Da adolescente, negli anni '60, vedevo il giudaismo riformato come irriducibilmente borghese, conformista e stabile. In India, pensai, riesco a trovare la "verità spirituale".

Ho viaggiato molto in cerca della realizzazione interiore. Con una successione di guru e swami ho studiato yoga e filosofia indù fino a quando, in una comunità buddhista tibetana nella città himalayana di Darjeeling, famosa per il suo tè, ho trovato quello che stavo cercando: un'autentica tradizione spirituale. Il lama locale, Kalu Rinpoche, incarnava la mia immagine della saggezza orientale - un uomo magro e anziano con zigomi angolari, pelle liscia, testa calva e occhi ridenti. Era sotto il suo occhio vigile che "prendevo rifugio" nei "tre gioielli" del buddhismo - il Buddha (insegnante), il Dharma (insegnamento) e il Sangha (comunità) - e formalmente diventai un buddista.

Quando, con riluttanza, dovetti andarmene - il mio visto era scaduto - cercai una nuova casa presso il Tibetan Nyingma Meditation Center di Berkeley, in California. Sotto la tutela del lama tibetano Tarthang Tulku, il nostro gruppo di un centinaio di buddhisti imparò il tibetano classico e ricevette insegnamenti da altri famosi maestri buddhisti, tra cui il Dalai Lama. Ci siamo sentiti privilegiati ed entusiasti di studiare con l'ultima generazione di lama addestrati in Tibet prima del loro sequestro da parte dei cinesi nel 1959.

Come molti ebrei che sono coinvolti nelle religioni asiatiche, io aspiravo a diventare un leader. L'opportunità si presentò quando il Centro ebbe bisogno di un dottorato di ricerca tra i membri del suo personale per qualificarsi per l'accreditamento come istituto di studi universitari. Mi offrii volontario e dopo tre anni di studio tornai con un dottorato in Studi dell'Estremo Oriente ottenuto all'Università di Saskatchewan in Canada. Con mio grande sgomento, al mio ritorno scoprii che un sontuoso centro di ritiro era stato fondato da Tarthang Tulku e lo stava gestendo in un modo che a mio avviso non era adatto a un lama tibetano. Era tempo di recidere i miei legami.

Ho trovato rapidamente un nuovo insegnante: Namkhai Norbu, un lama, studioso, dottore e maestro di meditazione. Ha avuto la capacità unica di tagliare le trappole culturali del buddhismo tibetano e rivelare il suo messaggio essenziale.

[...] ho realizzato che vivere uno stato di calma non dipende da nessuna circostanza oggettiva esterna; è una condizione naturale della mente stessa. Mi resi conto che le mie nozioni occidentali di soggettività erano state un ostacolo nella mia pratica di meditazione; quello che avevo considerato l'argomento - il mio "io" - non era niente di più che un'immagine o una rappresentazione nella "mia" mente.

I buddhisti considerano il vuoto del sé il fine ultimo della saggezza, o dell'Illuminazione. Per me, l'esperienza è stata come raggiungere la vetta della montagna dopo un'ardua ascesa, poi guardare giù su una vista gloriosa e dire: "Sì, è davvero come tutti l'hanno descritto. Sicuramente vale la pena. Da allora in poi, sono stato in grado di meditare senza distrazioni, anche con l'esperienza di dolore fisico o di disagio emotivo.

L'illuminazione (occidentale e ebraica) attribuisce un valore eccezionale all'individuo nella convinzione che ognuno di noi è creato nell'immagine di Dio, ognuno con uno scopo unico nella vita. Al contrario, la meditazione buddhista, nella ricerca del distacco dai pensieri e dalle emozioni negative, è impersonale, attribuendo grande valore all'essere "nessuno" o "nessun sé". Il buddhismo, sono arrivato a credere, era indifferente all'individualità umana.

Dagli scritti del rabbino Kalman Shapiro, l'ultimo rabbino del ghetto di Varsavia, ho imparato che durante tutta la storia ebraica, per raggiungere questo livello di trascendenza, gli ebrei avevano usato la stessa tecnica dei buddhisti, calmando la mente per osservare i propri pensieri. Ma invece di cercare di raggiungere la vacuità, invece di avere come obiettivo finale lo sradicamento dell'aggrapparsi al sé, questa consapevolezza divenne uno strumento per eseguire il tikkun - per portare la guarigione al sé e al mondo più grande.

Nel 1993 ho incontrato e sposato Annetta, un'artista che dipinge immagini bibliche basate sul midrash. All'epoca vivevamo a Palo Alto. Ho avuto un lavoro accademico faticoso, che mi sembrava impossibile lasciare - cioè fino a quando un giorno, mentre eravamo nella nostra cucina, Annetta si girò verso di me e disse: "Ken, perché non diventi un rabbino?" Ispirato dal nostro rabbino all'epoca, Sheldon Lewis, ho fatto il grande passo:
diventare un rabbino.
Ci trasferimmo a Los Angeles nel 1997 e cominciai i miei studi rabbinici all'Università dell'ebraismo.

Tre anni dopo, il 5 maggio 2002, sono stato ordinato da HUC-JIR a Los Angeles. Ho seguito le orme del rabbino Kalman Spierer, il mio bisnonno nato in Ucraina, dopo il quale sono stato nominato. Annetta e io abbiamo adottato anche nostra figlia, NaomiZahava Malka. Il mio ritorno al giudaismo sembrava completo.

Per trent'anni ero stato come il povero uomo del racconto chassidico che cerca un tesoro nascosto lontano sotto un ponte vicino al castello del re, solo per scoprire che per tutto il tempo il tesoro era stato sepolto sotto il suo stesso letto. Spero che, mentre andiamo avanti e verso l'interno, gli ebrei come me non avranno bisogno di cercare un appagamento spirituale oltre i confini del giudaismo. Un grande tesoro nascosto all'interno della nostra casa.