Domanda sulla mente. Devo chiudere il cerchio

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    CITAZIONE (swami chandraramabubu sfigananda @ 19/3/2024, 08:10) 
    Credo che vengano disattivate anche le sei coscienze sensoriali. Forse per continuare l'uso della metafora potremmo/dovremmo solo dire che la pellicola continua a esistere.

    Senz'altro il viññāṇa viene interrotto, perché nell'interpretazione di Buddhaghosa non c'è differenza tra citta, viññāṇa e mano, e poiché il nirodha è detto da Buddhaghosa stesso acittaka, segue che sia privo di viññāṇa. Ora, è in realtà discutibile che citta, viññāṇa e mano siano perfetti sinonimi: servirebbe una ricerca specifica, ma nei sutta mi sembra che talvolta abbiano sfumature semantiche diverse. A parte questo, nel Pañcattaya-sutta e nell’Upaya-sutta il Buddha stesso indica in vari modi la dipendenza del viññāṇa dagli altri aggregati, compreso quello della forma materiale, e poiché il saññāvedayitanirodha costituisce l'arresto di saññā e vedayita (nei commentari interpretato come sinonimo di vedanā), come dice già il suo nome, segue che la "coscienza" in questo stato non possa manifestarsi.

    Nella mia metafora, che peraltro non va spinta oltre misura, per non creare fraintendimenti, la "pellicola" sarebbe il nibbāna, che nel sistema theravāda è ciò che solo è permanente (nicca) e stabile (dhuva). Esso resiste a ogni tentativo di riduzione: è irriducibile, è la realtà ultima, ma non nel senso di una sostanza universale che sia il fondamento metafisico di tutto quel che esiste, né nel senso del "Sé" vedantico.

    Per quanto riguarda il dualismo, credo possa sostenersi che esso esista soltanto per i "frame": sono questi a essere, secondo il principium individuationis, individuati spazialmente, temporalmente e causalmente, costituendo in tal modo la molteplicità fenomenica che ordinariamente percepiamo. Ma i "frame" sono contingenti: per la pellicola, che ne è il supporto, è indifferente che vi siano due, dieci frame o più, come è ininfluente che vi siano questo o quel frame particolari. La dualità sparisce nel momento in cui i "frame" vengano meno. Il nirodha consente questo superamento, per il fatto che, fuor di metafora, la coscienza viene privata di qualsiasi oggetto, senza il quale, data la sua natura intenzionale (in senso fenomenologico, significa che la coscienza è sempre coscienza-di-qualcosa), non può esistere. Soggetto e oggetto vengono meno insieme, e a questo punto rimane l'assoluto, la "pellicola" senza i "frame". L'assoluto è tale anche per la sua indipendenza dai "frame": mentre i frame dipendono dalla pellicola, questa non dipende dai frame. La pellicola senza frame può esistere, ma i frame senza la pellicola no. Ciò vuol dire che il nibbāna continuerebbe a esistere tale e quale anche se non ci fosse nessuno a realizzarlo in quella misteriosa "non-esperienza" di cui parlavo.

    Potendo venire meno, anche soggetto e oggetto si rivelano "contigenti": se contingente è ciò che può non essere, e necessario ciò che non può non essere, allora soltanto il nibbāna è necessario. D'altra parte, anche dire che sia il solo necessario è approssimativo, perché il concetto di necessità si determina in relazione al suo opposto ed è perciò relativo. Non per niente, il nibbāna è atakkāvacara, "non nella sfera del ragionamento", "non nella sfera del discorso logico-razionale": "inconcepibile", potremmo dire. Possiamo usare metafore e altri espedienti didattici per riferirci a esso, ma in ultima analisi qualsiasi cosa diciamo è inadeguata, ed è questo, verosimilmente, il motivo per cui il canone antico tutto sommato non ne parla diffusamente.
     
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    CITAZIONE (bluemax71 @ 19/3/2024, 12:31) 
    (la mente è generata dalla materia e la materia ne decreta l'estinzione)

    Non ne sono sicurissimo. Propongo un'ipotesi, che potremmo chiamare "ipotesi dell'annichilimento corporeo": se il corpo di un essere umano non liberato venisse annichilito all'istante, il continuum mentale porterebbe lo stesso alla rinascita. Da ciò possiamo desumere che il viññāṇa (è questo il khandha coinvolto nella rinascita) dipenda sì dal corpo, ma non in ogni caso in modo imprescindibile. Questo lo capiamo anche dal fatto che nei piani di esistenza cosiddetti "immateriali" (arūpa-loka) esistono soltanto processi mentali, senza supporto materiale. Se volessimo interpretare in un unico senso, materialista o idealista, il canone antico, avremmo serie difficoltà. Come dicevo sopra, il Buddha stesso dice che il viññāṇa dipenda anche dall'aggregato della forma materiale, senza il quale, dunque, non potrebbe esistere, ma per l'appunto si dà il caso di esseri divini privi di corpo fisico, consistenti soltanto di citta e cetasika, coscienza e suoi fattori concomitanti.
     
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    QUOTE (Fantasia @ 3/19/2024, 01:37 PM) 
    Nella mia metafora, che peraltro non va spinta oltre misura, per non creare fraintendimenti, la "pellicola" sarebbe il nibbāna, che nel sistema theravāda è ciò che solo è permanente (nicca) e stabile (dhuva). Esso resiste a ogni tentativo di riduzione: è irriducibile, è la realtà ultima, ma non nel senso di una sostanza universale che sia il fondamento metafisico di tutto quel che esiste, né nel senso del "Sé" vedantico.

    Nulla di meglio dell'autore stesso di uno scritto per chiarirne i termini, direi che hai fatto benissimo a puntualizzarlo e ovviamente "come non scritto" il mio post più su.
     
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