Domanda sulla mente. Devo chiudere il cerchio

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    Premesso che le questioni che poni non sono affatto di facile risoluzione, tanto meno nelle poche battute consentite in un forum, quello che brevemente mi sento di dirti è che se da un lato è vero che il nostro approccio ordinario alla realtà sia mediato dai sensi e l'elaborazione dei loro dati da parte del sistema nervoso centrale, dall'altro il buddhismo insegna a trascendere i limiti della cognizione normale. La meditazione, nelle sue fasi più avanzate, spegne la mente, sia nei suoi aspetti coscienti che in quelli subconsci, aprendo a una visione immediata della realtà.

    L'attività cognitiva, responsabile dell'apparizione del mondo, ivi incluso quello onirico, allorché venga interrotta nei suoi normali modi operativi consente di travalicare l'esperienza, portando a "conoscere" ciò che rimane al suo superamento: il nibbāna, l'incondizionato, il non-composto, l'assoluto, se preferisci: "assoluto" nel senso di essere sciolto dalla dipendenza dalle dimensioni spaziale, temporale e causale, e finanche dall'essere realizzato o meno. Che se ne conosca l'esistenza o meno, che lo si realizzi o meno, il nibbāna permane, sovranamente indipendente, di là dal principium individuationis.

    In senso schopenhaueriano, il "principio di individuazione" è quello che determina la pluralità dei fenomeni, individuati e distinti l'un l'altro, ed è curiosa la convergenza, benché soltanto superficiale, tra la filosofia teoretica di Schopenhauer e la prassi meditativa buddhista, poiché entrambe ritengono che il modo ordinario di percepire il mondo non aderisca alla sua autentica natura. Entrambe tematizzano la possibilità di attingerla, superando il "velo" che la occulta. Notoriamente, S. parlava di "velo di Māyā", il Sammāparibbājanīya-sutta in modo non del tutto dissimile parla di vivaṭṭacchada, "che ha sollevato il velo", aggettivo spiegato dal relativo commentario come vivaṭarāgadosamohachadano, ovvero il cui velo di rāga, dosa e moha è stato rimosso. Soltanto una mente purificata è in grado di superare il velo (chada) dell’illusione e ottenere così una conoscenza e visione conformi alla vera natura del mondo, senza i fuorvianti rovesciamenti cognitivi che da tempi senza inizio nascondono il vero aspetto delle cose.
     
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    a diciassette anni, digiuno di qualsiasi istruzione scolastica di alto livello, fui turbato dallo strazio della vita proprio come Buddha in gioventù, allorché prese coscienza della malattia, della vecchiaia, del dolore, della morte. la verità, che mi parlava in modo così chiaro e manifesto dal mondo, presto ebbe la meglio sui dogmi giudaici che erano stati inculcati anche in me, e ne conclusi che un mondo siffatto non poteva essere l’opera di un essere infinitamente buono, bensì di un demonio, che aveva dato vita alle creature per deliziarsi alla vista dei loro tormenti (arthur schopenhauer)

    mitico Arthur, er Buddha de noialtri occidentali! :punk: :lol:
     
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    Eh, suggestioni interessanti ma credo non molto di più. Oggi va un po' di moda vedere molte figure come buddhisti inconsapevoli di esserlo. Ma non so se sia davvero così, perché in tutte le culture e in tutti i tempi sono esistiti esseri umani che hanno compreso la radicalità del dolore inerente alla condizione umana. Solo che unica tradizione tra tutte, il Buddhismo si distingue per la vacuità e secondo me c'è molta differenza!
     
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    CITAZIONE (swami chandraramabubu sfigananda @ 13/3/2024, 10:24) 
    Eh, suggestioni interessanti ma credo non molto di più. Oggi va un po' di moda vedere molte figure come buddhisti inconsapevoli di esserlo. Ma non so se sia davvero così, perché in tutte le culture e in tutti i tempi sono esistiti esseri umani che hanno compreso la radicalità del dolore inerente alla condizione umana. Solo che unica tradizione tra tutte, il Buddhismo si distingue per la vacuità e secondo me c'è molta differenza!

    senz'altro d'accordo con te...

    la mia facoltà di essere deluso oltrepassa l'intendimento.
    essa, che mi fa capire il Buddha, è la medesima che mi impedisce di seguirlo


    ... e ancora a proposito di filosofi filobuddhisti occidentali, probabilmente lo sarebbe stato anche il buon Emil Cioran! :lol:
     
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    QUOTE (Fantasia @ 12/3/2024, 18:58) 
    Premesso che le questioni che poni non sono affatto di facile risoluzione, tanto meno nelle poche battute consentite in un forum, quello che brevemente mi sento di dirti è che se da un lato è vero che il nostro approccio ordinario alla realtà sia mediato dai sensi e l'elaborazione dei loro dati da parte del sistema nervoso centrale, dall'altro il buddhismo insegna a trascendere i limiti della cognizione normale. La meditazione, nelle sue fasi più avanzate, spegne la mente, sia nei suoi aspetti coscienti che in quelli subconsci, aprendo a una visione immediata della realtà.

    L'attività cognitiva, responsabile dell'apparizione del mondo, ivi incluso quello onirico, allorché venga interrotta nei suoi normali modi operativi consente di travalicare l'esperienza, portando a "conoscere" ciò che rimane al suo superamento: il nibbāna, l'incondizionato, il non-composto, l'assoluto, se preferisci: "assoluto" nel senso di essere sciolto dalla dipendenza dalle dimensioni spaziale, temporale e causale, e finanche dall'essere realizzato o meno. Che se ne conosca l'esistenza o meno, che lo si realizzi o meno, il nibbāna permane, sovranamente indipendente, di là dal principium individuationis.

    perfetto a mio avviso. rubo solo qualche parola che, personalmente, mi piace tantissimo: 'il nibbāna permane, sovranamente indipendente, di là dal principium individuationis'

    ne aggiungo qualcuna altra sconclusionata a modo mio da gatto randagio ignorante :D

    ..e procedendo solo un poco oltre... chissa' quale e' il livello di dissoluzione nell'evidenza muta e nell'armonia che sale..

    poi, oggi son creativo, questo
     
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    CITAZIONE (Fantasia @ 12/3/2024, 19:58) 
    L'attività cognitiva, responsabile dell'apparizione del mondo, ivi incluso quello onirico, allorché venga interrotta nei suoi normali modi operativi consente di travalicare l'esperienza, portando a "conoscere" ciò che rimane al suo superamento: il nibbāna, l'incondizionato, il non-composto, l'assoluto, se preferisci: "assoluto" nel senso di essere sciolto dalla dipendenza dalle dimensioni spaziale, temporale e causale, e finanche dall'essere realizzato o meno. Che se ne conosca l'esistenza o meno, che lo si realizzi o meno, il nibbāna permane, sovranamente indipendente, di là dal principium individuationis.

    Molto interessante questa tua affermazione.
    Quindi, teoricamente, se le coscienze mentali dovessero smettere di funzionare (cecità , sordità, insensibilità, ecc... ecc... ) si dovrebbe poter estinguere dukkha ? Capito bene ?

    Anche se, secondo me, studiando a fondo la sofferenza, soprattutto quella fisica sono arrivato al fatto che si ha sofferenza quando una delle nostre "bilance" è estremamente squilibrata e necessita di essere riequilibrata.

    Ad esempio, la sete genera sofferenza fisica perchè chiede di essere "riequilibrata". Il piacere consiste UNICAMENTE nell' ATTO DEL RIEQUILIBRIO e non dello STATO di equilibrio raggiunto. Infatti, bere troppo oltre il riequilibrio, quindi, sbilanciare nel senso opposto la sensazione di sete, genera nuova sofferenza. (sofferenza del cambiamento).

    Il nibbana lo si potrebbe sperimentare quando OGNI bilancia è equilibrata ma cio è' impossibile per la natura del nostro corpo materiale. Siamo in continua ricerca di equilibrio (dukkha).

    Penso che questa regola possa valere anche per lo "sbilanciamento" mentale.



    E sono andato OT perdonami :) :) :)
     
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    CITAZIONE (bluemax71 @ 18/3/2024, 14:40) 
    Molto interessante questa tua affermazione.
    Quindi, teoricamente, se le coscienze mentali dovessero smettere di funzionare (cecità , sordità, insensibilità, ecc... ecc... ) si dovrebbe poter estinguere dukkha ? Capito bene ?

    La questione che giustamente poni non ha una risposta facile né univoca.

    Nel buddhismo probabilmente sono confluite tradizioni contemplative diverse che avevano idee divergenti su cosa fosse la liberazione e, quindi, sui metodi appropriati per conseguirla. Si è tentata una sintesi nel saññāvedayitanirodha, conseguimento meditativo ritenuto possibile soltanto attraverso l'uso alternato di samatha e vipassanā, il primo per ascendere attraverso tutti i jhāna, la seconda per renderli oggetti di osservazione alla luce della "triplice caratteristica" di impermanenza, frustrazione e insostanzialità. Il tratto saliente del nirodha è l'arresto che esso produce, anche per diversi giorni consecutivi, dell'intero apparato mentale del soggetto, presumibilmente senza residuo. In questo sommo stato, dunque, non si danno esperienze mentali d'alcun tipo, permanendo soltanto certi processi fisiologici (ma, sorprendentemente, non quello respiratorio!) designati dai termini āyu e usmā, "forza vitale" e "calore". Si parla pertanto della "cessazione" (tale il significato di "nirodha") come "acittaka", "privo di mente", "inconscio" (non, ovviamente, nel senso psicanalitico del termine, ma semplicemente nel senso di "privo di coscienza").

    È una condizione straordinaria che, tuttavia, nonostante la sua apparenza "vegetativa", apre uno squarcio nel condizionato, facendo emergere l'incondizionato e connettendo in qualche modo la liberazione in vita alla misteriosa liberazione finale dell'arahant dopo la sua morte. Il nibbāna definitivo, dal quale non v'è ritorno, è detto nella letteratura esegetica khandha-parinibbāna, per il fatto che in esso i khandha che definiscono complessivamente la nostra esperienza si arrestano definitivamente; nel nirodha avviene qualcosa di quasi identico, con l'unica differenza della persistenza del khandha della "forma materiale". È chiaro, dunque, come questi due "stati" siano prossimi, tant'è vero che in una citazione contenuta nel Visuddhimagga il nirodha è chiamato "nibbāna in vita".

    Questo è il modo in cui la tarda tradizione pāli ha tentato sistematicamente, non senza difficoltà, di coordinare samatha e vipassanā all'interno dello stesso processo orientato alla liberazione. L'insensibilità che citi è, a detta di qualche studioso, caratteristica del nirodha. Ma se si trattasse soltanto di assenza totale di sensibilità, che utilità ci sarebbe nel divenire una sorta di pianta o, peggio, un elemento inorganico? Perché dovremmo aspirare a uno stato in cui tutto ciò che ci costituisce dal punto di vista mentale venga meno, sia pure temporaneamente? Credo invece che il nirodha sia qualcosa di più profondo e, se vogliamo, di misterioso, poiché col totale cessare in esso dell'esperienza si lascia così il posto all'assoluto, che non ricade nell'esperienza, ma che d'altra parte è in qualche modo possibile "conoscere".

    Quando la mente condizionata si "spegne" completamente, emerge l'assoluto. Potremmo immaginare la cosa in questo modo: la mente, con le sue funzioni, coscienti e non, e con il suo continuo succedersi di contenuti, è come i frame di un film: ciò è l'esperienza; quando tuttavia si riesca ad arrestare la mente, in modo da fermare la successione dei "frame", allora rimane la "pellicola": questa è quella misteriosa "non-esperienza" che è il nibbāna. Non si tratta effettivamente di una sostanza, del fondamento metafisico del saṃsāra o cose così, né è qualcosa di "personale" (il nibbāna è come tutto il resto anattā), ma è ciò che rimane quando l'esperienza sia trascesa. Quando, cioè, i khandha vengano arrestati, perlomeno quelli mentali, che peraltro sono la stragrande maggioranza. La pellicola vuota, privata dei frame, non mostra niente, eppure è il residuo ineliminabile che si scopre allorché ogni frame sia sottratto. Quando, fuor di metafora, ogni esperienza mentale venga meno. Non emerge, a questo punto, una super-coscienza, un "Sé", anzi "il" Sé, ma la fine di ogni stato condizionato, oltre il "principio di individuazione" attraverso cui le esperienze ci sono date, definite in modo spaziale, temporale e causale. Il nibbāna finale è altro da ciò, ma il canone antico evita di parlarne, probabilmente in modo deliberato, poiché ogni descrizione sarebbe a rigore inadeguata.

    Spero di averti dato qualche spunto di riflessione. A disposizione per chiarimenti su quanto ho detto e per tentare di rispondere, se ne sono in grado, ad altre domande.
     
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    Ti sei umanizzato :) E' fantastico! (è uno dei miei complimenti contorti, null'altro).
     
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    CITAZIONE (Fantasia @ 18/3/2024, 16:21) 
    La pellicola vuota, privata dei frame, non mostra niente

    Affascinante... :)
    a quel punto i tuoi sensi percepiscono direttamente quelli che prima erano solo rumori e colori di fondo...il film in diretta della vita.
     
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    Credo che vengano disattivate anche le sei coscienze sensoriali. Forse per continuare l'uso della metafora potremmo/dovremmo solo dire che la pellicola continua a esistere.
     
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    CITAZIONE (swami chandraramabubu sfigananda @ 19/3/2024, 08:10) 
    Credo che vengano disattivate anche le sei coscienze sensoriali. Forse per continuare l'uso della metafora potremmo/dovremmo solo dire che la pellicola continua a esistere.

    Mmmh... così suona raggelante :| ...
     
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    Il problema è - secondo me - che molti elementi del Dharma appaiono dai testi così profondi che ci è difficile trovare le corrispondenze nelle metafore. Un esempio tipico è la vacuità, che è percepita secondo me come una specie di stato di sospensione del pensiero. Mi sembra di intravedere questa lettura anche in tag ogni tanto. Io credo invece che si tratti di stati mentali e raggiungimenti così lontani da noi che non riusciamo a trovare le corrispondenze giuste.

    Nel caso del topic, dato che abbiamo iniziato col continuum mentale, c'è l'esempio di Berzin che fa utilizzando la serie di Star Trek e poi in un altro suo scritto paragonandolo a una radio. Rinascere è come cambiare stazione, ma il continuum mentale corrisponde al fatto che la radio è accesa e riceve sempre. Per questo, in questo caso che mi sembra analogo, ho pensato all'interpretazione che ho suggerito. C'è un problema simile nella differenza tra le sottoscuole Madhyamaka (Pràsangika e Svàtantrika) per illustrare le quali c'è l'esempio tradizionale di uno spettacolo di magia. Il punto focale di quella metafora secondo me è altrettanto difficilmente afferrabile; per anni, da che lo conosco, credevo di averlo capito mentre è di qualche mese fa la consapevolezza che proprio non era così. E' tutto abbastanza comprensibile eccetto l'elemento su cui si basa tutta la costruzione.

    Ammesso che la mia lettura della metafora di Fantasia sia sostenibile, potremmo dire che la pellicola senza immagini non è il nulla ma appunto un'immagine (creata ovviamente con l'assenza di immagini) mentale che vorrebbe evocarci la in-dicibilità di quello stato mentale-coscienziale-etc. Del resto, immagini sulla pellicola a modo loro costituirebbero una determinazione, un dualismo. Dove c'è colore o pigmento vuol dire che non c'è la sua assenza. L'elemento importante è che il supporto continua ad esistere e tra parentesi ci si può ancora disegnare o dipingere sopra.

    So che mi sono incartato e penso sia uno dei pericoli delle metafore. Sono realmente aperto a interpretazioni migliori, soprattutto ora che dicevo che Fantasia si è umanizzato in questa occasione (intendo, ovviamente è umano sempre e comunque). Volevo dire che diversamente dal solito ha proposto un espediente didattico per condividere quello che sa in termini più adatti a chi (me per primo) non ha la sua preparazione intellettuale e quindi perderebbe uno dei possibili veicoli di comprensione.

    Edited by swami chandraramabubu sfigananda - 3/19/2024, 12:32 PM
     
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    CITAZIONE (swami chandraramabubu sfigananda @ 19/3/2024, 13:20) 
    Il problema è - secondo me - che molti elementi del Dharma appaiono dai testi così profondi che ci è difficile trovare le corrispondenze nelle metafore. Un esempio tipico è la vacuità, che è percepita secondo me come una specie di stato di sospensione del pensiero. Mi sembra di intravedere questa lettura anche in tag ogni tanto. Io credo invece che si tratti di stati mentali e raggiungimenti così lontani da noi che non riusciamo a trovare le corrispondenze giuste.

    Nel caso del topic, dato che abbiamo iniziato col continuum mentale, c'è l'esempio di Berzin che fa utilizzando la serie di Star Trek e poi in un altro suo scritto paragonandolo a una radio. Rinascere è come cambiare stazione, ma il continuum mentale è il fatto che la radio è accesa e riceve sempre. Per questo in questo caso che mi sembra analogo ho pensato all'interpretazione che ho suggerito. C'è un problema simile nella differenza tra le sottoscuole Madhyamaka (Pràsangika e Svàtantrika) per illustrare le quali c'è l'esempio tradizionale di uno spettacolo di magia. Il punto focale di quella metafora secondo me è altrettanto difficilmente afferrabile, per anni da che lo conosco credevo di averlo compreso mentre è roba di qualche mese fa aver capito che proprio non era così. E' tutto abbastanza comprensibile eccetto l'elemento su cui si basa tutta la costruzione.

    Ammesso che la mia lettura della metafora di Fantasia sia sostenibile, potremmo dire che la pellicola senza immagini non è il nulla ma appunto un'immagine (creata ovviamente con l'assenza di immagini) mentale che vorrebbe evocarci la in-dicibilità di quello stato mentale-coscienziale-etc. Del resto immagini sulla pellicola a modo loro costituirebbero una determinazione, un dualismo. Dove c'è colore o pigmento vuol dire che non c'è la sua assenza. L'elemento importante è che il supporto continua ad esistere e tra parentesi ci si può ancora disegnare o dipingere sopra.

    So che mi sono incartato e penso sia uno dei pericoli delle metafore. Sono realmente aperto a interpretazioni migliori, soprattutto ora che dicevo che Fantasia si è umanizzato in questa occasione (ovvero, ovviamente è umano sempre e comunque). Intendevo dire che diversamente dal solito ha proposto un espediente didattico per condividere quello che sa in termini più adatti a chi (me per primo) non ha la sua preparazione intellettuale e quindi perderebbe uno dei possibili veicoli di comprensione.

    A proposito di metafore.
    Ricordo che a Pomaia, quando si studiava la mente, veniva usata come metafora la "candela".
    La candela era il corpo fisico che si consumava nel tempo, mentre la luce della candela (non il fuoco) era la mente.
    La candela aveva la proprietà di accendere altre candele e la luce quindi passava da candela in candela.

    Ma anche in questo caso, cosa che al tempo non avevo valutato, la "luce" (mente) dipende unicamente dall'esistenza della candela (materia).
    Quindi il continum mentale dipende dall'esistenza della candela. (la mente è generata dalla materia e la materia ne decreta l'estinzione)
     
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    Perché dovremmo aspirare a uno stato in cui tutto ciò che ci costituisce dal punto di vista mentale venga meno, sia pure temporaneamente?

    chissa', magari fu proprio la stessa domanda che si fece il Buddha quando scelse di abbandonare le sue pratiche ascetiche per tornare nel mondo dei vivi
     
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    QUOTE (bluemax71 @ 3/19/2024, 12:31 PM) 
    Ricordo che a Pomaia, quando si studiava la mente, veniva usata come metafora la "candela".
    La candela era il corpo fisico che si consumava nel tempo, mentre la luce della candela (non il fuoco) era la mente.
    La candela aveva la proprietà di accendere altre candele e la luce quindi passava da candela in candela.

    Ma anche in questo caso, cosa che al tempo non avevo valutato, la "luce" (mente) dipende unicamente dall'esistenza della candela (materia).
    Quindi il continum mentale dipende dall'esistenza della candela. (la mente è generata dalla materia e la materia ne decreta l'estinzione)

    E' molto bella e la ricordo spesso a me stesso. Anche qui dobbiamo tenere presenti i limiti delle metafore. L'interdipendenza tra continuum mentale e materia sussiste nella prospettiva analitica del Madhyamaka e anche, in termini fisici veri e propri, finché quel contiuum non è illuminato. Dopo no, difatti un buddha non ha un supporto materiale.
     
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