Il non sé buddhista spiegato da Robert Wright

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    QUOTE (Non. Io @ 11/10/2023, 21:13) 
    A me del buddhismo piace la parte razionale, come superare la sofferenza psicologica e vivere lo stesso senza porsi il problema se esista Dio oppure no, cioè considerarlo ininfluente ai fini della realizzazione, ma contemporaneamente sono affascinato dalla realizzazione di un sé superiore e l'unione con il divino. Diciamo che la mia esperienza mi porta più a credere che esista Dio, però il buddhismo, quello privo di dogmi, quello che viene considerato una filosofia e non una religione lo ritengo altrettanto valido come insegnamento in sé, per quanto riguarda la meditazione mi sto orientando su quella induista, ritengo comunque validi molti insegnamenti buddhisti.

    ciao non io, buon giorno

    a mio avviso, quand'anche io per primo pratichi in maniera costante e attiva lo 'sport' dell'identificazione

    la sofferenza psicologica spesso (ma non sempre, qui e' assolutamente opportuno non generalizzare) e' secondo me spesso il risultato di un intricato reticolo di bisogni non pienamente soddisfatti secondo uno standard soggettivo. 'bisogni' che non sono altro che un immagine di cio' che ci appare 'seducente', 'attrattivo' e pertanto in un certo senso 'giusto', una cosa che ci 'spetta', che sentiamo di 'meritare'. attorno ai quali viene eretto un castello con merli e merletti piu' decorazioni e affreschi intellettuali di puntellamento e rinforzo altissime fatte con o senza bonus 110%.. :D

    e' secondo me cio' non di meno utile nella misura in cui da una direzione. e' a mio avviso totalmente inutile e controproducente se crea una nevrosi o un ossessione

    secondo me, l'esistenza di Dio e' l'aspirazione del tutto comprensibile alla consolazione in un 'dopo' che sappiamo inevitabile e abbastanza aggratis solo perche' il castello e' immaginario e quindi fa a pugni con la realta' dei fatti. e la realta' dei fatti sappiamo che vince 'no matter what'. il castello viene giu ma... 'dopo'.. e' piacevole credere che saranno sicuramente rose e fiori attorno al castello 'evanescente' (ma, in fondo, quel che interessa alla fin fine, rigore e' se arbitro fischia :D, immortale). l'essere umano al cospetto del tempo. al cospetto della morte. al cospetto del karma (che forse pero', in realta', avviene ad ogni singolo respiro)

    quanto alla 'realizzazione', opinione personale, saro' forse cinico o irrispettoso e per altro verso comprendo perfettamente la assoluta e benvenuta necessita' di parlarne aumentando la consapevolezza in generale, ma come ci si sposta nel linguaggio comune, quello nostro del 2+2, con l'eccezione di come ne parlano i Maestri e Siddharta stesso che hanno il taglio ineluttabile del: 'cosi e' se vi pare'.. e se uno comincia a guardare con un filo di attenzione gli pare proprio..! :D

    forse mi sbaglio, ma mi sembra piu' come una speculazione o una forma di orgoglio accessibile. una sorta di agognata medaglia (un affresco di giotto rifinito da leonardo e ritratteggiato dal botticelli nel castello). per lo meno per me. la percepisco cosi

    la 'realizzazione', a mio personale avviso, e' quasi muta o parsimoniosa nella misura dello stretto necessario

    il che significa, almeno per quanto mi riguarda, rileggendo tutta 'sta patafiatta che ho scritto, che...

    ahi voglia a camminare.. :D
     
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    Ciao Francesco, ma guarda ho riflettuto parecchio su ciò che hai scritto e penso che ci siano vari approcci alla via che porta verso Dio. Personalmente mi sto impegnando a seguire il Bhakti Yoga, lo yoga devozionale. Il suo insegnamento è centrato non verso la realizzazione di desideri ma verso un amore puro, senza nessun tipo di richiesta o finalizzato ad ottenere qualcosa, una umile devozione verso ciò che è immenso che si ripercuote in un amore per la vita cercando di accettare ciò che mi viene offerto. Nello yoga le strade sono la conoscenza, l'impegno senza secondi fini, cercare il sé superiore tramite la meditazione e la via della Devozione.
    Ti linko i 4 sentieri dello yoga tra cui c'è il sentiero della Devozione per spiegarti bene cosa intendo:

    www.arhantayoga.org/it/i-quattro-vie-di-yoga/


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    Edited by Non. Io - 13/10/2023, 04:26
     
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    QUOTE (Non. Io @ 13/10/2023, 04:07) 
    Ciao Francesco, ma guarda ho riflettuto parecchio su ciò che hai scritto e penso che ci siano vari approcci alla via che porta verso Dio. Personalmente mi sto impegnando a seguire il Bhakti Yoga, lo yoga devozionale. Il suo insegnamento è centrato non verso la realizzazione di desideri ma verso un amore puro, senza nessun tipo di richiesta o finalizzato ad ottenere qualcosa, una umile devozione verso ciò che è immenso che si ripercuote in un amore per la vita cercando di accettare ciò che mi viene offerto. Nello yoga le strade sono la conoscenza, l'impegno senza secondi fini, cercare il sé superiore tramite la meditazione e la via della Devozione.
    Ti linko i 4 sentieri dello yoga tra cui c'è il sentiero della Devozione per spiegarti bene cosa intendo:

    www.arhantayoga.org/it/i-quattro-vie-di-yoga/


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    ciao non io, buon giorno

    secondo la classificazione che viene proposta nel link, aka penso grosso modo la maniera di vedere indiana, a fiuto, dato che e' per me e' una classificazione del tutto sconosciuta, 'io' sono pressoche' sotto lo zero come Bhakti, anzi... addirittura polare :P, pesantemente Jnana, strumentalizzando il Raja quando medito (troppo poco ma in un certo senso va bene cosi) e confluendo infine, inevitabilmente nella vita quotidiana, con una accettazione del tutto eterna (fatti salvi ovviamente i sacrosanti moccoli quando qualche cosa mi sale storto ma fa parte anche questo del gioco :D ) nel Karma yoga

    quindi penso che se, per il tuo carattere e le tue esperienze, ti senti a tuo agio e ti trovi bene con la pratica del Bhakti Yoga, di certo, ci saranno occasioni proficue per entrambi e, auspicabilmente per chi leggera', per far emergere le rispettive sensibilita' con aspetti che normalmente vengono sorvolati o lasciati in seconda linea da ciascuno, secondo le sue propensioni

    il che permettera' di riflettere, osservare e fare luce sulla definizione di 'altro da me'. ovvero sull'individuale e costoso confine immaginario

    un arricchimento che trovo, in modo pragmatico, del tutto utile :)
     
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    Questo è il nodo centrale della tesi sostenuta dal Buddha nel primo e più famoso discorso sul non Sé, ed è generalmente interpretato come principio buddhista secondo il quale il sé non esiste in modo indipendente, inerente, isolato, eccetera.

    Ecco io credo che ciò che ha scritto swami chandraramabubu sfigananda debba essere sottolineato con vigore. Molto spesso ho letto praticanti affermare che "il sé non esiste", ma questa è oggettivamente una stupidaggine bella e buona. Il sé esiste, in senso oggettivo. L'inganno della nostra mente è pensare che il sé esista in modo permante e indipendente. Oltretutto noi pensiamo che la nostra esistenza sia il nostro sé. Invece il Buddha ci insegna come il sé
    sia impermante e dipendente dal resto. Esso è soggetto a mutazione, sia in questa esistenza, che nell'arco di innumerevoli esistenze.

    Dire che il sé non esiste, è un po' come dire che il sole non esiste. Il sole però esiste, ma non esiste in mondo indipendete e permanente. Esso è soggetto a mutazioni e prima o poi cesserà di esistere. Tutti i fenomeni condizionati esistono, ma sono impermanenti e dipendenti dalle cause che li fanno sorgere. Bisognerebbe inziare a sottolineare questo con vigore.
     
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    Mettiamola così:una cosa che esiste è sempre quella, non cambia e non dipende.Noi non esistiamo in un ottica buddhista in quanto cambiamo in ogni istante e dipendiamo da fattori esterni a noi. In un ottica induista c'è il sé superiore che non cambia, è sempre quello e non dipende è l'unico a esistere veramente. Forse si intende questo dicendo che il sé non esiste, perché se neghi l'eterno e dici che tutto cambia e dipende, ciò succede in ogni istante e nel momento in cui dici che il sé esiste in quello stesso momento non esiste più quel sé, anzi non è mai esistito perché cambia repentinamente Anche nell'induismo come nel buddhismo la realtà come la intendiamo noi non esiste perché cambia in continuazione e dipende, però al contrario del buddhismo crede che ci sia un infinito che rimane tale nella sua definizione, definizione letterale ovviamente.La distinzione che fa l'induismo è tra sé inferiore, che è quello che pensiamo che esiste e invece non esiste e se superiore che pensiamo che non esiste e invece esiste. Ti scrivo dei versi del Tao te Ching per concludere:

    Il Tao di cui si può parlare non è l'eterno Tao.
    I nomi che si possono nominare non sono nomi eterni.
    Senza nome, l'origine di cielo e terra.
    Con nome, la madre dei diecimila esseri.
    Perciò costantemente senza desiderio né contempli il mistero, costantemente con desiderio né contempli i limiti.
    Questi due sorgono insieme ma hanno nomi diversi.
    Insieme li diciamo l'oscuro, dell'oscuro ancora l'oscuro, la porta di tutti i misteri.

    Edited by Non. Io - 14/10/2023, 04:42
     
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    Sono assolutamente d'accordo con quantro scrivi, in linea di principio. Detto questo dire semplicemente: "Il Sé non esiste" può portare a fraintendimenti, come dire: "L'Io non c'è". Eppure c'è, perché io so di essere "Alessio Rando", sebbene ciò che io definisco "Alessio Rando" è in costante mutamento, cessando di esistere e rinascendo in continuazione. L' "Alessio Rando" di ieri non c'è più, è morto. Ora c'è l' "Alessio Rando" di adesso, che ha elementi di quello di ieri, ma non è strettamente lo stesso.

    Io trovo che possa essere più utile affermare: "Il Sé non ha una esistenza intrinseca, immutabile e permanente. Il Sé è frutto delle nostre esperienze, delle circostanze, e muta in continuazione".
     
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    QUOTE (Alessio Rando @ 14/10/2023, 20:28) 
    ..
    Detto questo dire semplicemente: "Il Sé non esiste" può portare a fraintendimenti, come dire: "L'Io non c'è". Eppure c'è, perché io so di essere "Alessio Rando", sebbene ciò che io definisco "Alessio Rando" è in costante mutamento, cessando di esistere e rinascendo in continuazione. L' "Alessio Rando" di ieri non c'è più, è morto. Ora c'è l' "Alessio Rando" di adesso, che ha elementi di quello di ieri, ma non è strettamente lo stesso.
    ..

    un buon giorno a tutti

    personalmente, forse sbagliando, penso che il 'se' esiste eccome. e continua a macinare inesorabile come uno stacanovista pensieri, immagini, suoni e sensazioni anche quando, per una serie di circostanze fortuite o meno, riusciamo a scollarci un attimo, un momento, che normalmente c'abbiamo l'attack con presa pressoche' istantanea e inossidabile (per lo meno, appunto, 'io') :D

    a lui non gli importa una cippa. va avanti indefesso per la sua strada, macina comunque chilometri come un passista in bicicletta ed e' certamente mutevole. dipende in genere dal cibo che incontra, dipende dall'esperienza, dall'interpretazione, e' una classificazione arbitraria sulla base di schemi e nozioni pregresse. forse quel che chiamiamo ad un certo livello 'esperienza'. un confronto con cio' che gia si conosce e con cio' che gia' si ritiene come 'vero', ovvero un complesso di convinzioni validate a livello di vita pratica su cio' che funziona o meno, che hanno prodotto, attraverso comportanti nella vita quotidiana, il risultato sperato al quale e' stata attribuita arbitraria importanza soggettiva di segno positivo. autopoiesi e cognizione

    e ne ha bisogno, e' nutrimento e sopravvivenza. come l'automobile con la benzina. come il fumatore con la sigaretta (detto da me.. :D)

    forse e' un riflesso condizionato ancestrale legato all'adattamento umano sulla terra

    e dopo tutto, non e' poi tanto difficile vedere questo. penso per chiunque. non credo serva chissa' quale ascesi o meditazione (anche se ovviamente la trovo assolutamente utile)

    basta chiudere gli occhi dieci minuti, lasciare che tutto sia, ed osservare in maniera piuttosto disincantata ed obiettiva la montagna di stronzate (perdonate il francesismo :D ) che produce il cervello (per lo meno il mio di sicuro) quando l'unica cosa davvero importante sarebbe solo e semplicemente respirare

    sarebbe tanto semplice e disarmante avere fiducia nel meccanismo adattivo automatico che e' in ciascuno di noi abbandonando l'ossessione di ottenere qualche cosa creando una separazione, una divisione mentale tra le idee del 'me frustrato' e del 'me appagato'. accettando il presente qualunque esso sia ammettendo anche che non sia possibile ottenere sempre immediatamente cio' che si ritiene di volere che e' cio' che si considera arbitrariamente appagante (anzi il 'subito' e' una parola alla quale andrebbero accompagnate le 'avvertenze' come con le medicine). che non significa ovviamente rinunciare che e' lo stesso identico processo solo esercitato all'incontrario

    e invece no, ma proprio no, ma proprio no, no, no. devo, o per lo meno mi esce del tutto istintivo, prima sperimentare una paura e quindi a ruota sovra-reagire. vale a dire che prima devo impormi una percezione di insicurezza, a seguire il bisogno di tenere sotto controllo la realta', poi costruire un castello immaginario che definisca una sorta di strategia di cose da fare e infine agire o non agire per rinuncia che e' lo stesso. un modello ossesivo / compulsivo

    un bagno di sangue di energia

    parlo ovviamente per me, la cosa che trovo divertente, si fa per dire, e' che ci passo i giorni, le settimane, i mesi e gli anni in questo continuo elaborare montagne di stronzate (ri-perdonatemi il francesismo) in modo automatico e meccanico che poi determinano il mio agire e, cosa a volte meno divertente, per oggettivi limiti di valutazione del tutto umani, le reazioni ineluttabili ovvie e scontate di cio' che mi circonda

    scusatemi lo scrivere abbastanza cinico ma e' una domenica di ottobre, comincia a fare freddo, cominciano a cadere le foglie dagli alberi, non sono piu' abituato e, puntata gratificante a caccia di funghi a parte che pero' va fatta in settimana non nel week end con luna crescente ergo mercole o giove di 'sta settimana, sarebbe opportuno tornare ai caraibi quanto prima :D
     
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    Né esiste, né non esiste, né esiste e non esiste assieme, né la negazione di entrambe.

    C'è la realtà che è la base della designazione. La designazione, però, non è il semplice linguaggio. Dietro la logica, dietro il principio di identità, ecco il volto della scimmia. Anzi: il volto del primo batterio che, per orientarsi, distingueva (in maniera assolutamente semplificata) elementi nel suo ambiente, ovvero: isolava alcune porzioni del reale dal resto del mucchio confuso e questo perché era evolutivamente e singolarmente utile ad un set di dati genetici (il che, come si sa da "Il gene egoista", è praticamente la stessa cosa). È lì che è nata la prima originaria forma di quello che è il nostro principio di identità. La logica e il linguaggio sono soltanto una forma più complessa di queste elementari forme di orientamento.

    Veniamo al "sé". Esso ha una utilità sempre entro questa generale economia orientativa: permette di isolare quel che ci serve isolare dal mucchio della realtà, attribuendo a tale supposta "porzione" una etichetta (inconsapevole, pre-riflessiva) utile per muoversi nel mondo. La distinzione del "sé" dalla alterità è compresa nel medesimo atto di distinzione delle "alterità" in varie unità distinte tra di loro: è la prosecuzione del movimento del batterio, il quale ritira se stesso o volge se stesso verso questo o quell'elemento (distinguendosi, elementarmente, da ciò che è altro da sé; isolandosi, perciò, in un "sé") nel medesimo atto di distinguere l'alterità in differenti unità (vantaggiose o svantaggiose etc.).

    Il "sé" non è altro che questo: una operazione di astrazione strumentale; una rilevazione di particolari strette affinità organizzative tra porzioni del mucchio chiamato "realtà". In che senso "strette affinità organizzative"? Nel senso che, se colpisco una particolare porzione di realtà, ne risentiranno anche altre organizzativamente affini in maniera stretta. Se colpisco, ad esempio, la schiena di una persona, a risentirne saranno anche tutte le altre sue "porzioni". Non ne risentirà, invece, l'albero a pochi centimetri di distanza. Eppure, tutto fa parte di quel con-fuso o inter-fuso mucchio chiamato "realtà" (che non é né uno, né molti; trascende ogni designazione). Questa affinità stretta tra "porzioni" di realtà noi la avvertiamo, grossomodo e provvisoriamente, attraverso il cosiddetto "senso del sé" (quando riguarda quelle porzioni che "siamo noi") e attraverso un, altrettanto grossolano e provvisorio, senso di "singolarità" che avvertiamo fuori di noi: ad esempio, consideriamo l'albero come un singolo oggetto.

    Semplici strumenti di sopravvivenza pratica selezionati fin dagli albori della cosiddetta "vita".

    Il "sé", dunque (per riassumere), è una semplice operazione elementare selezionata evolutivamente: diverse porzioni di realtà, strettamente affini, rilevano (se sono abbastanza complesse, come accade per le porzioni che compongono gli aggregati delle forme viventi) tale affinità sotto forma di una "informazione" che noi chiamiamo "sé" nelle sue forme più complesse.

    Perciò è come con le nuvole nella foto che ho postato. C'è un mucchio di realtà. In questo mucchio possiamo individuare delle forme secondo i nostri propri interessi e queste forme sono utili per indicare, per orientarci, per mappare strumentalmente e provvisoriamente la realtà. Ma rimangono forme verbali o indicative (se si preferisce). Non c'è davvero una identità chiamata "delfino" e non c'è neanche per un istante. Non esiste Ruhan vecchio o Ruhan nuovo. Entrambi sono semplici designazioni basate sul principio di identità; non hanno alcun corrispettivo reale là fuori, ovvero non esiste alcuna identità corrispondente che magari appaia e poi scompaia o che riappaia cambiata solo in parte. Aspettarsi ciò equivale a pensare che là fuori esistano il trapassato remoto o il futuro anteriore. Ovvero che uno strumento verbale o intellettivo, una nostra semplificazione basata su una pura astrazione, vaghi fuori dal nostro cranio nella complessità della realtà, come un fantasma in un castello scozzese.

    C'è la realtà, ovvero la base di designazione. Ma gli strumenti della designazione rimangono strumenti utili ad orientarci, provvisoriamente; essi corrispondono (in ultima istanza) a niente di reale. Semplici atti di astrazione che dicono moltissimo del nostro rapporto con la realtà e delle nostre necessità orientativo-organizzative (del rapporto di alcune "porzioni" — uso questo termine per intenderci, ma non esistono nemmeno davvero delle "porzioni": anche questo è un atto di astrazione — con il resto del mucchio del reale), ma poco della realtà tout court.
     
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    Fantastico!
     
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    CITAZIONE (swami chandraramabubu sfigananda @ 16/10/2023, 08:13) 
    Fantastico!

    Troppo buono!

    Spero non sia eccessivamente oscuro.
     
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    Anche se non sono nessuno per dirlo a ragion veduta, l'ho trovata un'esposizione originale e molto adatta a una mentalità di civiltà europea che non tradisce minimamente il tema. Gli indiani hanno il solito esempio della corda che sembra un serpente ma in India di serpentelli ce ne sono tanti, da noi molti di meno. Invece di nuvole se ne vedono di più, soprattutto ora che con la rete ci passano sotto gli occhi tantissime immagini.
     
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    QUOTE (Ruhan @ 16/10/2023, 06:33) 

    grazie Ruhan, assolutamente bello, grazie di cuore

    viva le nuvole e viva i delfini

    che, nonostante noi stessi

    dopo un poco, anche contro voglia

    si risolvono ineluttabili

    in struggenti mari e cieli sconfinati di pace
     
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    Anche questo non scherza! Un sé "imputato" sulle sue parti.

    https://ibb.co/Tk3QVkh

     
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    CITAZIONE (Ruhan @ 16/10/2023, 06:33) 

    Grazie Ruhan.
    A me dà invece l'idea di una foca .. :)
     
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    Grazie a tutti. :)

    CITAZIONE (swami chandraramabubu sfigananda @ 16/10/2023, 08:52) 
    Anche se non sono nessuno per dirlo a ragion veduta, l'ho trovata un'esposizione originale e molto adatta a una mentalità di civiltà europea che non tradisce minimamente il tema. Gli indiani hanno il solito esempio della corda che sembra un serpente ma in India di serpentelli ce ne sono tanti, da noi molti di meno. Invece di nuvole se ne vedono di più, soprattutto ora che con la rete ci passano sotto gli occhi tantissime immagini.

    Ecco. Quello che mi convince poco del classico esempio del serpente è che mette troppo l'accento sul carattere illusorio in senso puramente negativo (una illusione inutile e dannosa).

    Invece, il sentire la singolarità, il vedere "cose" e indicarle — come sappiamo — pur se finto, convenzionale, basato sui nostri bisogni di orientarci in un gomitolo complesso, scorgendo qualche provvisoria relazione etc. è utile. Il problema è che (per motivi evolutivi) ci è anche utile crederci come se non fosse una nostra operazione, ma qualcosa di ontologicamente consistente. È qui che nasce il tarlo.

    Un altro motivo per il quale ho preferito l'esempio delle nuvole è che la corda è una cosa singola che viene scambiata per altro. Invece, le nuvole sono un mucchio compatto e informe da cui è possibile isolare alcune forme a piacimento, astraendole dal resto delle nubi. Ed è molto più simile a ciò che facciamo, ad esempio, isolando (ponendo la nostra attenzione) una montagna dal resto del paesaggio, ma — in genere — in ogni nostro atto di individuazione, quando astraiamo "pezzetti" di realtà dal resto della realtà e poniamo la nostra attenzione su di essi.
     
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