Il non sé buddhista spiegato da Robert Wright

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    Ho letto che il buddha spiega il non sé dicendo che noi non essendo il nostro corpo non possiamo influenzare con la mente la nostra salute fisica, cioè uno si ammala fisicamente indipendentemente da ciò che pensa. Io non sarei d'accordo con questa spiegazione sulla non esistenza del non se come spiegata da Robert Wright, proprio alla luce di ciò che invece dice la scienza a riguardo L'interazione mente corpo è bidirezionale. Non solo i fattori psicologici possono contribuire all'insorgenza o all'aggravamento di una vasta gamma di disturbi fisici, ma anche le patologie organiche possono influire sul pensiero o sull'umore della persona. Non so se esistono altre spiegazioni sul non sé buddhista, ma questa spiegazione introdotta da Robert Wright proprio non mi convince.

    https://zeninthecity.org/buddhismo-secolar...-se-non-esiste/

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    Ho letto rapidamente e avrei qualcosa da osservare sul tuo pensiero riguardo la salute e la mutua influenza con la mente. Però ormai il traffico è ridotto e mi dà fastidio passare per presenzialista che dice la sua su tutto.

    Una cosa però la vorrei osservare perché credo sia importante. Mi riferisco all'ultima frase che è questa:

    Questo è il nodo centrale della tesi sostenuta dal Buddha nel primo e più famoso discorso sul non Sé, ed è generalmente interpretato come principio buddhista secondo il quale il sé non esiste.

    Ecco, chi legge questo articolo senza conoscere (a questo punto direi "piuttosto bene") cosa si intenda per mancanza di sé, cosa penserebbe? Che in un certo senso non c'è niente. E' una frase perfettamente in linea con il nichilismo che il Buddha avversava. Sarebbe bastato scrivere:

    Questo è il nodo centrale della tesi sostenuta dal Buddha nel primo e più famoso discorso sul non Sé, ed è generalmente interpretato come principio buddhista secondo il quale il sé non esiste in modo indipendente, inerente, isolato, eccetera.

    E sì, proprio con il grassetto tanto per far restare bene impresso il concetto. E magari anche aggiungere qualcosa per essere proprio sicuri. Se anche la non esistenza di un sé indipendente si può desumere dal resto del testo, mi chiedo se ci possa riuscire qualcuno che sa poco dell'argomento e a cui come ovvio resta impressa la conclusione dell'articolo.

    Non è certo un caso isolato, anzi si ritrova in un buon 80% di quello che si trova in rete. Posso concedere all'estensore di articoli di questo tipo l'attenuante di dare per scontate cose che per lui o lei sono ovvie, ma alla fine passa un messaggio che peggio non si potrebbe. Che succeda normalmente lo sa chiunque segua la tagboard di questo stesso forum, dove qualche utente solleva il problema del "nichilsmo buddhista". Su Facebook non parliamone nemmeno...
     
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    Sul fatto che l'articolo sia incompleto non ho nulla da eccepire in quanto non ho elementi per sostenere il contrario, sulle parole del buddha riguardo alla non relazione tra come uno pensa e malattia del corpo avrei dei dubbi, mi piacerebbe anche conoscere la tua opinione, non penso che gli utenti si stanchino della tua presenza che tra l'altro è sempre in tema con gli argomenti trattati. Quindi secondo me fai bene ad esprimere un tuo parere a riguardo. Ti anticipo linkandoti un articolo sul tema relazione tra pensiero e malattia:

    https://www.psicologa-roma-aielli.it/quand...come-si-curano/


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    Quello che penso è che si tratti di due contesti diversi. Che lo stato mentale possa in qualche modo (spesso ancora non noto, in altri casi noto) influenzare la sfera fisica e contribuire a risolvere o almeno mitigare una serie di malattie è accertato. Al punto che alcuni percorsi terapeutici che si basano su questa relazione sono inseriti nei vari servizi sanitari di vari paesi.

    Ma c'è un'altra cosa ed è il senso del discorso del Buddha. Il ragionamento che fa è "classico" ed è sostanzialmente analogo se non identico al settuplice ragionamento di Chandrakirti. Questo di cui parliamo è uno dei sette punti e riguarda la verifica del sé come uguale agli aggregati. In questo caso si apre l'incoerenza che essendoci cinque aggregati dovremmo trovare cinque sé, a latere c'è la considerazione del singolo skandha del corpo, o meglio, rupa, dato che comprende anche altro. Mi pare evidente che il sé almeno come ci appare possa avere delle volizioni. Se il rupaskandha fosse identico al sé, qualsiasi volizione si rifletterebbe sul corpo. L'argomento va letto in senso generale. Ovvero che se io volessi diventare un drago verde ed essendo il rupaskandha la stessa cosa della mia volontà, in forza di quest'ultima i miei atomi si ristrutturerebbero e diventerei un drago verde, non in senso metaforico. Lo stesso per la salute.

    Quindi l'argomento mi appare di natura prettamente logica, non tocca il legame tra corpo e mente ma è un semplice espediente che mostra le conseguenze di un'ipotesi sulla natura del sé. La mia impressione è che questi due piani siano stati accorpati con la conseguenza di nascondere il punto centrale, ovvero poter escludere che il sé sia identico agli aggregati.
     
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    Ho letto anche che Buddha asserisce che non esiste un sé permanente e immutabile e indipendente, quindi lui e il suo pensiero non sono niente di tutto questo?
     
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    QUOTE (Non. Io @ 10/11/2023, 12:35 PM) 
    Ho letto anche che Buddha asserisce che non esiste un sé permanente e immutabile e indipendente, quindi lui e il suo pensiero non sono niente di tutto questo?

    Certo, stando al Dharma è così. Anche la mente di un buddha è priva di sé. In questo contesto "sé" non vuol dire "personalità" ma vuol dire "sostanza", qualcosa che non cambia e fa da base a qualcosa. Anche i pensieri del Buddha storico dopo che raggiunse la liberazione sono stati privi di sé (o meglio, esistenza indipendente), come anche prima lo sono stati e lo sono ora il tuo pensiero e il mio. Sono privi di sé indipendente, ma ci sono; non sono privi di sé, ma sono privi di sé indipendente da altro.

    Non è immediato afferrare è che "privo di sé" indica solo assenza di alcune modalità di essere, non della cosa. Quindi tutto esiste, funziona, produce effetti, è reale. Semplicemente non esiste separatamente dagli enti con cui è in relazione.

    Nella tradizione educativa tibetana viene speso molto tempo sul tema della corretta identificazione di quello che è chiamato "oggetto di negazione". Se si manca questo punto il Buddhismo diventa un vero e radicale nichilismo.

    Insomma, basta rifletterci un poco e tutto diventa se non chiaro, una buona base di partenza.
     
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    Si ma correggimi se sbaglio, è come se Buddha dicesse, io ho questo pensiero però non è eterno e soprattutto è so
    ggettivo visto che dipende.
    In un certo qual mondo è come se lo negasse Potrei leggerlo come se il suo pensiero fosse riferito solo a lui e dopo la sua morte, per noi esistesse un altra strada.
     
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    QUOTE (Non. Io @ 10/11/2023, 12:58 PM) 
    Si ma correggimi se sbaglio, è come se Buddha dicesse, io ho questo pensiero però non è eterno e soprattutto è so
    ggettivo visto che dipende.
    In un certo qual mondo è come se lo negasse Potrei leggerlo come se il suo pensiero fosse riferito solo a lui e dopo la sua morte, per noi esistesse un altra strada.

    Questione interessante e domanda acuta :)

    1) Che sia non eterno è il fondamento del Buddhismo, o almeno uno dei cardini. Nella tradizione testuale e orale è assolutamente accettato che gli insegnamenti spariscono ciclicamente perché gli esseri non hanno più il karma per capirli. Succederà anche a questo ciclo di esposizione del Dharma compiuto dal Buddha storico, poi per molto tempo non si sentirà neppure la parola Dharma. Ma un giorno torneranno e li esporrà Maitreya, e così via.

    2) Un concetto può benissimo nascere in una mente in dipendenza da cause ma non per questo non essere valido o comunque viziato dalla soggettività. Prendi ad esempio una formula matematica che scopri da solo. Da piccolo impari a contare, poi ti danno due mele poi altre tre e sai che ne hai cinque. Alla tua coscienza non appare tutto quell'insieme di concetti espliciti sugli assiomi dei numeri e i teoremi. Ma di fatto hai scoperto da te una verità oggettiva, l'operazione di somma applicata a due addendi rispettivamente di due e tre elementi (BTW questo è un fenomeno "statico" chiamato "non forma e non mente", come lo sono molti concetti astratti). La tua cognizione valida dell'operazione di somma è dipesa da cause e condizioni: tanto per cominciare la tua mente e le mele. La tua cognizione valida è sorta su quelle che si chiamano basi di designazione. E queste sono tutte impermanenti, tu perché tra 200 anni morirai, le mele perché verranno mangiate, eccetera quindi la tua cognizione valida è priva di un sé: è un prodotto di cause non statiche ma sempre cangianti, impermanenti e così via. Ciononostante hai scoperto un qualcosa che è oggettivamente valido; un piccolo non Io su un altro pianeta miliardi di anni fa ha fatto 2+3=5 e così sarà in futuro altrove. Allo stesso modo il Buddha ha scoperto leggi oggettive della realtà pur essendo lui impermanente, la sua mente impermanente, la nostra impermanente eccetera.

    Comunque bella e profonda domanda a cui fa piacere rispondere :) Se ci sia riuscito, però, non lo so. Alcune cose le limerei ma spero che l'argomento di fondo da me addotto non sia sbagliato.

    Edited by swami chandraramabubu sfigananda - 10/11/2023, 03:14 PM
     
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    Sono contento che ti sia piaciuta la domanda. Si se vedo le cose in ottica buddhista come le spieghi tu tutto chiaro, rimane solamente il punto di domanda quando mi confronto anche con il pensiero induista che come sai è di tutt'altro avviso, diciamo che per certo rimango dell'idea del non saprei, così a simpatia sono più orientato verso l'induismo.
     
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    Fai benissimo, è una tradizione antica e tra le più straordinarie che siano mai comparse. Come hai detto i grandi interrogativi restano tutti aperti, per cui è questione di sensibilità personale, indole, etc. Se ci fosse una tradizione oggettivamente (nel senso scientifico) più valida di altre e questa ipotetica tradizione mostrasse il cammino per uno stato che tutti gli umani giudicassero migliore della nostra permanenza nel mondo, probabilmente sarebbe la sola sopravvissuta.
     
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    Una domanda anche che mi faccio swami e che mi disorienta è:qualcuno ha realizzato il non sé, ma qualcuno ha realizzato il sé superiore, ognuno di loro ha argomentato la propria esperienza, però non c'è modo di saperlo se non si prova direttamente, quindi non tanto per illuminarsi, ma per rendersi conto personalmente quale sia la verità, semprechè non siano delle illusioni anche le esperienze dirette, insomma un macello come dicono dalle tue parti.
     
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    secondo me è un falso problema, dire che non c'è un sè o un ego personale, oppure che ci sia. Il vero adepto, yogi, sadhu, come volete chiamarlo, agisce in conformità alla divinità che agisce, e che si mostra con le varie sfaccettature del mondo, compresi i jiva individuali.
    Il sè c'è e non c'è, dipende dal punto di vista. E come si può quindi dire che le azioni appartengano a un sè, quando è un fantasma che agisce al di qua di māyā? La visione allora diventa pura perfino nel tumulto generale del mondo
     
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    Vabbè non vuoi chiamarlo sé chiamalo fantasma, comunque qualcuno dentro la testa che è eterno e indipendente e uno che esce, che se ne va (quello cattivo) perché non ha più terreno fertile ed entra quello buono Quello cattivo è quello che ti fa avere problemi nella vita, e vuole restare nel samsara, quello buono è quello che vuole unirsi a Dio Evidentemente questi spiriti hanno bisogno di possedere un corpo per poter manifestare le loro caratteristiche sulla terra.

    Edited by Non. Io - 11/10/2023, 19:58
     
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    QUOTE (Non. Io @ 10/11/2023, 05:53 PM) 
    Una domanda anche che mi faccio swami e che mi disorienta è:qualcuno ha realizzato il non sé, ma qualcuno ha realizzato il sé superiore, ognuno di loro ha argomentato la propria esperienza, però non c'è modo di saperlo se non si prova direttamente, quindi non tanto per illuminarsi, ma per rendersi conto personalmente quale sia la verità, semprechè non siano delle illusioni anche le esperienze dirette, insomma un macello come dicono dalle tue parti.

    Non so cosa dire. Secondo me almeno in parte sono predisposizioni che affondano nel proprio vissuto. Io ho ricordi molto netti e vividi di certe volte che da adolescente ero graniticamente certo di mie idee che poi si sono rivelate talmente sbagliate da farmi profondamente vergognare.

    Già dissi dell'episodio del mio timore della morte quando ero piccolissimo, e della mia empatia per gli animali, cose che mi hanno "spinto" verso il Buddhismo. Ma questi episodi di cui dicevo sulla sicurezza di idee poi rivelatesi sbagliate hanno sicuramente rafforzato questa tendenza. L'idea che anche stati mentali che sembrano davvero l'illuminazione siano in realtà forme di attaccamento profonde risuona con questo tipo di mio vissuto. Ed è uno dei motivi che mi ha distaccato dalla meditazione: l'idea che potrei tessere da solo la corda con cui impiccarmi. Altrettanto ovviamente è uno dei motivi che mi hanno spinto nelle braccia della scuola gelug.pa. Se mai in qualche vita futura avrò la realizzazione logico-discorsiva della vacuità (e questo a sua volta dovrebbe farmi venire il dubbio che la tradizione "giusta" potrebbe essere per esempio quella dei kami giapponesi, per dirne una) potrò essere sicuro che non avrò altra scelta che impegnarmi nella meditazione shamata per accedere ai livelli più profondi della mente. Sarò in un certo senso confortato di non avere alternativa perché tutte le possibilità della mente razionale saranno state sfruttate.

    Ma appunto come dici: chi ha ragione? Io posso dare la risposta sul mio vissuto, probabilmente ciascuno ha la propria in base al proprio vissuto.

    Edited by swami chandraramabubu sfigananda - 10/11/2023, 08:59 PM
     
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    A me del buddhismo piace la parte razionale, come superare la sofferenza psicologica e vivere lo stesso senza porsi il problema se esista Dio oppure no, cioè considerarlo ininfluente ai fini della realizzazione, ma contemporaneamente sono affascinato dalla realizzazione di un sé superiore e l'unione con il divino. Diciamo che la mia esperienza mi porta più a credere che esista Dio, però il buddhismo, quello privo di dogmi, quello che viene considerato una filosofia e non una religione lo ritengo altrettanto valido come insegnamento in sé, per quanto riguarda la meditazione mi sto orientando su quella induista, ritengo comunque validi molti insegnamenti buddhisti.
     
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