostichiamo correttamente?
    Un giovane europeo non trova il senso del suo esserci.
    In questo senso, davvero (quel) Dio è morto e non può più risorgere.
    Il niente attanaglia le viscere e costringe alla presa di coscienza che nulla ha un senso compiuto
    perché tutto è infondato, senza ragione e giustificazione.
    Siamo "figli del nulla", riprendendo il titolo di un magnifico libro della cara amica Paola Basile, libro
    che vi consiglio caldamente.
    Come risolvere l'angoscia associata a tale consapevolezza?
    Essa non si può aggirare o affrontare con palliativi.
    Occorre andare alla radice, ma essa crea un effetto di repulsione visto che è la fonte stessa della
    più radicale sofferenza.
    È l'inferno esistenziale: Leopardi, Nietzsche, i nichilisti russi, Sartre, Camus, Cioran..
    Questo volevo chiarire agli amici del Mind & Life Europe.
    Ma i buddhisti stessi temevano di prendere in considerazione le Quattro Nobili Verità così come
    maturate in Europa e patite dall'europeo.
    In tale chiave io leggo anche l'esplosione della musica Rock - ma non solo - dai Rolling Stones a
    Luigi Tenco a David Bowie, che è andata di pari passo con la marcescenza dei valori tradizionali.
    Oggi siamo nella putrefazione totale senza osare di dare parole a quel che ci accade.
    Chi ne soffre viene indirizzato alla psicoterapia che, a meno di non aver la fortuna di incontrare un
    terapeuta illuminato, non sa né può dire nulla di significativo tutto ciò.
    Spesso la cura è addirittura delegata alla chimica farmaceutica.
    La scienza è muta.
    La religione è muta - perfino i Buddhisti.
    I rari filosofi che sanno di che si tratta, non sanno che proporre - ho una concreta ed inveterata
    esperienza di confronto con loro su questo tema.
    A casa i genitori non capiscono lo smarrimento dei figli e a scuola gli insegnanti ancor meno.
    E il dolore continua a divorare le viscere e le anime.
    Ecco quel che accade - non siete d'accordo?
    E quindi?
    E quindi occorre tornare con coraggio alla fonte del dolore seguendo le preziose indicazioni del
    Buddha, l'unico che seppe guardare impavido e lucido nel cuore di (il) niente.
    1. Esiste sofferenza - come negarlo?
    2. La sofferenza ha una causa - quale è la causa della sofferenza, in Europa?
    3. La causa può avere una fine - come?
    4. Vi è una via per la cessazione del dolore, ossia sappiamo come estirpare la causa del dolore.
    Questa è davvero una "buona novella".
    Per iniziare: quando diciamo che "esistere non ha senso" - e lo patiamo - cosa intendiamo
    davvero?
    Cosa menzioniamo con "senso" e "assenza di senso"?
    - Da distinguere rispetto al ruolo o scopo che si può avere nella vita: anche se la nostra vita
    andasse magnificamente, non con ciò avrebbe un senso esistenziale: sarebbe solo una-bella-vita-
    infondata. Spero che questo venga capito. -
    .. Anche la via più lunga inizia col primo passo.
    Buona coraggiosa ricerca.

    Franco Bertossa

    Profondamente d’accordo con il suo pensiero; infatti è come se le domande esistenziali fossero sparite, perché se nulla ha senso nemmeno porsi le domande esistenziali ha senso. E se si presentassero si perderebbero nel vuoto che hanno generato lasciandole lì sospese. Forse è anche per questo che si cerca di occupare il tempo in ogni maniera.
     
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    Un giovane europeo non trova il senso del suo esserci.

    Lui cita spesso Heidegger, viene in mente il solito Byung Chul HaN la sindrome da iperstress ormai patologia di massa che è un eccesso di fare ..
    "La negatività del non-fare (nicht-zu) è anche un tratto essenziale della contemplazione. Nella meditazione Zen, per esempio, si tenta di raggiungere la pura negatività del non-fare, ossia il vuoto liberandosi da qualcosa che incombe, che si impone. Si tratta di una pratica estremamente attiva, tutt'altro che passiva, È un esercizio volto a raggiungere una posizione di sovranità dentro il sé, a collocarsi al centro di sé. Se disponessimo soltanto della potenza positiva, invece, saremmo consegnati del tutto passivamente all'oggetto. L'iperattività è paradossalmente, una forma estremamente passiva del fare, che non ammette più alcun agire libero. Si fonda su un'assolutizzazione unilaterale della potenza positiva."

    (La società della stanchezza - Byung Chul Han, p. 54)

    Edited by Sun Yun - 30/7/2021, 14:06
     
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    CITAZIONE (Sun Yun @ 30/7/2021, 13:45) 
    CITAZIONE
    Un giovane europeo non trova il senso del suo esserci.

    Lui cita spesso Heidegger, viene in mente il solito Byung Chul HaN la sindrome da iperstress ormai patologia di massa che è un eccesso di fare ..
    "La negatività del non-fare (nicht-zu) è anche un tratto essenziale della contemplazione. Nella meditazione Zen, per esempio, si tenta di raggiungere la pura negatività del non-fare, ossia il vuoto liberandosi da qualcosa che incombe, che si impone. Si tratta di una pratica estremamente attiva, tutt'altro che passiva, È un esercizio volto a raggiungere una posizione di sovranità dentro il sé, a collocarsi al centro di sé. Se disponessimo soltanto della potenza positiva, invece, saremmo consegnati del tutto passivamente all'oggetto. L'iperattività è paradossalmente, una forma estremamente passiva del fare, che non ammette più alcun agire libero. Si fonda su un'assolutizzazione unilaterale della potenza positiva."

    (La società della stanchezza - Byung Chul Han, p. 54)

    Grazie Sun per l'indicazione del libro :)
     
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    Articolo del 14/8/2020 pagina Facebook del Maestro

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    Vie orizzontali e verticali

    Per poter affermare quanto segue occorre aver vissuto qualcosa di "altro" rispetto a quel che
    ordinariamente si vive.
    Due sono le direzioni di ricerca interiore:
    1. L'attingimento del principio cosciente.
    2. L'apertura alla coscienza del fatto d'essere.
    La prima via è la via dei mistici.
    Essi si domandano della "natura ultima" sia cercandola che confermandola nell'ambito "teologico"
    già precedentemente creduto.
    La seconda è via "a-teologica".
    Essa può generare disperati nichilisti suicidi così come dei Buddha.
    In chi si "realizza" nella prima via, tutto si compie quando "la goccia ritorna ad essere uno con
    l'oceano".
    Chi si affaccia sul bordo dell'abisso lungo la seconda via non vede compiutezze nel "come" di ciò
    che è - fosse anche divino - però se infila la direzione "retta" ("samyag" nell'Ottuplice Sentiero),
    neppure vede incompiutezza, a differenza del nichilista metafisico il quale può entrare in oscura
    disperazione causa il terrificante mutismo dell'essere.
    Il discrimine tra le due vie è l'entrata in gioco del niente e ciò non come concetto, bensì come
    significato precedente ogni concetto.
    Il niente si annuncia attraverso un sentire al quale la filosofia esistenziale ha dato i nomi di
    angoscia, senso dell'assurdo, stupore abissale.. e io aggiungo "miracolo di nessun Dio".
    Ragionarne con qualcuno a cui tale sentire non si sia risvegliato è dialogo tra un sordo e un
    udente.
    Risvegliare tale senso è l'obiettivo di vie buddhiste quali la Via di Mezzo nagarjuniana e lo zen.
    I mezzi (Upaya) sono vari.
    Dalla argomentazione spietatamente rigorosa che demolisce tutto e infine anche se stessa
    lasciando un puro nulla di affermabile, ai metodi anche violenti che creano shock mentali per aprire
    un varco alla visione del prodigio senza dèi.
    Le due vie summenzionate non sono essenzialmente in relazione, ma funzionalmente sì.
    La tradizione tantrica dei Gelugpa, i "berretti gialli", la setta del Dalai Lama, si serve dei più
    profondi stati di coscienza, attinti tantricamente, per realizzare che neppure la coscienza è
    autosussistente - ossia che è "vuota".
    "Vuoto" non significa vuoto di contenuto, ma vuoto di essenza propria.
    Non esiste la cosa "coscienza originaria" come enticità a se stante.
    Qui sta la sostanziale differenza tra tale estremo Buddhismo e l'Induismo in tutte le sue forme e
    anche con certi buddismi chiamati "Zhentong" (vuoto d'altro), ossia incentrati su un "vuoto
    cosciente originario" inteso come spazio cosciente vuoto di qualsiasi contenuto "altro", vuoto
    inteso come l'assoluta Natura di Buddha.
    Il 14mo Lama di Dalai, figura importante della tradizione Gelugpa, parlando dalla posizione
    filosofica Madhyamaka, chiarisce questo punto:
    "Una volta che uno pronuncia le parole "vacuità" e "assoluto", ha l'impressione di parlare della
    stessa cosa, cioè dell'assoluto. Se la vacuità deve essere spiegata attraverso l'uso di uno solo di
    questi due termini, ci sarà confusione. Io devo precisare questo, altrimenti voi vi ritroverete a
    pensare che la innata, originaria chiara luce realmente esista come verità ultima e assoluta."
    (Dalai Lama, the (1999). Buddha Heart, Buddha Mind. New York: Crossroad: p. 110)
    Io aggiungo che tale innata, originaria chiara luce sarebbe "vuota" anche se fosse intrinsecamente
    essenziata.
    La sua vacuità deriva dal suo esserci.
    Che sarebbe comunque assurdo e dunque non pienamente vivibile.
    Non esiste la possibilità dell'esser-si compiuto.
    Ogni essente appare in una luce respingente generata dal suo essere indebito, assurdo.
    E qui solo chi ha vissuto la voce del niente attraverso il risveglio di uno speciale sentire, può
    seguire appieno.
    Ma ho constatato che tale sentire è più diffuso di quanto non si pensi, solo non è riconosciuto,
    tematizzato e valorizzato - piuttosto è temuto.
    La scoperta fondamentale del Buddha consiste nel fatto che la visione ultima della infondatezza
    dell'essere equivale alla liberazione dalla sofferenza.
    Ma è una via da percorrere con attenzione massima e fino in fondo.
    Se si resta al di qua anche dello spessore di un capello, la Via è perduta.
    Precisa Nagarjuna:
    “La vacuità, male intesa, manda in rovina l'uomo di corto vedere, cos come il serpente male
    afferrato o una formula magica applicata male.”
    Affrontare la vacuità è cosa enorme, definitiva.
    Perché possa essere valorizzata occorre preparare in Occidente un terreno culturale capace di
    elaborare il problema della sofferenza a partire dalla sua origine: il mero fatto di ritrovarsi gettati
    nell'esistenza.
    Da nessuno.

    Franco Bertossa
     
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    Articolo dalla pagina Facebook del Maestro dell'8/8/2021
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    Il più difficile è aprirsi al significato del nulla.
    E con ciò della differenza rispetto al nulla che chiamiamo “essere”.

    I fattori in questione sono, dunque:

    1. nulla tout court
    2. il differente rispetto a nulla, l’altro-da-nulla che chiamiamo “essente”
    3. il sapere di tale differenza e patirne

    Il sapere del ritrovarsi ad essere - cioè a differire rispetto a nulla - comporta di patirne - ovvero di non poter restare indifferenti al fatto di ritrovarsi ad essere.

    Due sono i toni di questo pathos:

    1. inquietudine, fino alla ribellione e al panico
    2. gioia, fino all’estasi e alla “oltregioia”

    La ragione di entrambe queste tonalità del pathos sorgono dalla visione che l’esistenza è senza ragione e dunque senza possibile senso intrinseco.

    Il significato di “essere” in quanto “differenza-rispetto-a-nulla” non permette più di poggiarsi ad un fondamento quale è quello di un Creatore.
    Il Creatore stesso si ritroverebbe quale “differente-rispetto-a-nulla”, quale singolarità ingiustificata ad essere.

    Noi tutti ci fondiamo sul principio leibniziano del “nihil sine ratione”, “nulla esiste senza una sufficiente ragione alla sua esistenza”, mentre la verità è piuttosto “omne sine ratione”, “il tutto esiste senza ragione”.

    Il Creatore - l’alto Fattor di Dante - esiste di per sé, si obietterà.

    Se però osiamo soffermarci su questa eventualità cercando di tener fermo il significato di essere quale “differenza-rispetto-a-nulla”, quel sommo Fattor si presenterà - e non potrà che presentarsi - come un “differente-rispetto-a-nulla” reclamante una qualche sorta di ragione per la sua pretesa esistenza senza ragione ulteriore.

    Alcuni pensatori e mistici si sono arrestati a questo abbacinante punto: “Dio non richiede ulteriori ragioni per la sua esistenza.”

    Ma io vengo costantemente provocato da ciò che ho vissuto e ben visto: che, semplicemente, l’essente - ogni essente, e tutto l’essente, non è giustificato ad esistere - proprio non può esistere e in quanto si ritrova privo di condizioni e cause per la propria esistenza.

    Però esiste.

    E qui lo shock.
    Una luce buia che ti abbacina e ti risveglia al mistero.
    Al più terrificante prodigio: il miracolo di nessun Dio.

    Per mettere ordine, la questione di Dio va ridotta a:

    1. Dio è “causa di sé”.
    2. Dio non può essere causa di sé.

    Il primo è il Dio delle religioni abramitiche: ebraismo, cristianesimo, Islam.
    Il secondo è una Sapienza che ordina il cammino scaturente proprio dal fatto che tutto ciò che esiste, Dio stesso, è senza origine, senza causa, impossibile.

    Di tale secondo Dio si ha esempio nelle religioni e filosofie dell’India.
    Nell’induismo si assume che l’essente - l’universo, il tutto - sia eterno, da sempre per sempre; senza inizio né fine.
    Esso universo - Brahman - viene “ordinato” da Ishwara, ma non da esso creato dal nulla.

    Ishwara dispone il cammino delle singole anime che vagano nell’ignoranza acciocché esse possano risvegliarsi e riconoscersi quale Brahman stesso.

    Nel Buddhismo, invece, tale sapienza è la Natura di Buddha.
    Non ha lo stesso significato che Ishwara nell’Induismo poiché è più acceso il senso del ritrovarsi ad esistere.
    Ritornare al Brahman non sarebbe soluzione - mentre lo è nell’Induismo - ma condizione, seppure la più estrema, pura e somma. L'estremo inganno.

    Tra queste tre posizioni:

    1. Dio creatore di ogni cosa e causa della propria stessa esistenza
    2. Dio ordinatore del cammino della singola anima, ma non creatore dell’universo (Brahman). Qui il iconoscersi quale Brahman è la meta, il ritorno a casa.
    3. Sapienza - Prajna - che ordina il cammino della individualità, ignorante della propria più o meno lucida “gettatezza”, dove OGNI essente - anche il Brahman - è solo condizione di un evento oscuro dell’esistenza.
    Non esiste luogo dove insediarsi quale propria sede ultima.
    La soluzione è trovare il lecito rapporto con l’esistenza - lecito, ovvero tale da non generare ulteriore karma.

    II discrimine in tutti noi sta nella particolare sensibilità ai significati di singolarità, gettatezza, ritrovarsi ad essere, stranezza per il fatto d’essere, assurdità dell’essere, stupore per l’essere.

    Se tali voci si risvegliano potentemente in noi, spontaneamente ci ritroveremo nella terza posizione, poiché tali voci sono insopprimibili e mostrano il vero più radicale: l’infondatezza dell’essere.

    Ma è anche la strada più difficile perché occorre attraversare un luogo “freddo e deserto”, come dice il Maestro Rikkyu ne “Morte di un maestro del té”.

    Un abbraccio a tutti coloro che sinceramente cercano la verità e che la Cosa non cessi di prendersi cura di loro.
    Augurio inutile, perché mai cessa.
    Invero esiste solo la Cosa.

    Il nulla lo garantisce.
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    Franco Bertossa
     
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    Articolo Dalla pagina Facebook del Maestro Franco Bertossa

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    Lo Zen non è altro che la costante testimonianza di
    "Forma è proprio e solo vuoto, vuoto è proprio e solo forma… e lo stesso vale per gli altri ambiti di esperienza (skandha): affezione, concezione, intenzione, coscienza".

    Oltre a questi ambiti d'esperienza non v'è altro.

    Zen è comprensione e testimonianza del Sutra del Cuore.
    Il maestro cerca di risvegliare l'allievo a tale verità in tutte le sue tonalità.
    I cento casi, o Koan, della Raccolta della Roccia Blu (Bìyán Lù) sono un celebre percorso nella chiarificazione vissuta del Sutra del Cuore.

    La mente con cui si risolvono i Koan non è quella razionale e neppure è la psiche, bensì è la Prajna che io chiamo "mente altra" (non "altra mente") o "sapere differente".

    - "Forma è vuoto"; ma cos'è forma (rupa)?
    Tu, la tua mano, la tua pelle…
    - Cos'è affezione?
    Il fatto che qualcosa ti piaccia o non ti piaccia (vedana).
    - Cos'è concezione (samjna)?
    La stiamo usando per ragionare.
    - Cos'è intenzione (uno dei samskara)?
    La tua volontà di capire.
    - Cos'è coscienza?
    Appunto!

    - E vacuità cos'è?

    Vacuità non è qualcosa. Se fosse qualcosa, di quel qualcosa si darebbe vacuità.

    Ma per assaporarla, basta che fissi la tua mano - o una qualsiasi cosa - al di là del tempo di uso convenzionale di essa.
    Insisti e accadrà che cesserai di riconoscerla, si stranificherà.
    Può accadere che essa si stranifichi e ciò PROPRIO perché resta mano.

    Esiste una mano nell'universo… Assurdo e prodigioso!

    Eccoquà: sprazzi di vacuità.

    Ma stare nella vacuità non è permanere nello stranimento perpetuo o nella olimpica unità di tutte le cose.

    Ecco un bell'esempio:

    Un monaco chiese:- Un discorso raffinato ed uno volgare, entrambi hanno lo stesso significato (nella vacuità), giusto?
    Touzi rispose: - Sì.
    Il monaco disse: - In questo caso posso chiamare stronzo il maestro?
    Touzi assestò un bel colpo al monaco.

    Forma è proprio e solo vuoto… proprio perché È proprio e solo forma.

    Bam!

    Se non capisci, trenta colpi.
    Se capisci… trenta colpi!

    Franco Bertossa
     
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    Articolo del 3/9/2021 dalla pagina di Facebook del Maestro
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    Tu e l'assurdo - il Sé e la vacuità
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    Cosa rende uno il tutto?

    Dev'essere un aspetto a cui ogni ente deve sottostare e già dicendo "ente", la direzione è avviata: è il fatto d'essere.
    Tutto ciò che è, è.
    Pare banale, questo raddoppio, ma in esso si cela un mistero.

    Occorre dunque esplorare il significato di "essere" su cui si scivola facilmente.

    Heidegger, riferendosi a filosofi e anche a teologi, osservò: dicono "essere", ma continuano a pensare "ente". L'Uno, Dio, sono enti.

    In che sta la differenza?
    Appunto nella Differenza.

    Niente paura, la Differenza non è un concetto, poiché anche ogni concetto è differente… da niente. Differenza rispetto a niente è lo stesso che dire essere.

    Di te.

    E qui sta il cuore della cosa, ma non si può penetrarlo se non vivendo una certa esperienza - esperienza non è concettualità; agli occidentali va ripetuto sovente.

    All'occidentale, spesso incentrato sul solo intelletto, urta di non poter avere accesso ad una dimensione che pur pare essenziale, se non dopo un'esperienza particolare di risveglio, però io stesso, da intellettuale occidentale, amante di tutto ciò che l'intelletto produce, vi confermo che è così.

    Tale esperienza ha come cuore essenziale il nulla e le sue voci.
    La prima è la voce dello stupore, del senso di stranezza provata per il semplice fatto che qualcosa esista - e non nulla.

    Tale sfondamento nella consapevolezza accade a seguito dell'accensione di quel che Hakuin, grande maestro zen del '700, chiamò la "massa dubbio" che, "come una palla incandescente da te inghiottita, ti arde in gola senza che tu possa né sputarla né inghiottirla".

    Il dubbio perseguita notte e giorno, toglie ogni altra motivazione alla vita, prosciuga ogni senso.
    Qualcuno comprende di cosa parlo, altri no.

    Poi accade invece che il dubbio, in uno spasmo estremo che pare di sconfitta, esploda e mostri il Miracolo di nessun Dio: essere, il prodigio dell'essere senza creatori di esso - poiché un creatore stesso sarebbe, esattamente come me.

    Qui si danno due esiti possibili che io distinguo nei termini di "essersi" ed "esserci"; esser-si o esser-sé porta alla beata fusione coll'Uno; (ritrovarsi ad) esser-ci, invece, mostra l'illiceità di tale fusione, seppure oltre all'Uno nulla possa esistere. Paradosso buddhista.

    L'esser-sé porta alla gloria dell'Uno.
    Invece il ritrovarsi ad esser-ci mostra l'assurdo dell'esistenza di quell'Uno e richiede una via "etica" nei suoi confronti (nei confronti di sé). Non la liberazione dall'individualità, ma dall'essere stesso cui si è costretti nostro mal o buon grado.

    L'Uno è tale in virtù del fatto d'essere: esso raccoglie in se stesso tutto ciò che è altro da niente, dunque tutto l'essente: Uno.

    Il primo esito, di cui dicevo, trova una sua formulazione ed incarnazione nello "Io sono Brahman" o "Tu sei Quello" - per limitarci alle versioni più in voga su FB.

    Fu anche il mio primo esito per circa dieci anni - e come non poteva esserlo a seguito di ondate di meravigliata gioia?

    Ma una voce restava sul fondo, ed era il reclamo di senso.

    Qui si pone lo spartiacque e già vedo l'ondata dei critici che sostengono che nel Sé non c'è spazio per altro; la critica più pacata sostenendo che anche il dubbio è mente, mentre la più "agguerrita" (eufemismo) usando espressioni più insolenti e volgari - il buffo è che tali espressioni provengono, però, da parte di chi sostiene di essere sempre nell'Uno, dunque nella Verità. Il che è pur vero, ma non avvedutamente.

    Ma qui seguo il consiglio del Poeta: "non ragioniam di lor, ma guarda e passa."

    Per chi resta aperto, continuo.

    La voce del senso era in realtà quella del senso mancante.
    Il fatto d'essere, infatti, non è autocompiuto affatto, bensì assurdo.

    Il Sé, ovvero il tutto che ci accade di essere, è opaco; opaco di fondamento, ragione, autoportanza.

    Il Buddha non aderì alla tradizione vedico-vedantica o sankya (i cui principi possono risalire a era pre buddhista), sebbene, secondo Ashvaghosha, ne ottenesse un insegnamento profondo da grandi guru dell'epoca come Arada, Udraka ed altri, ma, risvegliatosi, invece che confermare quegli insegnamenti, pose l'an-atman - il non-sé, l'assenza di sé - a base dottrinale ed esperienziale.

    Anatman non è un'altra parola per Atman: lo nega.

    Qui anche un Ramana Maharshi, di cui sono sincero devoto da quasi quarant'anni, di cui ho conosciuto discepoli viventi, di cui conservo sacre SUE reliquie donatemi dal suo ultimo attendente, swami Satyananda di cui fui amico, vacilla.

    Il niente infonda e assurdizza ogni ente.
    Lo vacuizza: shunyata.
    E con ciò ci libera da noi stessi e dall'essere in cui ci ritroviamo.
    Niente niente, niente libertà.

    Non si tratta di fusione nell'unità del Sè, ma di stacco totale - senza residuo di ente.
    E non è annichilazione, ma… Prajna.

    Non annichila, ma pone il "protagonista" fuori dalle categorie dell'essere e del niente: Tathagata.

    Qui insorgeranno problemi in chi legge attentamente, lo so, poiché lo vorrà chiamare il Nulla, altro nome del Sè, ma non è così. Occorre percorrere questo filo di ricerca con una chirurgica precisione in meditazione a cui pochi sanno guidare.

    Tutto questo l'induismo, in tutte le sue forme, non lo ha visto - mentre invece lo hanno visto bene il Buddha e il Buddhismo nei suoi sviluppi della Prajnaparamita.

    Molti vorrebbero che il Buddhismo non fosse altro che una forma dell'induismo e, infatti, come notò acutamente Giuseppe Tucci, dal IV sec. vi furono certo sviluppi cripto-induisti di esso che ancora sopravvivono, ma il Buddhismo NON è una forma dell'Induismo.

    Tutto dipende dall'avvertire o meno quella voce subliminale, seppur, continua, del reclamo di senso.

    Senso che non c'è.
    E noi avvertiamo la sua mancanza sia in tonalità sofferte che meravigliate e beate.

    Non so cosa possa esser passato attraverso parole che sintetizzano il senso di oltre quarant'anni di ricerca e pratica; in fin dei conti non ha importanza, ovvero ce l'ha per chi la avverte.

    Il Buddhismo non dà risposte, ma porta ad una soluzione del rapporto dell'essente con se stesso.

    Un rapporto altrimenti devastante.

    "Difficile è da vedere il non sé", disse il Buddha.
    D'altronde, se non si passa attraverso il Sé, non è neppure possibile.

    E tenete presente: dicono "essere", ma continuano a pensare "ente".

    E l'Uno, il Sé, Dio, "quel" Nulla, sono enti.
    Solo chi sa la Differenza, sa dell’essere.
    Dell’essere di un assoluto prodigio.

    Di nessuno.
    ...
    Franco Bertossa
     
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    Articolo del Maestro Franco Bertossa dalla pagina Facebook del 25/9/2021

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    Il Buddhismo insegna che tutta l'esperienza umana si può riconoscere e distinguere in cinque insiemi o skandha:

    1. Skandha Rupa: esperienza della forma - possiamo intenderla come esperienza materiale.
    2. Skandha Vedana: esperienza della percezione affettiva: quando entriamo in contatto con qualcosa e il contatto è vissuto con un apprezzamento-disprezzamento.
    3. Skandha Samjna: esperienza del concetto: quello che usiamo ora per ragionarci su in base ai concetti che abbiamo.
    4. Skandha Samskara: la volontà, l'intenzione, il ricordo, l'interesse che proviamo nel leggere e capire. L'attività precedente il movimento coscienziale e percettivo.
    5. Skandha Vijnana: il termine coscienziale delle sei vie d'accesso sensoriali: vista, udito, gusto, olfatto, tatto e visione mentale; là dove so che sento.

    Oltre a ciò non v'è nulla.

    Tutto quello che sperimentiamo è riducibile a queste cinque dimensioni d'esperienza.

    Il Sutra del Cuore cita: "Il bodhisattva Avalokiteshwara scorrendo gli elementi dell'esistenza vide solo cinque skandha e li colse vuoti".

    Ma prima del conseguimento della vacuità, mi soffermo sulla pratica, su quello "scorrere gli elementi dell'esistenza" (Gambhiravasambodha), pratica fondamentale del Buddhismo fin dalle origini.

    Accade che qualcuno vi insegni pratiche molto sottili e ancor più profonde.

    Un maestro tantrico, ad esempio.

    Allora, con opportuni assorbimenti, accade di "vedere i cinque skandha" scollarsi e offrirsi all'analisi individualmente.

    "Questa è forma, questa è percezione affettiva, questo è concetto, questa è intenzione e queste le sei coscienze".

    Su ciascuno degli skandha la focalizzazione può diventare così potente che essi, d'un tratto, appaiono "vuoti".

    È quello lo specifico momento - un lampo o un intervallo prolungato - in cui i fenomeni (i dharma) isolati e singolarizzati, non sono più se stessi.

    Si ha la intuizione della tathata, la medesimezza, la così-ità, la se stess-ità, dove nulla può più dire altro che sé.

    La singolarità.

    Anche solo un barlume e nulla avrà più lo statuto datogli in precedenza.
    Perfino il vedere assumerà una dimensione nuova, là dove anche il vedere è visto.. essere.

    E non niente.

    Ripropongo uno scritto del 2004 dove approfondivo la questione:
    Buddha e Heidegger. La vacuità e la differenza.
    www.asia.it/adon.pl?act=doc&doc=100


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    Franco Bertossa
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118 replies since 20/7/2021, 18:14   2714 views
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