Esiste la felicità?

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    Facendomi l'esame di coscienza ho notato che i miei momenti felici sono strettamente legati al piacere e al rilascio di dopamina. Se esiste una felicità che non c'entra con produzioni chimiche nel cervello, c'è qualcuno che può descriverla? Altrimenti la felicità che non dà dipendenza come può essere un abitudine piacevole non esiste in realtà o sbaglio? Cioè se elimino i piaceri, sono abbastanza neutro, né triste e ne felice, o sbaglio io?
     
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    Secondo me è un ragionamento troppo logico. Non è che se non fai uso di piaceri stai in maniera neutra. Avrai momenti belli e momenti infelici, ecco tutto.
     
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    I momenti belli come li chiami tu secondo me hanno origine solo dal piacere, quindi se vuoi essere felice ne sei dipendente in quanto sei sempre in cerca di quelle situazioni che ti danno quei piaceri, altrimenti saresti neutro come condizione.Per questo dico che il buddhismo fuggendo i piaceri, non capisco come possa generare felicità.
     
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    Non è la felicità che si raggiunge con il Nirvana. È qualcosa di oltre. Non ha nome.
     
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    La felicità credo sia determinata da varie cose. Gli obiettivi raggiunti nella vita, le condizioni di salute, economiche e più in generale dei buoni rapporti personali.
    Se dobbiamo analizzare tutto da una prospettiva buddhista, dovremmo pensare che comunque ognuno di questi aspetti determina 'dukkha' a prescindere da tutto.
    Io che, personalmente, dopo un timido approccio mesi fa per capire quale percorso potesse essere il più adatto a me, ho compreso, non dico definitivamente, ma circa, che non sono attratto dalle idee tradizionali del buddhismo, ma sento di potermi considerare un 'modernista', ho ovviamente una visione un po' diversa degli aspetti sopra elencati e di conseguenza del concetto generale di felicità.
    Non so e non penso che tutti gli individui siano naturalmente destinati ad esserlo per tutta una serie di motivi.
    Ma sarebbe troppo lunga da stare a sciorinare.
    Credo, comunque, che il buddhismo come dottrina parta da delle analisi anche giuste e coerenti, ma le cui conclusioni non condivido completamente.
    Non è vero che tutto è dukkha e non è detto che l'unico modo per uscire dalla sofferenza sia praticare (sempre) alcune virtù, tra cui la compassione. Tutto è relativo. Ma d'altronde sono un relativista (e questo so che non piace ai 'tradizionalisti').
     
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    Il capitolo sulla felicità è un capitolo immenso. Dagli epicurei che la ravvisavano nel piacere e nel dosare il piacere, a Schopenhauer che credeva consistesse nell’evitare il male, agli stoici che la consideravano un portato della virtù (sopportare il male per un bene più grande), ai cinici che pensavano bisognasse seguire le leggi di natura. Anche i buddhisti hanno la loro posizione, come i Cristiani, e le conosciamo bene. Bisognerebbe solo capire da che parti schierarsi, o se crearne una nuova…
     
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